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 2009  settembre 30 Mercoledì calendario

E Cavour chiese un armistizio alla Padania - Un ritratto di Cavour sulla «Padania» porta questo titolo: «Cavour e il "connubio", la politica si prostituisce»

E Cavour chiese un armistizio alla Padania - Un ritratto di Cavour sulla «Padania» porta questo titolo: «Cavour e il "connubio", la politica si prostituisce». Nei sommari compaiono queste parole: «Camillo Benso era un impiccione di genio», «concordò sottobanco», diede corpo «al conflitto di interessi», «tradì gli elettori». Insomma, un poco di buono. A Mameli è andata ancora peggio: «Il primo ladro della storia d’ Italia». A Vittorio Emanuele II di Savoia la palma dell’ epiteto più sferzante: «Re degli scandali». E ancora peggio: «Gli misero in bocca una frase che, molto probabilmente, non pronunciò mai, perché non era in grado di pensarla». E non è finita, perché la Padania ha in serbo altre puntate tratte da un libro, peraltro molto pungente, uscito qualche anno fa con il titolo Indietro, Savoia, scritto non già da uno storico arruolato nelle schiere leghiste, ma dall’ attuale presidente dell’ Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca. Essendo passato a miglior vita e non potendo godere del diritto di replica, Camillo Benso conte di Cavour, alla vigilia dei 150 anni dell’ unità d’ Italia, non può nemmeno querelare e chiedere il risarcimento danni. Forse potrebbe chiedere un armistizio: non quello di Villafranca, che subì obtorto collo, ma un armistizio sulla memoria, un accorato appello a deporre le armi di una guerra che dopo un secolo e mezzo unitario, davvero non ha molta più ragione di essere. Con questo testo ipotetico: «Egregi signori della Padania, leggo dal posto in cui mi trovo le vostre pagine oltremodo ostili e ferocemente polemiche nei confronti miei e dei personaggi di spicco che hanno promosso con me la costituzione dell’ Italia unita e del suo Stato. Io non vi chiedo di cancellare le legittime critiche che ogni fenomeno storico, e di conseguenza anche il nostro Risorgimento nazionale, merita di ricevere. Vi chiedo invece di sorvegliare un’ immotivata acredine, che il tempo evidentemente non è stato capace di addolcire. Di sciogliere un malanimo foriero di equivoci e distorsioni. Noi che costruimmo il nuovo Stato italiano non fummo dei santi. E nessuno vi impedisce, come suole dirsi, di parlare male di Garibaldi: l’ ho fatto anche io, del resto. Potete ridurre la storia dell’ unificazione italiana alla stregua di una "conquista regia". Non fu così, ma almeno lasciate agli storici il compito di rileggere e reinterpretare quegli anni, e non fatene oggetto di incandescenti e, consentitemelo, anacronistiche e persino un po’ patetiche rivendicazioni politiche. Criticateci pure, ma perché insultare così la memoria di Vittorio Emanuele? Dite pure che l’ inno di Mameli non raggiunge la potente intensità emotiva delle note verdiane? Ma perché dare al povero Mameli l’ infamante appellativo di "primo ladro della storia d’ Italia"? Vedo che altri capitoli, dedicati stavolta a Mazzini e a Garibaldi, contribuiranno a completare la demolizione dei moti risorgimentali. Lasciate a Del Boca ciò che è di Del Boca. Voi siete un partito: davvero voi vi proponete di costruire una asfittica verità di partito?» «Siete gente del Nord e stento a comprendere il vostro astio a proposito di un’ unificazione politica che certo non ha sfavorito o mortificato l’ attività delle laboriose popolazioni settentrionali. Pensate davvero che i vostri problemi odierni dipendano dal modo con cui nel XIX secolo abbiamo realizzato l’ unità d’ Italia? Se lo pensate, ne avete tutto il diritto. Ma rendere eterna una guerra della memoria, infangare la reputazione di gente che, come me, è passata a miglior vita tanto tempo fa, ritenete forse che sia un rimedio efficace? Siete al governo, occupate posti di primaria e delicata responsabilità: vi sembra possibile che, con tutto il lavoro che c’ è da fare, si perda tanta energia nell’ istruire un processo contro i Padri della nostra e vostra povera Patria? Da qui, dall’ aldilà, vi chiedo cortesemente, se non la fine delle ostilità, almeno una ragionevole tregua. Una sospensione della guerra, per riconoscerci figli di una stessa storia. Piena di errori, ma degna di essere stata scritta. Insieme. Con orgoglio, Cavour».