Diego Gabutti, ItaliaOggi 07/10/2009, 7 ottobre 2009
Con avversari così, persino il premier sembra uno statista - Silvio Berlusconi, qualunque cosa sia, di sicuro non è il maggior statista del secolo
Con avversari così, persino il premier sembra uno statista - Silvio Berlusconi, qualunque cosa sia, di sicuro non è il maggior statista del secolo. Gli statisti sono laconici e severi, vogliono sempre rigenerare il mondo dalle fondamenta (qualche volta addirittura ci riescono, mentre a Berlusconi non riesce nemmeno di diminuire le tasse) ed è loro privilegio parlare per sentenze, come le massime dei cioccolatini e i sacerdoti dal pulpito. Maestosi come profeti biblici disegnati da Gustave Doré, gli statisti guardano fisso davanti a sé con espressione cespugliosa e, come i ritratti degli antenati, hanno sempre un’aria solenne e dignitosa. Berlusconi, invece, è uno che ride e racconta barzellette, meglio se sozze (e qualcuna la vive persino di persona). uno che si sbraccia e parla troppo (più per il piacere d’ascoltarsi che per affascinare gli elettori). Berlusconi non ci ha il fisico, è per istinto una specie di bohémien e, anche se si prende molto sul serio, ogni tanto si prende qualche pausa, forse troppe, più di quante se ne possa permettere uno statista. Senza essere uno statista, e con tutti i suoi difetti, il Cavaliere è tuttavia un maestro nella sola arte che conti in politica: l’arte di scegliersi i nemici. Basta guardarsi intorno per capire che l’attuale sinistra (tramontata definitivamente la stella di Romano Prodi, il solo che si sia misurato col Cavaliere, in due occasioni, ad armi quasi pari) con lui non può farcela. Pier Luigi Bersani, per esempio, col suo snobismo un po’ vetero al lambrusco, è esattamente uno di quei nemici di cui Berlusconi ha bisogno per tenere in pugno il suo elettorato: un cattivo da fiction televisiva, persino un po’ da cartone animato. Non c’è più, tra i suoi nemici, nemmeno un Bertinotti, o almeno un Cofferati. Ma è bastata una scritta, «sei in meno», apparsa su un muro cittadino dopo la morte dei soldati italiani in Afghanistan per strappare un applauso alla platea milanese che assisteva, qualche domenica fa, al comizio di chiusura della festa del Partito della libertà. Walter Veltroni, un leader che quando vuol farsi notare mette il broncio e trattiene il fiato, come i bambini rompiballe, è stato un nemico perfetto, e chissà che non torni a esserlo, prima o poi. Sarebbe un avversario non meno perfetto, se mai ci provasse, anche Luca Cordero di Montezemolo, col suo charme falso-progressista da nemico del popolo. Un antagonista, poi, assolutamente perfetto, insieme a Tonino Di Pietro e alle sue fantasie giudiziarie a luci rosse, è il giudice milanese Raimondo Mesiano, che ha trasformato la repubblica italiana in una specie di Paperopoli condannando il Cavaliere a pagare un fantastiliardo d’indenizzo, per il Lodo Mondadori famoso, a Carlo De Benedetti. Come consegnare la chiave del deposito di Paperon de’ Paperoni a Rockerduck, il riccone sfondato suo rivale. Finché saranno questi i suoi nemici, finché a sinistra (e a sinistra della sinistra, tra i magistrati che, credendosi a loro volta statisti, vogliono rivoltare il mondo come un calzino) prevarranno gli automatismi della retorica da dopolavoro ideologico e la cultura del duello rusticano, il Cavaliere non avrà rivali degni di considerazione e, per disarcionarlo, i suoi avversarsi ricorreranno come al solito a qualche colpo sotto la cintura: le escort, le discoteche napoletane, il Lodo Mondadori in chiave fantascientifica e via col triccheballacche mediatico. Il massimalismo italiano, che ci ha regalato le peggiori sciagure nazionali, da Mussolini al compromesso storico, notoriamente non vuole nemici a sinistra. Ma se fino a ieri li isolava, e magari li eliminava fisicamente, oggi bacia loro la pantofola, per non dire di peggio. Silvio Berlusconi, molto più assennatamente, non vuole nemici al centro. E non ne ha, qualunque cosa Pierferdinando Casini racconti a Gianfranco Fini e viceversa.