Francesco Manacorda, la Stampa 04/10/2009, 4 ottobre 2009
CAVALIERE E INGEGNERE, LA GUERRA DEI VENT’ANNI
Un caso. Ma un caso dei più suggestivi: nel giorno in cui la piazza romana s’infiamma sui temi legati al controllo dell’informazione, un tribunale milanese segna una svolta - ma forse non l’ultima - nella ventennale guerra della Rosa, il vecchio simbolo della Mondadori, che da due decenni vede opposti Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi.
Storia remota per molti, ormai, quella della guerra su Mondadori, ma comunque fondamentale per capire anche oggi il panorama dell’editoria - e della politica - italiana. Lo scontro esplode il 10 maggio dell’89 all’assemblea di bilancio della Mondadori, ma cova già molti mesi prima.
Luca e Cristina Formenton, rispettivamente figlio e vedova del presidente Mario Formenton che era mancato nel marzo dell’87 sono infatti in rotta di collisione con Laura Mondadori, sorella di Cristina, e suo figlio Leonardo. Proprio Mario Formenton, prima di morire, aveva del resto spinto i suoi familiari più prossimi ad avvicinarsi a De Benedetti: così a fine ”88 Luca e Cristina firmano una scrittura privata nella quale si impegnano a cedere le proprie azioni Amef - la finanziaria quotata che controlla Mondadori - a De Benedetti quando nel ”91 scadrà il patto di sindacato che le vincola a quelle dei Mondadori.
Nell’aprile ”88 l’Amef è spaccata: da una parte la Cir e i Formenton, che forti delle loro attribuzioni vorrebbero nominare l’alleato De Benedetti alla presidenza della casa editrice, dall’altra Leonardo Mondadori e la madre, alleati invece con il socio Fininvest. La spaccatura ha i suoi esiti appunto all’assemblea Mondadori: il presidente Sergio Polillo non ammette al voto l’Amef e a spuntarla sono i Formenton con De Benedetti, che intanto ha comprato in Borsa il 20% della Mondadori. Il nuovo consiglio è a immagine e somiglianza dell’Ingegnere e del ramo vincente della famiglia. Leonardo promette battaglia, la Fininvest resta per ora defilata.
Ma l’abbraccio con De Benedetti dura poco. Nell’agosto89 l’Ingegnere annuncia di essere arrivato ormai alla maggioranza di Mondadori e di poter contare su «un’alleanza storica» con i Formenton. Tre mesi dopo, è novembre, i Formenton hanno già cambiato cavallo: passano con la cordata Fininvest riunendosi al ramo Mondadori. Accusano la Cir di aver tentato una scalata alla società «con un atto di propagandata presa di potere, espressione di ostilità e travalicamento del patto di sindacato dell’Amef». un ribaltone, che già nel gennaio del ”90 porta Berlusconi alla presidenza della Mondadori, spingendo le sue onde telluriche per tutto il paese: la Repubblica, il cui fondatore Eugenio Scalfari aveva ceduto la maggioranza a De Benedetti si trova adesso alle prese con un editore tutt’altro che gradito.
Presto, però, la Cir gioca le sue carte in tribunale e vince: un lodo arbitrale del giugno 1990 pronunciato da Carlo Maria Pratis, Pietro Rescigno e Natalino Irti riconosce infatti che il contratto di vendita delle azioni Amef stipulato tra la Cir e la famiglia Formenton è valido e quindi l’Ingegnere avrà la maggioranza della casa editrice. Finito? Assolutamente no, perché i Formenton ricorrono contro l’arbitrato alla Corte d’Appello di Roma. E nel febbraio del ”91 - con una sentenza comprata, come poi certificherà la Corte d’Appello di Milano con la sentenza confermata in Cassazione che condanna Cesare Previti, gli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora e l’ex giudice Vittorio Metta - i giudici capitolini annullano il lodo e dichiarano di fatto vincente Berlusconi.
Nel palazzo dei Cigni a Segrate, dove regnano i manager Mondadori i traslochi forzati sono all’ordine del giorno: l’ultimo della serie. all’epoca, vede Corrado Passera, allora nella squadra di De Benedetti, sfrattato da Franco Tatò che dopo aver servito l’ingegnere riprende le redini per conto del Cavaliere. E’ in questo clima, che nei primi mesi del ”91 spunta come improbabile mediatore Giuseppe Ciarrapico: editore ciociaro, di conclamata fede fascista, legatissimo a Giulio Andreotti, ma anche grande amico del principe Carlo Caracciolo, il «Ciarra» riesce in pochi mesi a effettuare la grande divisione dell’impero Mondadori sotto l’egida del «Caf», il sistema di potere Craxi-Forlani-Andreotti. A De Benedetti, che paga a Mondadori un conguaglio di 185 miliardi di lire, vanno l’Espresso, la Repubblica e i quotidiani locali del gruppo Finegil, oltre alle Cartiere di Ascoli. A Berlusconi l’attività «classica» nei libri e nei periodici di Segrate. «Proviamo un grande senso di vedovanza per l’assenza dei quotidiani», sarà il commento del Cavaliere dopo l’accordo.