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 2009  ottobre 04 Domenica calendario

IN AFRICA LA CHIESA DELLE DONNE


La preghiera perché «uomini e donne» della Terra «volgano i lo­ro occhi all’Africa» e insieme un invito ad essere «protagonisti» rivolto al­l’intero continente: «Alzatevi, mettetevi in cammino!». Sono passati sei mesi da quando Benedetto XVI lasciò l’Angola e diede appuntamento al II Sinodo per l’Africa che il Papa aprirà solennemente questa mattina nella Basilica di San Pie­tro.

Quindici anni dopo la prima «assem­blea speciale» dei vescovi, nel ”94, la Chiesa guarda al più povero e dimentica­to dei continenti come a un tema decisi­vo per il futuro del pianeta e dello stesso cristianesimo. I cattolici che erano un pa­io di milioni all’inizio del Novecento so­no passati da 55 a 164 milioni negli ulti­mi trent’anni e fra venticinque, calcola (con prudenza) il mensile dei gesuiti Po­poli , supereranno in numero quelli pre­senti in Europa. Per tre settimane, nel­l’Aula del sinodo in Vaticano si riuniran­no 244 padri sinodali, con 228 vescovi (di cui 33 cardinali, compresi i 14 africa­ni) che arrivano ovviamente dall’Africa (197) ma anche da Europa (34), Ameri­che (10), Asia (2) e Oceania (1), a mo­strare che «l’assemblea riguarda tutta la Chiesa cattolica», spiega l’arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del sinodo. Venti congregazioni, nove ses­sioni, un calendario serrato fino al 25 ot­tobre «a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace». Eppure ba­sterà appena ad affrontare tutte le que­stioni che i vescovi africani hanno elen­cato nell’ Instrumentum laboris già pre­sentato al Papa: «L’Assemblea sinodale dovrebbe far sentire il grido dei poveri, delle minoranze, delle donne offese nel­la loro dignità, degli emarginati, dei la­voratori mal pagati, dei rifugiati e dei mi­granti, dei prigionieri…».

Tra le altre, nel documento preparato­rio dei vescovi africani ricorre la questio­ne femminile, che vedrà impegnate an­che una trentina di donne fra religiose e laiche invitate ai lavori come «esperti» (10 su 29) o «uditori» (20 su 49). Lo stes­so Benedetto XVI aveva affrontato il te­ma, il 22 marzo in Angola: «Chi non av­verte, oggi, il bisogno di dare più spazio alle ”ragioni del cuore’? Si pensi alle terre dove abbonda la povertà, alle regioni de­vastate dalla guerra, a tante situazioni tragiche risultanti da migrazioni forzate e non… Sono quasi sempre le donne che vi mantengono intatta la dignità umana, difendono la famiglia e tutelano i valori culturali e religiosi».

Eppure «in tutte le regioni la donna continua ad essere sottoposta a diverse forme di assoggettamento», scrivono i vescovi, «violenze domestiche», «poliga­mia », «prostituzione», «mutilazione de­gli organi genitali femminili», le varie espressioni «del dominio dell’uomo sul­la donna». Senza contare, ammettono i vescovi, che «un gran numero di chiese particolari» ritiene che «la dignità della donna debba essere promossa tanto nel­la Chiesa quanto nella società»: le don­ne, come i laici, «non sono ancora piena­mente integrate» nelle «strutture di re­sponsabilità » e nella «progettazione», ovvero contano poco o nulla a dispetto delle 61 mila religiose sparse nel conti­nente.

Un continente complesso, fatto dei 53 Paesi dell’Unione africana (più il Maroc­co, escluso per il conflitto col Sahara Oc­cidentale), un miliardo di abitanti e otto­cento gruppi etnici principali, ma con problemi diffusi che i vescovi denuncia­no senza perifrasi. Guerre e armi, per co­minciare: «In connivenza con uomini e donne del continente africano, forze in­ternazionali fomentano le guerre per la vendita delle armi, sostengono poteri politici irrispettosi dei diritti umani e dei principi democratici per assicurarsi vantaggi economici, minacciano di de­stabilizzare le nazioni».

E poi «le multinazionali» che «conti­nuano ad invadere gradualmente il con­tinente per appropriarsi delle risorse na­turali, schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia d’ettari esproprian­do le popolazioni delle loro terre con la complicità dei dirigenti africani, recano danno all’ambiente e deturpano il crea­to ». Ci sono poi le tragedie sanitarie, a cominciare dall’Aids. In volo verso l’Afri­ca, una frase di Benedetto XVI («Non si può superare questo dramma con la di­stribuzione dei preservativi, che al con­trario aumentano il problema») scatenò polemiche planetarie, anche se in realtà il Papa si riferiva alla necessità di ricerca e assistenza medica (la Chiesa in Africa è in prima linea con 16.178 centri sanitari, compresi 5.373 ambulatori), oltre che al­l’educazione: non a caso l’ Osservatore Romano citò a modello, seppure «non del tutto aderente alle indicazioni della Chiesa», il metodo «Abc» sperimentato in Uganda: «abstinence», «be faithful» e «condom», ovvero astinenza, fedeltà e solo da ultimo il preservativo, spesso usato in modo improprio e quindi ri­schioso.

E ancora, ovvio, al sinodo sarà centra­le l’economia: «I programmi di ristruttu­razione delle economie africane, propo­sti dalle istituzioni finanziarie interna­zionali, si sono rivelati funesti. Le ristrut­turazioni ”imposte’ hanno comportato l’indebolimento delle economie africane e il degrado del tessuto sociale con l’au­mento del tasso di criminalità, l’allarga­mento del divario tra ricchi e poveri, l’esodo dalle zone rurali e la sovrappopo­lazione delle città». La stessa campagna di semina degli organismi geneticamen­te modificati «pretende di assicurare la sicurezza alimentare» ma in realtà «ri­schia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali rendendoli dipendenti dalle società pro­duttrici di Ogm», accusano i vescovi.

Al fondo, è evidente l’affinità con ciò che Benedetto XVI ha scritto nell’encicli­ca Caritas in veritate e ripetuto già in Africa: nella crisi «nata da un deficit di etica nelle strutture economiche», i Pae­si poveri vanno sostenuti e soprattutto coinvolti nei processi decisionali.

Tutto sommato, «il primo problema del sinodo sarà trovare un comune deno­minatore, un piano di intervento e di evangelizzazione, evitando gli estremi del pragmatismo e dello spiritualismo», riflette padre Giulio Albanese, missiona­rio comboniano e docente alla Gregoria­na: «C’è un problema di classi dirigenti locali, e la necessità di un salto di quali­tà nella cooperazione: va bene le opere caritatevoli, ma c’è bisogno di risorse fi­nanziarie e umane. Lo scandalo è che l’Africa, per la rapina delle risorse, dà al­l’Occidente più di quanto riceva. Ora la crisi ha effetti devastanti. E intanto sia­mo tornati indietro di cinquant’anni: ai tempi in cui si dava il pesce, anziché la canna da pesca».