Giuseppe Ghini, Libero 06/10/2009, 6 ottobre 2009
La falsa tolleranza dei laicisti furiosi - Martha Nussbaum è una filosofa americana. Il Mulino ha appena pubblicato un libretto che traduce un suo articolo del 2007, Libertà di coscienza e religione (pp
La falsa tolleranza dei laicisti furiosi - Martha Nussbaum è una filosofa americana. Il Mulino ha appena pubblicato un libretto che traduce un suo articolo del 2007, Libertà di coscienza e religione (pp. 82, euro 10). Diciamolo subito: il libro è un passo avanti, specie nei confronti dei laici furiosi che in Italia imperversano e di cui Giancarlo Bosetti ha mostrato il fallimento (mi riferisco, evidentemente, al libro Il fallimento dei laici furiosi, recensito su Libero da Giuseppe Bedeschi). La Nussbaum sembra suggerire che la soluzione al rapporto Stato-religioni sia semplice, basta evitare due opposti estremismi. Da un lato, infatti, ci sono i fondamentalisti religiosi, gli «ortodossisti», coloro che sostengono che la preminenza di una determinata tradizione religiosa debba essere riconosciuta nello spazio civile. Dall’altro ci sono gli «antireligiosi», quelli che pensano che tutte le religioni dovrebbero essere disapprovate in ambito pubblico. In America, furono espressioni del primo fondamentalismo l’uso di imprigionare ed espellere chi non era puritano nel Massachusetts del XVII secolo, le violenze fisiche esercitate sui bambini cattolici che si rifiutavano di recitare a scuola la versione protestante del Decalogo fino alla metà del XX secolo, gli omicidi di Mormoni e Testimoni di Geova ecc... Ed è stato espressione del secondo fondamentalismo il pensiero del filosofo e pedagogo John Dewey, la cui influenza giocò un ruolo decisivo nel bloccare i fondi pubblici alle scuole religiose (che negli Usa sono soprattutto cattoliche). Il caso Pittsburgh L’errore dei primi, sostiene la Nussbaum, è che non trattano tutte le persone come uguali: rappresentanti delle religioni diverse da quella preminente, come pure atei e agnostici, vengono considerati cittadini di serie B. L’errore dei secondi - di Dewey, come della soluzione francese, dove l’antireligione è la politica ufficiale - è che disprezzano la religione e quindi non rispettano la libertà di coscienza quando viene esercitata per motivi religiosi. La soluzione, per la filosofa americana, risiede in una «libertà di coscienza incompatibile con un qualsiasi genere di istituzionalizzazione religiosa, anche con una così delicata e benevola da sfuggire all’attenzione della maggior parte delle persone». Cosa che esemplifica con la «giusta» decisione del tribunale di Pittsburgh di proibire l’allestimento di un Presepe all’interno del palazzo di Giustizia della contea: sarebbe stato un modo sottile per dare particolare risalto a un simbolo religioso esclusivo di una fede, un peccato di ortodossismo. Oltre la filosofia, però, c’è la storia, che complica le cose. Dietro la concezione della Nussbaum c’è l’idea di uno spazio civile ”vuoto”, ”tollerante”, in cui le singole religioni prendono educatamente posto le une accanto alle altre. Uno spazio che somiglia molto alla prateria americana in cui i cow-boys si insediavano come se ne fossero i primi abitatori. La storia ci dice invece che questo spazio civile ”vuoto” non esiste, che la tolleranza non è un’assenza di valori. La storia americana ci dice che neppure la prateria era uno spazio vuoto, e che i nipoti dei cow-boys sono stati costretti a riconoscere i diritti di chi già abitava il ”selvaggio West”. Peculiarità europee Tanto meno è uno spazio vuoto e privo di storia l’Europa, in cui né il cattolicesimo in Italia e in Polonia, né l’ortodossia in Georgia possono essere trattati alla stregua di una fede come tutte le altre. L’Europa in cui, peraltro, la recente esplosione del pluralismo culturale ha rimesso a tema la presenza del religioso nello spazio pubblico. Se questo mette in crisi i laicisti furiosi, mette altresì in dubbio il postulato della laicità come «neutralità etica delle istituzioni pubbliche». questo il tema di un altro libro del Mulino, pubblicato nel 2008, ma rimasto colpevolmente senza recensioni e presentato oggi a Bologna, nella sede dell’Istituto ”Veritatis Splendor”, Laicità: la ricerca dell’universale nelle differenze (pp. 418, euro 32). Curato e introdotto da Pierpaolo Donati, raccoglie testi di Rhonheimer, Berlardinelli, Colozzi, Botturi, Viola e Alici. I quali, da più parti, contestano l’identificazione di laicità e neutralità e propongono invece l’imparzialità dello Stato nei confronti delle diverse religioni: nessuna fede privilegiata rispetto alle altre, ma a tutte il riconoscimento che loro spetta in base della libertà di religione. «Laico», spiega il sociologo Donati, «è chiunque dall’esterno di ogni tradizione religiosa giudica secondo un argomentare razionale di portata universale». Ma questo ”argomentare razionale” non è indifferenza ai fenomeni religiosi, e neanche confinamento della religione nella sfera privata. Il ruolo del crocifisso L’esempio del crocifisso nelle scuole italiane, di cui Ivo Colozzi traccia la ”storia giudiziaria”, è sintomatico di quanto la storia differisca dalla filosofia. Pur entro un oggettivo pluralismo di posizioni, la magistratura italiana ha infatti accolto un’idea di laicità che si traduce, da una parte, nella aconfessionalità dello Stato e nella separazione della sfera politica da quella religiosa, dall’altra nel riconoscimento del ruolo peculiare che il cattolicesimo assume nell’identità storico-culturale del Paese. Il crocifisso sulle pareti della scuola pubblica richiama pertanto le radici dell’identità italiana non in senso di chiusura, ma, al contrario, per i valori di tolleranza e solidarietà che esso esprime. Forse, più che andare a scuola dai liberal Usa, in fatto di laicità è meglio riflettere sulla nostra europea ”identità tollerante”.