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 2009  ottobre 05 Lunedì calendario

IL TELESCOPIO HUBBLE PER VOCE ARANCIO


Charles Bolden, attuale direttore della Nasa, era al comando dello Shuttle che il 24 aprile 1990 portò in orbita il telescopio spaziale Hubble. Quasi un ostetrico, che aiutò a nascere uno dei più complessi strumenti scientifici mai costruiti.

Vent’anni dopo Bolden è ancora alle prese con Hubble, e il 9 settembre ha presentato le immagini scattate dopo l’ultima missione di riparazione eseguita in primavera. Immagini che testimoniano come il telescopio spaziale sia tornato in gran forma, pronto per almeno altri cinque anni di lavoro.

«Dopo quasi vent’anni di servizio – ha detto Bolden nel corso della conferenza stampa di presentazione degli scatti – la nostra visione dell’universo, e il nostro posto in esso, non saranno mai più come prima». Un riassunto efficace per il contributo che Hubble ha dato all’astronomia, e che lo pone al primo posto tra gli strumenti scientifici più generosi di risultati.

Il telescopio orbitante Hubble è un cilindro di quattro metri di diametro e tredici di lunghezza. Pesa 12 tonnellate, lo specchio principale raggiunge da solo 740 chilogrammi ed è una parabola di silicio e titanio.

 costato inizialmente 3,7 miliardi di dollari. Per la sua gestione ordinaria ne servono 50 milioni all’anno. Per la gestione straordinaria (manutenzione e nuovi strumenti) se ne spendono mediamente altri 150. Un’ora di osservazione costa 90 mila dollari.

Nel luglio del 1610 Galileo Galilei, studiando Saturno al telescopio, osserva i suoi caratteristici anelli, ma li scambia per pianeti. Così scrive: «La stella di Saturno non è una sola ma un composto di tre, le quali quasi si toccano». A indurlo in errore, le limitate possibilità del suo telescopio a venti ingrandimenti.

Quella volta che Keplero, fortemente miope e con problemi di vista, pregò Galileo di regalargli un telescopio «così che finalmente anch’io, come te, possa godermi lo spettacolo dei cieli». Galileo glielo promise ma il telescopio non arrivò mai.

Fu uno dei padri della missilistica, Hermann Oberth, a lanciare nel 1923 l’idea di portare un telescopio fuori dal nostro pianeta. Un modo per sbarazzarsi del grosso problema dell’astronomia: l’atmosfera terrestre. Correnti d’aria ad alta quota, turbolenze, umidità, pulviscolo sono tutti elementi che disturbano fortemente le osservazioni. Senza contare le condizioni metereologiche, che possono costringere gli strumenti all’inattività per notti e notti. Infine c’è la presenza delle luci delle città. Costruire telescopi su alte montagne, in zone aride e desolate, è una soluzione ancora largamente seguita, ma andare nello spazio risolve tutti quei guai in un colpo solo.

Nel 1946 entra in scena l’americano Lyman Spitzer, che comincia a lavorare all’idea pratica del telescopio in orbita terrestre. Idea che lo terrà impegnato per i successivi cinquanta anni. Ma non era certo un lavoro facile. Basti pensare che l’approvazione da parte della Nasa risale al 1969, l’anno dello sbarco sulla Luna, ma il telescopio spaziale fu finalmente lanciato solo ventuno anni più tardi, dopo che nel progetto entrò anche l’Agenzia spaziale europea. In realtà doveva partire nell’ottobre 1986, portato in orbita da uno shuttle. Ma nove mesi prima c’era stato il disastro della navetta Challenger, che esplose al decollo. Missioni ferme, telescopio bloccato in deposito.

Alla fine, lo strumento viene messo in orbita. Nel frattempo gli era stato dato il suo nome definitivo: Hubble, in onore dell’astronomo americano Edwin Hubble, che per primo teorizzò l’espansione dell’universo in seguito al Big Bang. Poiché questo telescopio doveva esplorare i confini più lontani dello spazio, e quindi tornare indietro nel tempo fino a vedere le galassie appena nate dopo la nascita del cosmo, il nome sembrò il più appropriato.

«Se a qualcosa meno di duemila anni luce dalla terra ci fosse un telescopio potentissimo puntato sulla Palestina potrebbe fotografare Cristo» (Francesco Duccio Machetto, scienziato).

Primi problemi con le immagini: lo specchio che deve concentrare la luce raccolta è leggermente deformato, cosa che fa diventare il telescopio molto simile a un occhio astigmatico. Un difetto di appena un cinquantesimo dello spessore di un foglio di carta, sufficiente a impedire la perfezione che tutti si aspettavano.

Milioni di dollari non possono essere buttati via così. E allora tecnici e scienziati elaborano un complicato apparato di correzione del difetto. Nasce un’operazione di riparazione spaziale destinata a passare alla storia. Nel 1993 lo shuttle Endeavor raggiunge Hubble e gli astronauti installano prima di tutto un sistema chiamato COSTAR, destinato a correggere l’immagine distorta. Inoltre sostituiscono uno dei sistemi di ripresa digitale (la Wide field and planetary camera, Wfpc) con uno perfezionato, la Wfpc2. Anche questa fotocamera contiene specchi aggiuntivi per correggere l’aberrazione.

Durante sei passeggiate spaziali, sotto la responsabilità dell’astronauta Story Musgrave, Hubble viene rimesso in sesto. Il 13 gennaio 1994 arrivano le prime immagini, e stavolta il telescopio mantiene tutte le promesse.

Da allora lo strumento ha inondato la comunità scientifica con osservazioni decisive. I tecnici dello Hubble space telescope institute ricevono costantemente i dati raccolti dagli strumenti di bordo. Li analizzano, li ricompongono e quindi li mettono a disposizione degli astronomi. Parallelamente, lo Hubble Heritage, un settore rivolto specificamente ai non addetti ai lavori, elabora le immagini per ottenere foto mozzafiato, poco utili ai ricercatori, ma affascinanti per la gente (quelle che appaiono continuamente in libri e riviste).

Le osservazioni condotte da Hubble hanno cambiato profondamente il volto dell’astronomia moderna. Solo per citarne alcune, la stessa età dell’universo è stata definita con maggiore precisione rispetto al passato. Poi c’è la scoperta forse più importante degli ultimi decenni: la conferma del sospetto che il cosmo stia accelerando la sua espansione. Anziché rallentare, come ci si aspetterebbe dopo il Big Bang per via dell’attrazione gravitazionale tra le galassie, l’universo si sta allargando a velocità sempre maggiore. E’ la nascita della cosiddetta energia oscura, la forza ancora sconosciuta che sta spingendo le galassie lontane le une dalle altre. La conferma dell’esistenza di enormi buchi neri al centro delle galassie, l’osservazione di dischi protoplanetari nella nebulosa di Orione, segno della nascita di sistemi solari simili al nostro, sono altre risposte che il telescopio spaziale ha dato nella ricerca delle origini e del destino dell’universo.

Come tutti gli strumenti, anche il telescopio spaziale ha cominciato ad invecchiare e a tirare fuori difetti qua e là. Nel maggio scorso è partita l’ultima missione di manutenzione: a bordo dello shuttle Atlantis un ricco corredo di strumenti nuovi di zecca, montati dagli astronauti durante cinque passeggiate spaziali. Molte sostituzioni di pezzi usurati, ma soprattutto il montaggio della nuova Wfpc 3, capace di aumentare la ”vista” di Hubble di trentacinque volte rispetto alla precedente.

Seguono mesi di prove, interrotte solo il 23 luglio scorso per puntare il telescopio in tutta fretta verso Giove, sul quale qualcosa (cometa o asteroide) si era andato a schiantare lasciando uno spettacolare squarcio tra le nubi. E qui Hubble presentò subito un assaggio di cosa era capace.

Ora il telescopio spaziale è tornato pienamente operativo ed è entrato in una nuova fase della sua vita, testimoniata dalle nuovissime immagini presentate a settembre. I piani prevedono che rimarrà in servizio almeno fino al 2014, gli scienziati sperano in un tempo molto più lungo. Anche se qualcuno già pensa al suo ”funerale”. All’inizio si ipotizzava di riportarlo a Terra dentro la pancia dello Shuttle, magari destinandolo a un museo. Ma la flotta di navette smetterà di volare entro il prossimo anno. Quindi la prossima missione, umana o con una sonda automatica, servirà solo ad agganciarlo per rallentare la sua orbita in modo da farlo precipitare.

Quali saranno gli eredi di questo strumento costato in tutto dieci miliardi di dollari tra costruzione e riparazioni? Saranno capaci di far avanzare la ricerca come ha fatto Hubble? Due gli scenari che si contendono l’astronomia del futuro: i nuovi telescopi spaziali e i grandi strumenti a terra.

 già in orbita dal 2003 il telescopio Spitzer, ma è molto diverso da quello appena ”rinfrescato”. Non rileva infatti luce normale, ma solo radiazione infrarossa. Sempre dedicato alla radiazione infrarossa sarà poi il telescopio James Webb, il cui lancio è previsto per il 2014. Entrambi, costati rispettivamente mezzo miliardo e 4,6 miliardi di dollari, sono capaci di guardare dove Hubble non arriva, studiando la formazione di nuovi pianeti all’interno di nuvole di polvere cosmica ad esempio. Però i due telescopi devono essere mantenuti a temperature bassissime. Per questo è stata abbandonata la tradizione di orbitare attorno alla Terra. Spitzer segue da molto lontano il nostro pianeta nella sua corsa attorno al Sole. Webb sarà invece piazzato nel punto di Lagrange 2, un milione e mezzo di chilometri dietro la Terra rispetto al Sole.

Altri telescopi nello spazio sono già in volo o in preparazione. Ma sono molto più economici e specializzati. Come lo spartano francese Corot (50 milioni di euro) o la più costosa missione Kepler (600 milioni di dollari), che stanno studiando pianeti in orbita attorno ad altre stelle. Oppure Chandra, che con il suo miliardo e mezzo di dollari di bilancio vede i raggi X.

Grande fermento c’è invece sul suolo terrestre, dove i telescopi stanno diventando sempre più grandi e le tecnologie più avanzate cercano di annullare gli effetti negativi dell’atmosfera. La grandezza di un telescopio è essenziale: più grande è il diametro dello specchio, maggiore è la quantità di luce che sarà raccolta. Hubble, ad esempio, ha uno specchio di 2,4 metri. Un telescopio di 30 metri raccoglierebbe 150 volte più luce.

Bisogna comunque fare i conti con i costi. Per fare qualche esempio, uno dei più ambiziosi telescopi a terra in via di progettazione, l’Extremely large telescope, con i suoi 42 metri di specchio, dovrebbe costare 1,17 miliardi di dollari, praticamente un decimo di Hubble.

Però non sono più solo i soldi governativi in gioco. Il progetto del Thirty meter telescope, dal costo previsto di 780 milioni di dollari, sarà parzialmente finanziato da un privato: Gordon Moore, co-fondatore della Intel. E altri ricconi, o più semplicemente fondazioni, stanno arrivando sulla scena. L’astronomia del futuro potrebbe insomma essere sempre più un affare da privati, visto l’affanno delle istituzioni nel finanziare progetti così grandiosi.

«Quando c’è una bella notte stellata, il signor Palomar dice: ”Devo andare a guardare le stelle”. Dice proprio: ”Devo”, perché odia gli sprechi e pensa che non sia giusto sprecare tutta quella quantità di stelle che gli viene messa a disposizione...» (Italo Calvino, Palomar 1983).