Massimo Martinelli, il Messaggero 5/10/2009, 5 ottobre 2009
QUANT’Eè DIFFICILE DIFENDERSI DALLA LEGGE
QUALCUNO lo considera il privilegio dei privilegi: non pagare quando si sbaglia. E’ il sogno di impunità diffusa, il desiderio di onnipotenza, la consapevolezza di essere aldi sopra di tutto, anche delle leggi. Accade poco, per la verità. Anzi quasi mai. Professionisti e operai, politici e capitani d’industria, alla fine quando sbagliano pagano. Perchè ci pensano i giudici. Già; ma ai giudici chi ci pensa? La risposta, alquanto preoccupata, possiamo cercarla nel libro di Stefano Zurlo, La Legge siano Noi (Piemme, 16 euro, 223 pagine), per concludere che è vero, la legge sono loro. E talvolta se ne dimenticano.
Con l’approccio pragmatico del cronista, senza scivolare nella facile demagogia, Zurlo ha fatto quello che qualsiasi cittadino potrebbe fare, se avesse voglia di capirci qualcosa sui veri motivi del collasso della giustizia: è andato al Consiglio Superiore della Magistratura e ha spulciato tutte le sentenze di quello che è il tribunale che giudica i magistrati, cioè la Sezione Disciplinare. Ne viene fuori un florilegio di strafalcioni comportamentali che quasi mai viene sanzionato come la gente comune si aspetterebbe. Lo dicono i numeri: su circa mille procedimenti disciplinari conclusi dal ”99 al 2006, Zurlo informa che l’80 per cento è finito speditamente in archivio; il resto, più o meno duecento casi, si è concluso quasi sempre (in 126 casi) con una sentenza che assomiglia al buffetto sulla spalla, cioè con l’”ammonizione”, che non comporta alcuna consenguenza sulla carriera, sullo stipendio, sulle funzioni. Solo in sei casi su 1.010, la toga è stata buttata fuori dall’ordinamento giudiziario. Eppure si tratta degli stessi comportamenti meschini, scorretti, prepotenti che quando commessi da cittadini normali vengono puniti con pene anche importanti: c’è il giudice che non apprezza il pesce al ristorante e rifiuta il conto; anzi chiama i carabinieri affinchè ispezionino le cucine; e c’è la toga che per farsi restituire i soldi della vacanza mancata ”sequestra” letteralmente la signora dell’agenzia di viaggi insieme all’appuntato amico, la porta in un ufficio e la minaccia di sbatterla in cella al grido di ”sei capitata con la persona sbagliata, io sono un giudice”. E ancora, c’è il magistrato coinvolto in un’inchiesta che telefona al collega che quella inchiesta conduce e gli chiede com’è la sua posizione; e quello che viaggia gratis in hotel a cinque stelle nei resort di una grande gruppo di tour operator solo perchè amministra la giustizia a Parma, dove il gruppo ha sede. Un capitolo a parte, merita il filone dei magistrati ritardari, o peggio distratti. Che dimenticano di depositare le sentenze per anni, con la stessa leggerezza con la quale lasciano gente innocente in prigione e scarerano killer incalliti. Anche per loro c’è pronta la scappatoia: lavorano sotto stress, vanno capiti.
Eppure, dopo decine e decine di storie imbarazzanti di magistrati che continuano ad amministrare la giustizia, la pagina che più lascia l’amaro in bocca de La Legge siamo Noi è l’ultima. Quella in cui Zurlo si scusa con i suoi lettori per non aver potuto indicare i nomi e i cognomi delle toghe che tristemente compaiono nel sul libro. E’ una precauzione d’obbligo - spiega - suggerita dai legali chiamati a valutare il rischio di azioni legali contro il volume. Perchè una delle patologie del senso di onnipotenza è proprio questa: la determinazione a perseguitare chiunque provi a criticare l’impunità diffusa. E siccome ”la legge sono loro”, quando arriva una querela (seppure infondata), è davvero difficile difendersi davanti alla Legge.