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 2009  ottobre 02 Venerdì calendario

CACCIA ALLA STREGA POLANSKI


Sul caso Polanski si è scatenato un «gioco» pesante, dove pubblico e stampa sono chiamati a pronunciarsi sul fatto se sia giusto o no punire il regista con il carcere, nonostante il suo talento e la sua fama. La maggioranza, secondo diversi sondaggi, risponde che sì, è giusto punirlo. Anche se sono passati trent’anni, si dice, Polanski ha ammesso lo stupro della tredicenne e quindi deve pagare il suo debito con la giustizia. Il problema è che non è vero.
E anche il New York Times, favorevole all’estradizione del regista, sembra aver perso sia la memoria sia il gusto di indagare sui fatti. Polanski si è dichiarato «non colpevole» della violenza sessuale e di tutte le imputazioni che gli sono state addebitate in prima istanza (tra le quali, uso di droghe e sodomia) e in seguito colpevole di «corruzione di minorenne», su suggerimento del suo avvocato che puntava a un processo rapido visto che le accuse di stupro e di altre perversioni erano cadute. Polanski nell’autobiografia (Bompiani) racconta come andarono le cose, e, a parte la sua ricostruzione di quel maledetto giorno, evidentemente di parte, trascrive l’iter giudiziario che corrisponde con quello ufficiale. L’unica accusa contro di lui rimasta in piedi è: «corruzione di minorenne». Polanski ha sempre sostenuto che il rapporto sessuale fu consenziente: «Speravo che, al processo, la verità venisse a galla. Sapevo benissimo di non aver ubriacato Sandra (pseudomino di Samantha)... che il suo contegno vivace, rilassato durante il ritorno a casa, costituiva la riprova che non era stata drogata. La sua esperienza sessuale con me era ben diversa dalla versione che ne aveva data al gran giurì». Le accuse caddero anche perché la ricostruzione della stessa Samantha (che tra l’altro disse di aver avuto precedenti esperienze sessuali) indusse il magistrato a depennare le pesanti imputazioni contro Polanski.
Un altro errore nella ricostruzione della vicenda è che non fu il giudice Laurence Rittenband ad aspettare al varco Polanski (partito per l’Europa), ma il giudice Paul Breckinridge che prese il suo posto. Infatti, Rittenband, colpito dall’ istanza di ricusazione presentata dall’avvocato di Polanski (per il suo palese comportamento scorretto e ostile all’imputato) rinunciò all’incarico «per non intralciare il corso della giustizia». Il particolare non è irrilevante perché, notizia di ieri, un ex procuratore della contea di Los Angeles, David Wells, ha ammesso di aver mentito (in un documentario dell’Hbo) a proposito del fatto che Rittenband aveva deciso di condannare il regista a una pesantissima pena detentiva. La ritrattazione di Wells danneggia Polanski, che non avrebbe avuto una buona scusa per fuggire all’estero, ma in realtà Rittenband aveva già rinunciato all’incarico. E infatti il regista nella sua autobiografia non parla mai di questa minaccia, anche se sostiene che il giudice continuava a dare giudizi molto sprezzanti e duri su di lui in pubblico, motivo per cui fu ricusato. Polanski non tornò negli Usa perché aveva timore di una nuova istruttoria, di una seconda perizia psichiatrica e di tornare in carcere. Ora dovrà farlo per forza, visto che le autorità svizzere fanno sapere che ha «poche chance di evitare l’estradizione». E non servirà la lista di cineasti e personalità della cultura (gli ultimi sono Marco Bellocchio e Nikita Mikhalvov) a difesa del regista per fermare l’ondata di un giustizialismo basato su un’informazione distorta. Anche se non stupisce che giornali come Libero esultino all’idea di un Polanski ergastolano, mentre si adopera a censurare i veri abusi di potere del suo premier. Ma almeno chi ha a cuore la verità sia più cauto nell’emettere sentenze in libertà.