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 2009  ottobre 07 Mercoledì calendario

Il Pd è un partito già scalato - Il dato più positivo di questa fase del Pd è che siamo forse finalmente alla fine del dualismo Veltroni-D’Alema

Il Pd è un partito già scalato - Il dato più positivo di questa fase del Pd è che siamo forse finalmente alla fine del dualismo Veltroni-D’Alema. Nessuno dei due può ormai ambire a un ruolo dirigente. Al massimo possono fare i consigliori. Che Walter Veltroni sia fuori dal Pd forse lo sanno tutti tranne lui. Ne uscirà formalmente in caso di vittoria di Pier Luigi Bersani. Ma anche se vincesse Dario Franceschini, perché la stagione politica di Walter è finita. Dal canto suo, D’Alema si gioca la partita della vita. Se vince Franceschini avrà di fronte un partito ostile. Se vince Bersani sarà chiamato alla sua scelta di sempre: consentire o uccidere il leader nella culla. Il dalemismo è sempre uguale a se stesso. Ma questo congresso sancisce per D’Alema la conclusione di un itinerario». Peppino Caldarola, ex direttore de l’Unità e deputato con i Ds e con l’Ulivo, spiega le ragioni della decadenza del Pd. Un partito cui non ha mai voluto iscriversi. «Se inizialmente ero rimasto affascinato dall’idea, espressa da Veltroni al Lingotto, di trovare una casa del riformismo italiano, mi sono sentito tradito dall’alleanza con Antonio Di Pietro. In quell’occasione fummo in tre a schierarci contro: io e i senatori Marco Follini e Antonio Polito. Da lì è iniziato un processo di distacco che mi ha portato fuori». Per Caldarola, «l’anomalia che gli elettori possano rovesciare la decisione degli iscritti è l’aspetto più drammatico della crisi del partito. Se vincesse Franceschini avremmo due segretari. E io non credo affatto che all’indomani del voto si metterebbero a lavorare tutti insieme, d’amore e d’accordo. Vedo invece fenomeni di sfarinamento. Soprattutto nella base, profondamente disillusa». Prova ne sono, osserva, i quattro milioni di voti persi alle europee e il crollo della partecipazione ai congressi dei circoli. Che evidenzia come la catena di decisione sia spezzata. «Le assemblee possono essere messe in mora da un voto d’opinione, dove il punto più dolente è la partecipazione non di cittadini semplici, ma di grandi organizzazioni esterne decise ad influire sulla leadership. Col rischio che il Pd diventi un partito eterodiretto, €perché lobby come l’Italia dei Valori, Repubblica o un sindacato possono portare migliaia di persone al voto ed effettuare la scalata». Poi rincara: «Anzi, a dir la verità, il Pd è già stato scalato. Perché se elettoralmente rappresenta ancora la maggioranza dell’opposizione, di fatto non la guida. La guidano i Di Pietro, i De Magistris e i Beppe Grillo. La guida, soprattutto, la decisione di Repubblica di intervenire nella battaglia politica in prima persona, facendosi partito». D’altra parte, nessuno dei tre candidati a segretario ha offerto una proposta politica in grado di indicare la luce in fondo al tunnel, l’identikit di una nuova opposizione. «Bersani offre l’idea di una navigazione più tranquilla», dice Caldarola. «Una sorta di dolce ritorno al passato. Purtroppo, non si capisce che tipo di partito voglia fare. Con lui, il Pd resta sempre in mezzo al guado, come lo erano i Ds. Stretto tra l’idea di essere una socialdemocrazia o un partito nuovo». Con Franceschini, poi, l’ex deputato va giù duro. «Si è candidato tradendo l’impegno di non farlo. corresponsabile del mancato decollo del Pd in quanto ne è al vertice sin dall’inizio. il candidato più eterodiretto, quello più subalterno ai movimenti giustizialisti». Non più morbido su Ignazio Marino. «Ha avuto un successo insperato. A Nichelino, in provincia di Torino, ha vinto col 42% dei voti: è chiaro che i suoi consensi rappresentano una voglia di novità. Il problema è che non è un leader a tutto tondo. Quelli come Marino sono fenomeni passeggeri che incarnano un malessere profondo, ma non esprimono una guida politica». E Francesco Rutelli? L’unica via d’uscita, di fronte alla crisi del Pd e all’eventuale crisi del berlusconismo, è «una grande alleanza dei moderati di destra e di sinistra, che tagli le ali alla Lega da un lato e al dipietrismo dall’altro, e rappresenti un’alternativa a Berlusconi. Parliamo però di qualcosa che non è neanche in agenda, ma solo un auspicio. Un tempo avrei tifato per un partito socialdemocratico, ora mi accontenterei di una formazione moderatamente di sinistra». Già. Ma quali ne sarebbero gli attori? «Non Gianfranco Fini, che è il leader della destra futura. Pier Ferdinando Casini, invece, in questo schieramento avrebbe certamente un ruolo. A sinistra bisognerà vedere quali forze riusciranno a rompere l’abbraccio con Di Pietro».