Filippo Facci, Libero 06/10/2009, 6 ottobre 2009
Repubblica, un tir carico di querele - Qualche sorpresa c’è. Il professor Vincenzo Zeno-Zencovich, lento e inesorabile come una querela, ha analizzato centinaia di sentenze sulla «lesione della personalità» al Tribunale civile di Roma (periodo: dal 2003 al 2008) e rispetto alle sue precedenti rilevazioni ha prospettato alcune inversioni di tendenza che paiono smentire un ruolo delle querele nelle presunte limitazioni alla libertà di stampa, ciò che parte della categoria giornalistica ha paventato di recente
Repubblica, un tir carico di querele - Qualche sorpresa c’è. Il professor Vincenzo Zeno-Zencovich, lento e inesorabile come una querela, ha analizzato centinaia di sentenze sulla «lesione della personalità» al Tribunale civile di Roma (periodo: dal 2003 al 2008) e rispetto alle sue precedenti rilevazioni ha prospettato alcune inversioni di tendenza che paiono smentire un ruolo delle querele nelle presunte limitazioni alla libertà di stampa, ciò che parte della categoria giornalistica ha paventato di recente. Anzitutto: a crescere sono i rigetti delle denunce, non gli accoglimenti: su 849 cause civili, infatti, solo 349 sono andate giudizio e quindi 549 sono state respinte: e questo non per questioni procedurali o d’incompetenza (solo 39, per quest’ultimo caso) ma proprio perché, in 510 casi, i giudici hanno reputato che la diffamazione non ci fosse. Il primo dato interessante, in sintesi, è che negli anni precedenti al 2003 veniva accolto il 60 per cento delle cause civili, ora il 63 per cento è stato rispedito al mittente: un trend diametralmente contrario a quello lamentato da un campione della categoria, Marco Travaglio, nel suo ultimo soliloquio ad Annozero. Vero è semmai che la categoria ritenuta più affidabile da quest’ultimo e spesso dalla stampa di centrosinistra - i magistrati - negli ultimi anni hanno smesso di condannare perlopiù la stampa di centrodestra: tra i campioni della diffamazione, infatti, figura proprio il gruppo Espresso-Repubblica, e non si vorrà certo credere che l’intera categoria togata faccia parte di una manovra per limitare la libertà di stampa. E veniamo alle condanne, che nella maggior parte dei casi riguardano giornali e televisioni con l’ingresso a sorpresa, tra i grandi numeri e protagonisti, del sito Dagospia: un primato cui Roberto D’Agostino avrebbe rinunciato volentieri. «Il quotidiano La Repubblica ed il settimanale L’Espresso», si legge nella ricerca, «sono stati accomunati perché editi dallo stesso gruppo editoriale»: il quale vanta la bellezza di 45 condanne per un totale di 1.933.000 euro risarciti (in precedenza erano 1.380.000) e una media di quasi 43mila euro pagati per ciascuna causa. Per numero di cause, l’unico a battere il gruppo Espresso è curiosamente Il Messaggero con 48 condanne e però una media risarcitoria più bassa (39,9). E gli altri? Qui altre sorprese. Il Giornale, per esempio, ha solo 6 condanne ma un’incredibile media risarcitoria: 90mila di media, 545.000 euro totali. C’è solo un altro media che ha la stessa precisa media: Dagospia, che ha pagato 270mila euro per - ancora più incredibile - solamente 3 cause: 90mila l’una, appunto. Libero se la cava con 8 condanne e una media di 32,5 su 260mila euro totali. Questo per giornali più internet. Poi ci sono le televisioni, che risultano mediamente più colpiti in relazione a una presunta maggior diffusione dei fatti diffamanti. La Rai ha avuto 13 condanne e una media di 68,4 mila euro: totale 890, in precedenza erano 443. Con le tv del gruppo Mediaset i giudici hanno invece avuto la mano più pesante: meno condanne della Rai (12) ma una media risarcitoria quasi doppia: 125,4 mila euro per un totale di 1.505.000: la media è tale, attenzione, già eliminando l’accesso della condanna-monstre inflitta a Vittorio Sgarbi e alle reti Mediaset che il 12 dicembre 2003 hanno dovuto pagare la bellezza di 800mila euro per via di un’esternazione televisiva nello stile ormai a tutti noto. Per il resto, tra tutti i giornali e le tv, la media risarcitoria è rimasta nel complesso invariata: in precedenza era di 52 milioni di lire e ora è di 32mila euro, un dato inferiore alla rivalutazione inflattiva dell’euro. Ed eccoci alla classifica delle categorie risarcite. Qui, secondo i punti di vista, ci sono sorprese e non ce ne sono. Solo una tendenza non è cambiata: quella dei magistrati nel reputare l’onore della propria categoria al di sopra di ogni altra, elargendo risarcimenti record ad altri colleghi: 51mila euro a testa di media (su 41 cause, record anche delle cause sporte per categorie) che si riducono però a 33,2 mila una volta eliminata la citata e abnorme liquidazione di 800mila euro riservata al giudice Cordova: nelle precedenti rilevazioni la media era di 35,6 mila euro, siamo lì. Subito dopo i magistrati c’è la categoria un po’ generica «persone giuridiche» (49,2) e militari e polizia (34,4) ed ecco finalmente i politici con 30,5 mila euro di media, e un numero di cause tutto sommato basso: solo 25, meno degli imprenditori (26) e dei dipendenti pubblici (34) e dei giornalisti, attori, sportivi eccetera: vedasi tabella. La sostanza è che quanto detto da Marco Travaglio, circa la tendenza crescente dei politici a querelare, è una balla. E anche questo è un trend che si conferma. «Ciò che si nota», spiega la ricerca, «è una sostanziale riduzione della ”forchetta” delle medie riguardo alla qualifica professionale». pare una buona notizia. «Non è possibile verificare se la riduzione nel divario sia frutto delle numerose campagne di stampa soprattutto da parte degli organi di informazione maggiormente colpiti», si legge ancora. E qui parla di una vecchia campagna del Giornale, non certo delle tardive lagnanze di chi - Fnsi compresa - sul tema non ha mai proposto ricerca alcuna.