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 2009  ottobre 06 Martedì calendario

Blackburn Elizabeth

• Hobart (Australia) 26 novembre 1948. Biologa. Nobel per la Medicina 2009 con Carol Greider e Jack Szostak • «Se gli uomini passano, ma l’umanità resta, è perché qualcosa nel nostro Dna resta stabile anche col tempo che scorre. Lo hanno definito un “tappo”, un “cappuccio”, messo all’estremità dei cromosomi per evitare che i filamenti di Dna si sfilaccino come corde troppo usate, facendoci invecchiare più in fretta del dovuto. Ai loro scopritori è andato [...] il premio Nobel per la medicina [...] In gergo tecnico questi due “tappi” si chiamano telomeri e a descriverli all’inizio degli anni ’80 sono stati tre scienziati americani con una donna come pioniere. Elizabeth Blackburn [...] specializzata nella chimica del Dna. Ha lavorato all’università della California a San Francisco fino al 2004, quando il Consiglio per la bioetica degli Stati Uniti l’ha licenziata dopo che lei aveva criticato la politica scientifica di Bush, in particolare le restrizioni imposte agli studi sulle staminali. “Il precedente capo della Casa Bianca voleva darci l’impressione che la scienza fosse nemica della morale” [...]» (e.d., “la Repubblica” 6/10/2009) «[...] è una scienziata di prima grandezza, ma non solo. È una figura di riferimento per le ragazze che decidono di mettere il camice bianco cercando di coniugare ambizioni e famiglia. Ed è anche una combattente, conosciuta per aver contrastato le derive antiscientifiche della bioetica conservatrice ai tempi di Bush. Blackburn lascia l’Australia nel 1971 per il laboratorio di Fred Sanger a Cambridge, fucina della biologia molecolare mondiale. Ma la fortuna la bacia a Yale e a Berkeley. La dea bendata ha le sembianze microscopiche di un oscuro organismo unicellulare che nuota disegnando graziose spirali (Tetrahymena thermophila). All’apparenza la scienziata ha scelto una nicchia tranquilla e riparata nel bel mezzo di un ambiente tumultuoso e competitivo, dominato dal sesso maschile. Ma ciò che scopre le consentirà di fare luce su aspetti cruciali del meccanismo con cui il Dna viene copiato e protetto nella sua integrità, regalandole un posto fra i grandi. La doppia elica è già una vecchia conoscenza quando Blackburn entra in campo, ma i punti interrogativi sono ancora molti. In particolare ci si chiede come facciano entrambi i filamenti dell’elica a essere replicati da cima a fondo, senza perdere ogni volta il pezzetto finale. La risposta arriva quando Blackburn si accorge che i cromosomi del suo microrganismo ciliato presentano una sequenza di sei lettere ripetuta in corrispondenza delle estremità. All’inizio degli anni 80, insieme a Jack Szostak, dimostra che questa ripetizione serve a proteggere il Dna dalla degradazione e che questo meccanismo non rappresenta un’eccezione ma la regola anche negli altri esseri viventi. Poi insieme alla sua studentessa Carol Greider trova l’enzima (telomerasi) che fornisce lo stampo per le ripetizioni, allungando la parte finale dei cromosomi (i telomeri, appunto). Si tratta di scoperte sorprendenti per le conoscenze dell’epoca e con il passare del tempo il loro potenziale applicativo appare sempre più promettente. La biologia dei telomeri - per usare le parole del genetista Giuseppe Novelli - lancia un ponte tra due campi di battaglia cruciali per la medicina odierna: l’invecchiamento cellulare e il cancro. Le cellule senescenti, infatti, presentano telomeri consumati, come lacci di scarpe che hanno perso le guaine protettive posizionate alle estremità. Nelle cellule tumorali, invece, la telomerasi che ripara le sequenze terminali può essere fin troppo attiva. La piccola nicchia di Elizabeth, dunque, esplode e continua a regalare filoni di indagine emergenti. Elizabeth Blackburn è uno spirito libero. Se ne è accorto George Bush, che nel 2001 l’ha reclutata nel Comitato di bioetica della Casa Bianca e poi nel 2004 non le ha rinnovato il mandato attirandosi aspre critiche da parte della comunità scientifica. Blackburn aveva cercato, invano, di tenere il comitato ancorato ai dati empirici, opponendosi alla descrizione della ricerca biomedica di frontiera come un settore post umano dominato da deliranti desideri di immortalità. Intervistata sull’accaduto, a distanza di tempo, ha raccontato di considerare quell’allontanamento come una medaglia d’onore anziché una punizione, ma immaginarsela come un Michael Moore con microscopio e pipette sarebbe un terribile errore. L’indipendenza è anche la prima cosa che cerca nei suoi studenti all’Università della California a San Francisco. “Buttatevi, non esitate a chiedere consigli ma poi sentitevi liberi di ignorarli”, suggerisce alle ragazze tentate dalle scienze della vita. In molti hanno notato che la biologia dei telomeri può vantare una presenza femminile insolitamente consistente, ma Blackburn ama precisare che nel suo laboratorio il rapporto numerico fra i due sessi è fluttuante e non si allontana mai molto da quello della popolazione generale. Come dire che invece di stupirsi della presenza di tante donne nel suo campo, bisognerebbe chiedersi come mai altrove questo rapporto sia lontano dalla parità. Nella biografia scritta da Catherine Brady si legge che Blackburn ha una mente “genderless”, né maschile né femminile. Ma in un’intervista [...] Elizabeth dice di aver imparato a considerare la diversità come una ricchezza, anche per la scienza. [...]» (Anna Meldolesi, “Il Riformista” 6/10/2009).