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 2009  ottobre 07 Mercoledì calendario

”Con i gay non giochiamo” Il calcio al tempo del Corano- Dal computer, un click pieno di fiele: «Contro i gay non giochiamo, la nostra religione ce lo vieta»

”Con i gay non giochiamo” Il calcio al tempo del Corano- Dal computer, un click pieno di fiele: «Contro i gay non giochiamo, la nostra religione ce lo vieta». Firmato Creteil Belel, il club musulmano di calcio della cittadina alle porte di Parigi. Domenica scorsa avrebbero dovuto incontrare in un match di un campionato organizzato dalla Cfl, un organismo indipendente della lega calcio francese, il Paris Foot Gay, una società che accoglie anche eterosessuali ma che già dal nome non fa misteri del proprio orientamento sessuale. Per dichiarare senza paura, come è giusto, che nello sport non esistono, non dovrebbero esistere barriere di sesso, politica o religione. Quelli del Creteil Belel, però, la pensano diversamente. Giocano e si allenano in un Comune, Creteil, un capolinea del metro parigino, che conta 88.000 abitanti, il venti per cento musulmani. Quando tre anni fa l’amministrazione socialista decise di costruire una nuova moschea (costo 5 milioni di euro), il bersaglio furono anche loro. «Perché cristiani ed ebrei devono pagare per costruire una moschea?», inveirono i tassati più intolleranti. Stavolta tocca ai pedatori con il Corano nell’armadietto alzare le barricate. «Siamo spiacenti - hanno scritto nella mail dello scandalo - ma tenuto conto del nome della vostra squadra e conformemente ai principi della nostra, composta da musulmani praticanti, non possiamo giocare contro di voi. Le nostre convinzioni sono di gran lunga più importanti di un semplice incontro di calcio. Scusateci di avervi avvertito così in ritardo». Terrificantemente ossequiosi. L’omofobia nello sport è morbo ancora diffuso, sotterraneo, aggressivo, anche se grandi atleti come il tuffatore Greg Louganis, la tennista Martina Navratilova, il cestista della Nba John Amaechi, o Justin Fashanu, il primo calciatore a fare coming out con la loro testimonianza hanno provveduto a denunciarne danni e ipocrisie. Subendone anche le conseguenze, più o meno pesanti. Nel caso del Creteil però le componenti del cocktail dell’odio applicato allo sport sono due, sesso e religione. Miscela esplosiva e spesso indistinguibile da quella fra religione e politica, che recentemente ha costretto (costretto?) la federtennis svedese a far giocare a porte chiuse un match contro Israele, o che divide da decenni il Pakistan e l’India nel cricket. Ovviamente il gran rifiuto del Creteil Belel ha scatenato reazioni e commenti. Il Paris Foot Gay sta pensando di fare causa ai colleghi integralisti, l’associazione Sos Racisme ha dichiarato che «questa omofobia aperta e senza complessi non deve restare senza seguito». Jacques Stouvenel, presidente della Cfl, acronimo che sta per Commission Football Loisirs ha definito «inaccettabile» la situazione, aggiungendo ovviamente ma doverosamente che il calcio «non ha colore né religione». Un dirigente del Creteil ha provato poi a replicare dai microfoni della radio parigina France Bleu: «In quanto musulmano - ha abbozzato - ho diritto a non giocare contro il Paris Foot Gay, scusate se abbiamo offeso qualcuno». Ma probabilmente senza rendersi conto di quello che diceva. Cosa ne penseranno, di questo «diritto», i tanti sceicchi che stanno facendo shopping nel calcio europeo? Ma forse per i calciatori e l’omosessualità vale quello che disse Larry Holmes, campione del mondo di boxe, sul colore della sua pelle: «Sono stato nero anch’io una volta: quando ero povero».