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 2009  ottobre 06 Martedì calendario

CONFLITTI, CARTE BOLLATE E AFFARI. IL DUELLO DEI ”CARISSIMI NEMICI”


Grrr», «Sgrunt». E adesso anche «Sbang!» Sì, perché in fondo - con tutta la serietà della vicenda Mondadori, che tocca le basi del rapporto tra potere economico e informazione ed è conseguenza di reati devastanti - l’accoppiata Berlusconi-De Benedetti finisce per ricalcare l’archetipo degli avversari così avversari che finiscono per fondersi in una sola immagine. Una coppia di carissimi nemici che, vista anche la qualità e la quantità dei patrimoni su cui siedono, ricorda molto zio Paperone e Rockerduck. «Grrr», appunto.
Avversari sempre, nemici spesso. Oggi più che mai, complice la non irrisoria cifra di 750 milioni. Ma prima ancora nelle pagine di storia finanziaria tanto rievocate in questi giorni. La battaglia di vent’anni fa proprio per la Mondadori, certo. Ma prima ancora, correva addirittura il 1985, la contesa - anche questa a carte truccate, si scoprirà poi - per la privatizzazione della Sme (panettoni di Stato, Cirio, Autogrill e molto altro ancora) che un De Benedetti in versione alimentare ottiene dall’Iri di Romano Prodi e che Bettino Craxi invece blocca, agevolando la strada alla cordata Ferrero-Barilla e, tanto per cambiare, Berlusconi.
Ma se negli affari - con qualche notevole eccezione di cui più avanti - è guerra continua o almeno guerra fredda, quel che colpisce anche in questi giorni è il ruolo spesso speculare dei due non più giovani capitalisti (assieme hanno 148 anni, anche quelli divisi quasi alla pari) che con la loro lotta dominano il panorama italiano. Se Berlusconi ha creato a sua immagine a somiglianza un partito-azienda, portando in politica tecniche e competenze da imprenditore, è facile vedere il modello culturale e politico antagonista nella celebre «tessera numero uno» del Partito democratico rivendicata all’epoca da De Benedetti e nel ruolo di supplenza del suo gruppo editoriale - «la Repubblica» in testa - rispetto alla debolezza dell’opposizione parlamentare.
Speculari, in fondo, i due lo sono anche nel tentativo di rimandare all’infinito il passaggio ereditario dei loro imperi. Berlusconi che, complice la percezione generalizzata del conflitto di interessi come di una stravaganza inadatta ai climi temperati, mantiene saldamente in mano sua i due terzi della Fininvest e tiene i figli già adulti confinati a quote del 7% o poco più ciascuno. De Benedetti che nell’aprile scorso dichiara a reti e taccuini unificati il suo addio a tutte le cariche esecutive, salvo poi cambiare idea e mantenere - guardacaso - la presidenza del gruppo editoriale.
L’anno scorso, poi, la somiglianza dei contrari aumenta con la rottura dell’ultimo catenaccio che ancora tiene il Cavaliere fuori dal tempio della grande finanza: l’ingresso di Fininvest nel capitale e nel patto di sindacato di Mediobanca e della figlia Marina in consiglio. Quella stessa piazzetta Cuccia simbolo supremo di capitalismo di relazione è - ecco ancora il gioco degli opposti - spesso dall’altra parte del campo quando nelle partite finanziarie gioca De Benedetti.
Eppure come in ogni grande inimicizia che si rispetti il Cavaliere e l’Ingegnere - che nelle rare occasioni private si danno del «tu» proprio come i parlamentari che poi si sbranano nei salotti televisivi - mantengono insospettabili canali di comunicazione sotterranea. Come spiegare altrimenti quell’incontro dell’estate 2005 in cui, dopo oltre un quindicennio di gelido silenzio, i due si ritrovarono a parlare. Non dei nipotini, pare. «”Tu quanto metti?”, mi ha chiesto Berlusconi. ”Cinquanta milioni di euro”. ”E allora, se sei d’accordo farei altrettanto anch’io”», fu all’epoca il racconto di De Benedetti. Quel fondo salva imprese, destinato miracolosamente ad unire lo ying e lo yang della finanza e della politica nostrana non accoglierà però mai il Cavaliere. Succede proprio a causa dell’opposizione che parte dalle colonne di «Repubblica» e che costringe De Benedetti a pubblicare su quelle stesse colonne una lettera contrita. Contatti più di recente - pare con la consueta mediazione di Gianni Letta - anche dopo la sentenza della Cassazione che confermava le condanne per il Lodo Mondadori e apriva dunque la strada al risarcimento. Ma anche in quel caso niente di fatto, nessuna mediazione che riesca a levare il detonatore all’ultimo, inevitabile, scontro tra zio Paperone e Rockerduck. «Grrr»