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 2009  ottobre 05 Lunedì calendario

AL COLLO DI SOCILLO


Caro Gervaso, ho appena finito di leggere, e glielo raccomando, il saggio di Nicola Rau ”Il piombo e la celtica”. Lasci che le porti via un po’ di spazio, ma ne vale la pena. E lasci che le citi una testimonianza di Bruno Socillo su quanto gli accadde negli anni che Capanna definì ”formidabili”.
’E veniamo a quel maledetto aprile 1971. Un pomeriggio avvenne un episodio mai chiarito: alcuni compagni del mio liceo vennero aggrediti mentre stavano suonando in una cantina della Balduina. Loro sostennero che erano stati i militanti della mia sezione (missina), anche se, peraltro, nessuno di loro pareva pestato o ammaccato... Fatto sta che, il giorno dopo, vennero da me dicendo: ”Hai indicato ai tuoi camerati la nostra cantina per farci menare”. Io: ”Ma voi siete scemi, non so neanche di che parlate”... A un certo punto comincio a sentire un corteo interno che scende giù per le scale, urlando: ”Fascisti carogne, tornate nelle fogne” guidato dai soliti noti, Lollo, Sorrentino e tutta la banda.
’Vengono verso di me. Io allora m’infilo nell’ufficio della presidenza, dove, in quel momento, c’è il vicepreside. Mi avvicino e gli dico: ”Chiami la polizia perché questi mi vogliono linciare”. Lui mi risponde: ”Questa non è casa tua, qui non ci puoi stare”. I compagni fuori urlavano: ”Vieni fuori” e colpivano la porta con calci e pugni...
’Alla fine, il vicepreside telefona al preside Giambattista Salinari, fratello di Carlo, lo storico della Resistenza, parla con lui qualche minuto, poi torna da me e mi dice: ”Il preside ha detto che devi lasciare subito i locali della presidenza perché non puoi usare il telefono e questa, ripeto, non è casa tua”. E mi spinge a forza fuori dalla stanza.
’I rossi mi circondano, mi prendono a spintoni e mi trascinano in palestra. E qui avviene una scena delirante. Lollo pronuncia una specie di requisitoria, dicendo cose folli, tipo: ”Questo qui fa la spia per Almirante”. Poi lui e un altro cominciano a preparare un cartello con la scritta ”SONO UN FASCISTA, NEMICO DI CLASSE E PICCHIATORE DI STUDENTI”. E annunciano che me lo appenderanno al collo. Intanto la palestra si è riempita di gente, sia studenti che professori. Le lezioni non riprendono. Vengono tutti ad assistere allo spettacolo”. Che ne dice?
Riccardo Castore - Milano

Cosa vuole che ne dica? Sono cose che conosco, anche se ignoravo questo edificante episodio di cui fu vittima quel fior di galantuomo e di giornalista che è Bruno Socillo, attuale direttore della radio (RAI). Infamie come queste ne sono state consumate tante. E tutte in nome della democrazia, della partecipazione, dell’uguaglianza e di tante altre balle. Balle non in sé, ma principi santi e sacrosanti, non in bocca però a degli energumeni che nel Sessantotto, che da noi durò dieci anni, si segnalarono per le sparate e bravate demagogiche. Furono anni terribili, e non solo per Socillo, concimati da ideali che non erano ideali, ma solo sfoghi settari. Tirava un brutto vento di sinistra e bisognava adeguarvisi. Ciò non toglie che alcuni, i più sprovveduti, credessero realmente in quella che era stata presentata e gabellata come una palingenesi della società. I più erano dei codardi e dei furbi, a cominciare da quei professori che non avevano il coraggio di ribellarsi nemmeno ai soprusi di cui essi stessi erano vittime. Tutti insieme a inalberare il vessillo della contestazione, la peggiore iattura abbattutasi sullo Stivale nel dopoguerra. Ma anche il rostro ideale e l’idealissimo trampolino di lancio di tanti paraventi, che non erano né di destra né di sinistra, ma solo opportunisti che piegavano le vele al vento allora di moda. Quasi tutti figli di papà e cocchi di mamma, rampolli di una borghesia pavida e dimissionaria, senza punti di riferimento se non i loro interessi.
Questi signorini e signorine, studenti universitari e liceali, passata la moda del cosiddetto impegno, hanno dato l’assalto, con la complicità di padroni vili e conformisti, alle roccheforti dei giornali, dell’editoria, ma anche degli enti di Stato e di tante aziende private. Avevano tutti voltato gabbana. E non perché avessero cambiato idea, ché non ne avevano mai avute, ma solo per tornaconto, perché volevano stare sulla breccia e comandare.
I guasti fatti dal Sessantotto, noi li denunciammo quando quella sguaiata e sciagurata stagione li provocò anche a noi, senza i cartelli al collo di Socillo. Anche noi abbiamo pagato la nostra indipendenza e la nostra simpatia per Almirante, di cui eravamo amici. Un grande uomo e un grande leader, come nel dopoguerra, mutatis mutandis, furono De Gasperi, Saragat, Nenni, La Malfa, e lo stesso Togliatti, che non avrebbero mai appeso, o fatto appendere, cartelli al collo di nessuno.
Il Sessantotto voleva cambiare la società, che andava cambiata, ma l’ha cambiata in peggio. Esso è stato la negazione della libertà di pensiero e di azione. Se non stavi a sinistra eri uno sporco fascista.
Ma i grandi responsabili di quel tornado distruttivo furono soprattutto certi docenti, che pur di non essere sputacchiati e svillaneggiati, piegarono la schiena e il resto ai pasdaran di un movimento che fece solo danni. Danni di cui ancora paghiamo il prezzo. I primi a irridere il merito furono loro.