Lorenzo Soria, La Stampa 7/10/2009, 7 ottobre 2009
HOLLYWOOD. IL MARKETING DELLA CARITA’
Los Angeles. Per dare al mondo il diritto di vedere le prime immagini di Vivienne e Knox appena nati, Angelina Jolie e Brad Pitt hanno chiesto e avuto 14 milioni di dollari, ma nel giro di pochi mesi almeno otto se ne erano andati in varie cause: campi profughi in Pakistan, malaria nel Mali, denutrizione infantile in Cambogia e anche «Make it Right», un progetto con il quale Pitt ha costruito 100 case «verdi» in uno dei quartieri di New Orleans devastati dall’urgano Katrina. Il loro amico George Clooney, si sa, si è impuntato col Darfur. Sharon Stone, Liz Taylor e Tom Hanks tengono accesa la fiammella della causa per combattere l’Aids. Charlize Theron e Michael Douglas sono messaggeri di pace delle Nazioni Unite, Nicole Kidman lavora con l’Unicef, Drew Barrymore con il «World Food Program», Leonardo DiCaprio ha a cuore l’ambiente. Poi c’è Bono, che usa la sua fama con l’obiettivo un po’ ambizioso di salvare il mondo.
A quattro anni da quando il settimanale Time aveva proclamato il 2005 l’anno del «Charitainment» - una parola nata dalla contrazione di «Charity» (beneficenza) e «Entertainment» (spettacolo) -, le stelle del cinema, dello sport e del rock continuano a capitalizzare più che mai sulla popolarità e l’influenza che esercitano sulla coscienza pubblica per portare all’attenzione del mondo le cause più disparate. Natalie Portman, la principessa Padma di Guerre Stellari, promuove «Finca», un’organizzazione che procura microfondi alle donne del Terzo Mondo per poter avviare delle attività. Scarlett Johansson presta il suo nome a «Oxfam», Matt Damon organizza tornei di un gioco non proprio associato con la carità e la beneficenza, il poker, per devolvere soldi a «H20 Africa», che si occupa di sistemi di irrigazione in Africa.
Una stella del cinema non può più semplicemente recitare e godersi i suoi assegni multimilionari e apparire sorridente sui giornali di gossip per parlare dell’arredamento della nuova casa e del nuovo film. Deve avere una causa. E per farlo ha alle spalle una vera industria.
Nell’entourage di una «celebrity» degna di questo nome oltre che un agente, un manager e un Pr deve esserci anche un consulente nel mondo della filantropia, una nuova opportunità nella quale si sono buttate soprattutto le agenzie. Il loro ruolo storico è stato quello di mettere assieme i loro clienti con i produttori, tenendosi il dieci per cento dei proventi. Poi si sono date al «packaging», mettendo assieme invece attori, registi, scrittori e finanziatori e presentando allo Studio di turno un pacchetto completo. Adesso hanno istituito le loro «Foundations», la cui missione è quella di creare il perfetto legame tra i clienti e l’opera benefica più appropriata alla loro immagine. «Se sei un attore di 24 anni che fa quattro milioni a film e vuoi fare un qualcosa di caritatevole, come fai? -, si domanda Peter Safran, manager -. Non è parte della tua esperienza, hai bisogno di una guida».
Le agenzie, dunque. La «Creative Artists», la più influente, è una scuderia che include Brad Pitt, Tom Cruise, Julia Roberts, George Clooney, Will Smith e David Beckham. Ha creato una fondazione capeggiata da Michelle Kydd Lee: un mese fa ha sposato il team del Barcellona, suo cliente, con una campagna per eradicare la malaria. Alla «United Talent», che conta tra i suoi clienti Johnny Depp e Harrison Ford, la responsabile si chiama Rene Jones. «Diamo più che altro consigli - spiega -. Non c’è niente di peggio di qualcuno ben intenzionato ma fuori dal suo elemento».
Nel film Bruno, quando Sacha Baron Cohen cerca di sfondare ad Hollywood, capisce presto che il segreto è avere alle spalle l’organizzazione benefica giusta. «Dar-Four è grande, cos’è la prossima? - chiede facendo un gioco di parole -. Dar-Five?».
Non c’è niente di più imbarazzante di una celebrità che sposa una causa che non conosce o che arriva in un campo profughi con la borsa di Hermes e i tacchi a spillo, ma per Howard Bragman, un veterano dei Pr di Hollywood, la stella contemporanea non ha scelta. «Non puoi solo prendere 20 milioni a film - dice -, devi anche servire il tacchino ai poveri». Ma serve? Bono e Brad Pitt e la Kidman non hanno ancora salvato il mondo da guerre, fame e malattie, ma chi è coinvolto nelle organizzazioni che si occupano di queste cause vedono nell’intervento delle stelle solo un fattore positivo: «Sì, lo faranno per salvarsi la coscienza e darsi importanza, ma serve - riconosce John Prendergast, uno stimato attivista di cose africane e l’uomo che ha portato la Jolie in Congo nel 2003 -. Aiutano nel creare consapevolezza e nel portare attenzione». E il Darfur? «Senza Clooney e amici - conclude -, la situazione sarebbe ancora più tragica».
Lorenzo Soria