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 2009  ottobre 06 Martedì calendario

Salvate dal linciaggio il soldato Cavour - All’inizio degli anni Settanta un romanziere allora molto noto, Carlo Cassola, sostenne su un grande quotidiano milanese - con una certa supponenza - che il conte Camillo Benso di Cavour non era stato affatto quel grand’uomo che gli storici ci avevano presentato

Salvate dal linciaggio il soldato Cavour - All’inizio degli anni Settanta un romanziere allora molto noto, Carlo Cassola, sostenne su un grande quotidiano milanese - con una certa supponenza - che il conte Camillo Benso di Cavour non era stato affatto quel grand’uomo che gli storici ci avevano presentato. Aggiunse, anzi, che egli aveva fatto tutto il contrario di ciò che si sarebbe dovuto fare. Cassola sarà stato un bravo narratore - non lo si vuol negare - ma era certo, da piccolo intellettuale impegnato e coccolato dai salotti del sinistrismo antimilitarista ed ecologista, un pessimo storico. Quando si avventurava nei territori del regno di Clio, finiva inevitabilmente non per raccontare storia, ma storie. Di fronte all’impudenza dell’autore del celebre romanzo resistenziale La ragazza di Bube, Indro Montanelli si indignò e invitò Cassola a leggersi la biografia di Cavour che Rosario Romeo stava pubblicando, a rifletterci sopra e a scrivere un articolo riparatore. Il che, naturalmente, non avvenne. Le sparate anticavouriane di quel romanziere sarebbero piaciute senz’altro a quanti oggi, con superficialità storiografica e voluttà censoria, spinti da pulsioni ideologiche antiunitarie ovvero da nostalgie passatiste e antistoriche, insistono in puerili ma pericolosi tentativi di demonizzazione del Risorgimento e dei suoi protagonisti, a cominciare proprio dal conte di Cavour e dai Savoia. Rispolverando tutti i luoghi comuni di quella mentalità che fa del ”complotto”, massonico o di altra natura, il motore della storia di tutti i tempi, i Dan Brown dell’odierna e fortunata letteratura antirisorgimentale arrivano a scrivere un vero e proprio Codice da Vinci sulle vicende del processo di unificazione nazionale. E costruiscono un racconto che presenta i protagonisti del Risorgimento – a maggior ragione, rispetto a quelli ”rivoluzionari”, quelli ”legalitari” e sabaudi - come un’accolta di barbari crudeli e di cinici affaristi, mentre eleva agli altari di un ideale martirio ideologico anche certe manifestazioni criminali di banditismo. Strumento necessario I critici della ”soluzione sabauda” del Risorgimento contestano la versione oleografica del Risorgimento. E sotto questo profilo potrebbero anche avere qualche ragione, anche se, in verità, quella versione oleografica ebbe una sua precisa funzione come importante fattore di ”nazionalizzazione” del Paese, come strumento necessario per rafforzare, nell’intimo delle coscienze, il sentimento dell’unità nazionale. Quel che è grave, invece, è l’assoluta incomprensione del fatto che il Risorgimento fu un prodotto della storia. E della storia non soltanto nazionale. In questo contesto la figura di Cavour assume un’importanza emblematica: la sua cultura non provinciale e imbevuta di suggestioni e idee provenienti soprattutto dalla Francia e dalla Gran Bretagna, la sua esperienza di mondo, la sua apertura all’Europa del tempo sono indiscutibili. Come hanno ben dimostrato i migliori storici che se ne sono occupati, da Gioacchino Volpe a Franco Valseci fino a Rosario Romeo. Si comprende perché l’uomo Cavour non piaccia ai negatori del Risorgimento, agli antiunitari, ai nostalgici degli antichi Stati e regimi. Lasciamo stare (anche se, poi, non è del tutto da rigettare) l’immagine mitizzante e ideologica, di derivazione idealistica, che, da Croce a Gentile fino a Omodeo, è stata tratteggiata di un Cavour come epifania della libertà o come espressione del concreto manifestarsi della libertà nella società mondiale. Rimaniamo sul concreto. E sui fatti. Il conte di Cavour - istintivamente e profondamente ostile all’idea della rivoluzione, da lui vista sempre come rivoluzione giacobina, mirante a rovesciare le basi dell’ordine politico e sociale - proponeva, lo ha ben mostrato Rosario Romeo, una soluzione liberale dell’organizzazione dello Stato, fondata sui ceti terrieri ma anche sulla borghesia produttiva e aperta alle trasformazioni economiche e sociali del mondo contemporaneo. Ed era, altresì convinto che la premessa per la creazione di una tale società liberale dovesse necessariamente rintracciarsi nella formazione dello Stato nazionale. Accanto alle demonizzazioni di Cavour da parte di chi lo accusa di essere un ”furbetto” e un maestro di doppiogiochismo, spuntano, su tutt’altro versante, alcune grottesche rivendicazioni relative a un presunto Cavour proto-leghista e sostenitore della Padania, che si basano sul contenuto degli accordi di Plombières con Napoleone III: accordi che - come è (o dovrebbe essere) ben noto a chi abbia un minimo di informazione storica a livello scolastico - non prevedevano la formazione del regno unitario, ma la creazione di tre regni confederati. Il disegno di Napoleone III Ma i libellisti che si richiamano all’immaginato regno dell’Alta Italia vagheggiato in questa contingenza dimenticano (o ignorano o fanno finta di ignorare) che il disegno di riorganizzazione della Penisola non era affatto di Cavour, ma di Napoleone III e funzionale alla sua politica estera di revisione dell’assetto politico europeo disegnato dal Congresso di Vienna. Del resto, che Cavour abbia, più o meno obtorto collo, potuto vedere nel 1859 in una soluzione federale la modalità di realizzazione dello Stato nazionale poco importa. Sia perché, almeno a partire dal 1860, egli certamente si pose l’obiettivo politico concreto di uno Stato nazionale unitario. Sia anche, perché, Cavour fu sempre convinto che, comunque, al di là della forma unitaria o federale dello Stato, esistesse, come ha fatto osservare Rosario Romeo, «una sola nazione italiana» e che questa «avesse diritto a una propria esistenza politica». Fra demonizzazioni e appropriazioni indebite, la figura di Cavour, grande realista e grande realizzatore, continuerà, però, a giganteggiare. E non saranno queste meschinerie ad incrinarla. Anche se, tutto sommato, di questi tempi non è mai superfluo lanciare un invito a tutte le persone oneste con un minimo di amor di patria e di senso della storia: «Salvate il soldato Cavour!». E con lui il Risorgimento.