Marcello De Cecco, Affari&finanza 5/10/2009, 5 ottobre 2009
TASSE E DEFICIT I SOGNI PROIBITI DI FRAU MERKEL
L’esplosione della crisi finanziaria ha avuto tra le conseguenze più gravi e inevitabili quella di porre termine alla corsa dei consumi privati americani drogati dal ricorso al credito facile, che è a un tratto scomparso. Questo tuttavia vuol dire che non solo l’economia americana ma quelle degli altri paesi del mondo devono fare i conti con un crollo della domanda americana di beni di consumo, prodotti in particolare in alcuni grandi paesi ed esportati negli Usa per i quali gli americani hanno pagato con denaro invece che con loro esportazioni. Il valore di questa domanda drogata americana scomparsa, corrisponde a circa il 3% del pil Usa, la bella cifra di 400 miliardi di dollari. Se non viene sostituita con domanda creata in altri paesi, la flebile ripresa che l’enorme sforzo di politica monetaria e fiscale da parte dei principali governi pare sia riuscito a generare dopo il tremendo crollo della produzione e delle esportazioni mondiali nel 2009, a costo di sfasciare la finanza pubblica degli stessi paesi, si rattrappirà su se stessa già nel 2011, rinnovando la recessione. Questa poco allettante prospettiva ha occupato buona parte del summit di Pittsburgh, perchè i governi convenuti nella ex capitale dell’acciaio si sono affaticati a cercare soluzioni che permettano di renderla evitabile.Si è così tornati a parlare di un argomento, quello dei global imbalances, che aveva avuto spazio nelle discussioni internazionali prima della crisi, sostituito da quelli più impellenti su come trovare rimedi immediati alla crisi stessa con politiche economiche coordinate per salvare i sistemi finanziari nazionali e quello mondiale. Si diceva prima della crisi che gli Usa consumano troppo e alcuni altri stati risparmiano troppo, dando luogo agli squilibri globali che si risolvono traumaticamente. Ora parte della soluzione traumatica si è verificata. Le banche americane hanno smesso di finanziare i consumatori che hanno smesso di spendere più del reddito e hanno cominciato a risparmiare per pagare i debiti. Il tasso di risparmio privato sale, il deficit estero scende e si prevede che, come in altre occasioni gli americani riusciranno a risparmiare in breve tempo addirittura il 4% del Pil e lì si assesteranno per qualche tempo.
Notizia pessima per gli esportatori mondiali, l’altra faccia dello squilibrio dei pagamenti internazionali. Essi possono vedere le loro economie crescere solo se la domanda mondiale resta al livello di prima della crisi e questo senza poter più contare sulla stessa quantità di merci che esportavano negli Stati Uniti. Uno di questi paesi è la Germania. In realtà la faccenda è più complessa: i tedeschi hanno gran parte del surplus commerciale con gli altri paesi europei e questi si procurano di che pagare la Germania esportando nel resto del mondo. Ad avere un enorme surplus diretto con gli Stati Uniti è rimasta solo la Cina, perchè anche il secondo paese in surplus, il Giappone, lo realizza specialmente con gli altri esportatori asiatici. A livello mondiale le cose non cambiano: Cina, Germania e Giappone sono i tre maggiori paesi in surplus.
Le elezioni tedesche, in coincidenza con il Summit di Pittsburgh, avrebbero dovuto essere precedute da un dibattito in cui questo problema internazionale, che coinvolge direttamente la Germania, come causa e come soluzione, avrebbe dovuto essere dibattuto. Non ci sembra invece che se ne sia parlato. Tuttavia, alcuni dei leit motiven del dibattito elettorale sono stati affrontati indirettamente. I liberali, vincitori assoluti delle elezioni perchè giuocheranno un ruolo nel governo di coalizione simile alla Lega, cioè conteranno assai più dei loro voti, hanno come tema elettorale la necessità di alleviare il carico fiscale sulla classe media. A questo tema l’elettorato democristiano è sensibile: è quindi possibile che una riduzione delle imposte abbia luogo in Germania nei prossimi mesi. Ma sarà un contributo alla soluzione degli squilibri mondiali? Viste le dimensioni del buco di domanda proveniente dal rinsavimento dei consumatori americani, senza parlare di quelli indotti in altri paesi, questo pare poco probabile.
Se i tedeschi ricevono sgravi fiscali, compreranno innanzitutto merci tedesche. Questo indurrà i produttori tedeschi a comprare parti e componenti nei paesi europei, loro fornitori abituali. I consumatori tedeschi compreranno più beni di consumo orientali, in assoluto i più competitivi e poi anche merci finite di origine europea o extraeuropea. Ma quanta domanda tedesca finirà negli Usa? E un maggior ribasso del dollaro, potrà stimolare le esportazioni? Solo indirettamente, tramite domanda di esportazioni americane di merci primarie e servizi. Ci sembra difficile immaginare un effetto significativo di questo meccanismo. Bisogna considerare che gli sgravi fiscali in Germania devono essere finanziati riducendo le spese in Germania. Altrimenti si deve peggiorare il deficit di finanza pubblica, divenuto in Germania come altrove assai più alto per effetto della crisi. Bisogna capire chi tra i tedeschi può avere interesse a chiedere l’inizio del rientro dalla crisi fiscale e dalla espansione monetaria, verso le tradizionali virtù germaniche, professate per decenni perchè essenziali a mantenere la competitività e un surplus commerciale che poteva basarsi solo sulla disattenzione degli altri paesi al disequilibrio mondiale. I difensori delle virtù fiscali e monetarie tedesche erano i democristiani, specie quelli bavaresi della Csu, ma anche i liberali. Nella nuova situazione prodotta dalla crisi, questa coalizione, che vedeva la Bundesbank come pivot, ha perso gran parte dei pezzi. Può resuscitare se i liberali chiedono, con la scusa dei tagli alle pratiche burocratiche, tagli alla spesa pubblica da loro definita improduttiva. Può essere che, rappresentando com’è possibile la parte dell’elettorato in carriera e giovane, siano favorevoli a limitare gli aumenti di spesa indotti dall’ulteriore invecchiamento della popolazione, che saranno presto i più corposi in assoluto. Questo sarebbe l’equivalente di quel che si legge nel piano di Obama per la sanità: una riduzione del costo di Medicare, l’organizzazione che assicura le cure mediche agli anziani americani.
Nel corso della crisi i tedeschi non si sono fatti carico di avanzare proposte relative al mantenimento e rilancio della domanda mondiale. Hanno invece, insieme agli altri europei, messo l’accento sulla necessità di riformare la finanza privata americana e mondiale, privandola della capacità di far danno, di recente ma anche nel corso di altre crisi mostrata. una necessità sacrosanta, quella di privare la finanza della capacità di far danno alla macroeconomia mondiale. Ma non ci sembra che i tedeschi abbiano proposto come si può sostituire la domanda americana finanziata dal credito all’edilizia e ai consumi. Se la Germania non avesse raggiunto livelli del tutto inediti nel dopoguerra di deficit fiscale e debito pubblico, si potrebbe immaginare uno scenario certamente nefasto per l’economia mondiale, con i tedeschi intenti alla loro consueta strategia di aumentare i tassi di interesse e ripianare il deficit pubblico. Oggi le cose stanno diversamente.
Ma in Germania è stata introdotta una legge costituzionale che impero il bilancio in pareggio. E’ dunque probabile che a cercar di ristabilire le virtù germaniche tradizionali siano, abbastanza stolidamente dal punto di vista macroeconomico anche se imperativamente da quello giuridico, i giudici di Karlsruhe, capeggiati da Udo Di Fabio, un tedesco di estrazione italiana, che ha già mostrato di amare pochissimo gli aspetti di limitazione alla sovranità nazionale rappresentati dalla partecipazione tedesca alla Unione Europea. L’apparizione di questo nuovo Deus ex machina, del quale proprio gli altri europei non sentivano la necessità aumenta il numero delle variabili e rende ancor più complesso il gioco. Non bastavano i parlamenti dei piccoli paesi a rendere più difficile la costruzione europea e gli equilibri mondiali. Ora ci si mettono anche i giudici costituzionali tedeschi. E’ proprio vero che viviamo in tempi interesanti...