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 2009  ottobre 04 Domenica calendario

TABUCCHI, IL «GENIO» TROPPO COMPRESO


La più bella delle anime belle non si sporca troppo le suole in Italia, lui passeggia per Lisbona o Parigi, civiltà colte e illuminate che meritano l’onore di ospitare cotanto scrittore. Con l’aureola di esiliato causa regime ha fatto la sua fortuna, Tabucchi. Sogna di essere Pessoa, ci prova simulandone l’esistenza di isolato e aspirante perseguitato, pessoeggia sui giornali (prima l’Unità, il manifesto, il Corriere, ora il Fatto dove ha pubblicato l’anticipazione del libro appena uscito, Il tempo invecchia in fretta, ed. Feltrinelli), sogna la censura del dittatore portoghese Salazar, ma gli tocca accontentarsi di Berlusconi (e a noi tocca accontentarci di Tabucchi). Icona del pensiero libero e della resistenza intellettuale, sposato con la nobile patrizia portoghese Maria José de Lancastre (famiglia di antichissimo lignaggio), cui lo unì il comune amore per la letteratura lusitana e l’insegnamento accademico, Antonio Tabucchi da Pisa si fa vanto di essere un engagé, l’intellettuale impegnato riottoso alla nota faccenda del bavaglio.
Venne fuori negli anni ”90 col suo primo best seller, Sostiene Pereira, accolto dalla critica con unanime ovazione, tranne qualche voce isolata messa subito a tacere. Successe a Luca Doninelli, che sul Giornale osò stroncare il romanzo dello scrittore già decretato «grande» nel risvolto di copertina, genio a prescindere. Tabucchi si inferocì, entrò in azione la cupola letteraria, sul Corriere della Sera il poeta Giovanni Raboni scrisse che quella stroncatura era l’anticamera per «un campo di concentramento o un vagone piombato», e non scherzava; il letterato militante Edoardo Sanguineti denunciò, anche lui senza scherzare: «Si è scatenata una battaglia contro il marxismo, tutte le altre posizioni sono invece legittimate. La destra è felice». Si capì subito che criticare Tabucchi era già reato di lesa maestà, e c’era poco da essere felici.
Le critiche sono indigeste per la coscienza civile di Antonio Tabucchi, cittadino di Lisbona fulminato da Pessoa a 20 anni, quasi per caso, y apena uno se permite de dirne mal, se incaza como un toro. Toccò a Massimo Onofri, critico letterario, che avendone sindacato il suo Tristano muore, confondendosi però tra eroina e cocaina, fu travolto dalla furia dello scrittore: «In un’intervista Tabucchi mi diede del cocainomane, interpretando il mio errore di fatto come una sorta di lapsus freudiano». Lezione numero uno: i monumenti non si toccano.
Messa in moto la macchina della beatificazione letteraria in vita, dietro la copertina di un successivo romanzo, Si sta facendo sempre più tardi (Feltrinelli), Tabucchi fece scrivere «è oggi considerato una delle voci più rappresentative della cultura europea». Anche se con grammatica e sintassi abbastanza originali. Citiamo alla rinfusa: «Ne sepolse i resti» (sepolse?), «A lei le piaccio» (a lei le?), «Se c’è un paradiso, te lo meriteresti» (non «se ci fosse»?), «Il passato, anche lui, è fatto di momenti» (lui?), «quello che sto essendo senza esserlo» (prego?), «purtroppo è morto, me lo telefonasti tu» (come?), «terreno costruibile» (non è meglio «edificabile», maestro?), «strattagemma» (con due t), e altri neologismi. Ardite metafore di natura ginecologica o proctologica: «la vita umana è una scoreggia del tempo», oppure il clitoride che gli appare «timido come certi ometti che si affacciano sulla porta di casa con la paura del postino che ha suonato il campanello».