http://utenti.lycos.it/storiaedintorni/vittorio.htm, 4 ottobre 2009
VITA DI VITTORIO EMANUELE II - 8
Verso l’unificazione
Tornando alla politica estera, il Piemonte deve decidere che via prendere per l’unificazione d’Italia. Vittorio Emanuele è impaziente, desidera combattere per compiere quella che ormai considera come una missione affidatagli dalla stessa provvidenza divina. Nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 1859 arriva da Parigi il permesso per l’inizio delle ostilità. Il giorno seguente Vittorio Emanuele si presenta in Parlamento e proferisce un discorso con il quale vince il cuore dei ministri e li convince sul fatto che la guerra è utile e va intrapresa per il bene dell’Italia:
L’orizzonte, in mezzo a cui sorge il nuovo anno, non è pienamente sereno. Il nostro Paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei consigli d’Europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso inspira… Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi… Forti per la concordia, fidenti nel nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi i decreti della Divina Provvidenza.
Il generale delegato da Cavour è La Marmora, che è tenuto in disparte vista la decisione di Vittorio Emanuele di dare più peso al Capo di Stato Maggiore Della Rocca. Il comando delle truppe austriache viene invece affidato a Guylai, che si dimostra troppo prudente e riceve diverse sconfitte.
Intanto la Toscana, con uno dei moti, chiede l’unificazione al Piemonte. In un primo momento Vittorio Emanuele non ne prende subito il controllo ma la affida al funzionario Carlo Boncompagni.
Il primo vero combattimento si ha a Montebello, con la vittoria dell’esercito franco - piemontese, che si misura contro forze tre volte superiori. Il 31 maggio 1859 si scatena una seconda battaglia a Palestro. In essa il re manovra personalmente un reggimento di 2400 zuavi. Viste le sue truppe in difficoltà, si getta nella mischia con i sottoposti e combatte con coraggio, nonostante il colonnello Chabron, preoccupato per la sua incolumità, lo preghi di andarsene. A ciò egli risponde: "Nel momento del pericolo il mio posto è insieme ai miei, e oggi voi siete miei".
Gli alleati trionfano anche a Magenta, e l’8 giugno 1859 Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano in Milano ed assistono insieme ad una messa nel duomo.
Si prosegue poi con l’avanzata. Napoleone III e Vittorio si incontrano nuovamente a Lonato il 23 giugno. Il Savoia viene a conoscenza delle intenzioni dell’imperatore, non intenzionato a proseguire ancora per molto. Cavour non viene avvisato di ciò, e si dimetterà quando ne verrà informato. Per quanto riguarda Vittorio, si reputa già abbastanza felice per aver conquistato Milano, il resto verrà dopo.
Proseguono gli scontri. Il 24 giugno 1859 si ha quello di Solferino - S. Martino, uno dei più sanguinosi di quel periodo storico (vi partecipano più di 300000 uomini) poiché nessuna delle due parti capisce quale fosse la reale quantità di nemici da affrontare: Franco - Piemontesi credono di essere di fronte a parte delle retroguardie in fuga, gli Austriaci di dover affrontare una semplice avanguardia. La vittoria arride ai primi perché, quasi rischiando la propria vita, i generali si spingono fin sul campo di battaglia ed osservano i movimenti da compiere, mentre i condottieri avversari si tengono a debita distanza. Dopo aver trionfato sul fronte di Solferino, gli eserciti coalizzati vincono anche a S. Martino.
L’8 luglio viene firmato l’armistizio. L’11 luglio i due imperatori si incontrano a Villafranca e discutono le condizioni di pace. Cavour si dimette. Il 13 luglio, con un proclama, Vittorio Emanuele II saluta la popolazione di Milano e di tutta la Lombardia come nuovi appartenenti al suo regno.
Inizia un felice periodo di regno per il Savoia, che si sente libero ora che è privato dalla potente e invadente figura di Camillo Benso. Al suo posto elegge La Marmora, e come ministri degli esteri e degli interni, rispettivamente, Giuseppe Dabormida ed Urbano Rattazzi. Il re si sforza per trovare un sistema che gli permetta di annettere all’Italia le parti mancanti, in primo luogo il Veneto. Il 3 settembre 1859 giunge a Torino la delegazione toscana, proprio per chiedere l’annessione; il 15 settembre è la volta di quella parmense, il 24 settembre arrivano quelle di altri centri (stavolta non a Torino, bensì a Monza, dove il sovrano si è recato per qualche tempo). Vittorio Emanuele è addirittura disposto a cedere la Toscana all’Austria in cambio del Veneto, la zona più ambita da lui; si prefigura inoltre molti altri piani per impossessarsi delle regioni non ancora conquistate. Questa programmazione mostra molti problemi ed imperfezioni, ad esempio: come avrebbe fatto a spiegare agli abitanti della Toscana che si sarebbero dovuti unire all’Austria, dopo che tanto avevano lottato per il Piemonte?
Il Parlamento richiede a forza il ritorno di Cavour, il re è costretto a richiamarlo (16 gennaio).
Il 18 marzo il regno d’Emilia si annette al Piemonte, il 22 marzo la Toscana è definitivamente inglobata; i Savoia, tuttavia, perdono Nizza e Savoia, cedute a Napoleone III.
Torniamo alla vita privata. Vittorio Emanuele inizia ad essere quarantenne; il suo aspetto è peggiorato, è più vecchio, ha accumulato peso, la barba e i baffi non lo migliorano certo. L’Italia aveva bisogno e voleva l’immagine di un re forte e coraggioso, ma anche bello. Ormai Vittorio non è più tale, tanto che si arriva al punto di contraffare pitture e statue ufficiali, magari sostituendo qualche particolare anatomico, o l’intero corpo, con quello di Carlo Alberto.
Si è reso conto che la sua Rosina è l’unica donna con cui egli può vivere, nonostante tutte le altre avventure che continua ad avere. Ormai è deciso a sposarla. Ella, al momento, vive al palazzo della Mandria con i figli. Si è creata una piccola corte di avvocati, ufficiali, studiosi. Arriva persino a desiderare uno stemma ed un motto personali. Vittorio è molto affezionato ai suoi figli naturali; quelli legittimi si trovano presso il castello di Moncalieri, dove il re stesso aveva passato l’infanzia: anche loro vengono "tenuti sotto torchio" durante tutta la giornata da severi educatori.
Successivamente il regnante assiste ad uno spettacolo di Laura Bon (in futuro capiterà sempre più di rado). Non parla personalmente con l’attrice, ma le invia tramite persona fidata una grossa somma di denaro per il mantenimento suo e della bambina che aveva messo al mondo.
Ormai l’unità d’Italia era vicina, Vittorio Emanuele non è molto convinto di Garibaldi, che decide di iniziare una conquista a partire dal Meridione. Il sovrano alla fine si dimostra favorevole all’operazione, tuttavia non fornisce all’eroe di Nizza mezzi sufficienti; anzi, in alcuni ambiti nega addirittura di essere al corrente di ciò. Vittorio sa infatti che il sovrano di Francia non lo permetterebbe, deve fingere estraneità per evitare la rottura dei trattati con tale Stato, molto vantaggiosi per il suo regno. Ancora più brutta è la situazione verso Cavour, che è apertamente ostile alla spedizione dei Mille (in realtà vi partecipano circa 1095 uomini). Garibaldi tuttavia parte da Quarto e dopo un rifornimento a Talamone giunge in Sicilia; in seguito a vari scontri se ne impossessa. Ormai è lanciato, il suo motto è "Italia e Vittorio Emanuele". Continua verso Napoli, dove deve affrontare altre battaglie. Non è ancora finito lo scontro in Campania, e già pensa di proseguire fino a Roma: solo quando anch’essa sarà dominio Savoia, Vittorio Emanuele potrà essere incoronato re d’Italia. A questo punto, tuttavia, il sovrano e Cavour si rivelano più veloci dell’eroe; convincono Napoleone III, che protegge il Papa, che Garibaldi va fermato; l’unico modo per farlo è scendere con l’esercito attraverso l’Italia centrale. Dopo un primo momento di riluttanza, l’Imperatore accetta la proposta dei Savoia e inizia la discesa. Il re favorisce i moti liberali delle aree su cui passa il suo esercito. Intanto Garibaldi sconfigge definitivamente sul Volturno le truppe di Francesco II (1-2 ottobre 1860).
Il 25 ottobre passa il Volturno e giunge a Teano. La discesa dell’esercito sabaudo, al quale si era unito lo stesso Vittorio Emanuele II presso Ancona, prosegue a rilento, poiché si attendono i risultati del plebiscito per l’ammissione al regno. Finalmente, il 26 ottobre 1860, Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano a Teano e per la prima volta il generale saluta il suo sovrano con l’appellativo di "Re d’Italia". Quando il reggente tenta di entrare a Napoli (7 novembre) insieme a Garibaldi per assistere ad una funzione, il suo seguito deve proteggerlo da una folla rumorosissima e compattissima, tanto da dover ricorrere ai pugni all’interno della chiesa designata per la Messa. Al re viene fatta baciare 5 volte la reliquia contenente il sangue di S. Gennaro, e si dice che esso abbia iniziato a bollire, nonostante non si abbiano prove.
Ora Garibaldi deve essere allontanato. L’eroe dal canto suo desidera scostarsi dalla scena politica e si reca a Caprera, senza neanche il saluto dei vessilli regi sulle navi sabaude.
Il 18 febbraio 1861 viene inaugurato a Torino il primo Parlamento Italiano. Il 17 marzo dello stesso anno Vittorio Emanuele promulga la legge con cui viene riconosciuto re d’Italia.
Nuovo è lo Stato, nuovi sono i problemi: primo fra tutti il brigantaggio, sviluppatissimo e assolutamente dannoso nel sud della penisola. Diverse persone tentano di porre rimedio a questo fenomeno, ma senza successo. Il neo sovrano deve inoltre concentrarsi riguardo al Veneto, ancora sotto il controllo dell’Austria, che non dà segno di volersene liberare. Abbiamo poi la questione del Papa, che non sopporta di vedere il territorio di sua proprietà drasticamente ridotto; di lui si occupa Cavour, che gli invia diverse lettere:
Santo Padre, il potere temporale per voi non è più garanzia d’indipendenza; rinunziate ad esso, e noi vi daremo quella libertà che avete invano chiesta da tre secoli a tutte le grandi potenze cattoliche; di quella libertà voi avete cercato strapparne alcune porzioni per mezzo di concordati, con cui voi, Santo Padre, eravate costretto a concedere in compenso dei privilegi, anzi, peggio che privilegi, a concedere l’uso delle armi spirituali alle potenze temporali che vi accordavano un po’ di libertà; ebbene, quello che voi non avete potuto mai ottenere da quelle potenze, che si vantavano di essere i vostri alleati e i vostri figli divoti, noi veniamo ad offrirvele in tutta pienezza; noi siamo pronti a proclamare nell’Italia questo gran principio: libera Chiesa in libero Stato.
Ormai Vittorio non sopporta più tale ministro e cerca un possibile sostituto. Tutto si rivela però inutile, poiché nello stesso anno Cavour si ammala di una "perniciosa comitata delirante con febbre di tipo terzenario": più semplicemente, malaria. Il 5 giugno Vittorio Emanuele II gli fa visita, dopo aver ricevuto i sacramenti nel pomeriggio. Camillo muore il 6 giugno. Il re viene giudicato molto duramente in quanto non si reca ai funerali e impedisce ai suoi figli di recarvisi, adducendo lo studio come pretesto.
Inizia un nuovo periodo di libertà per il sovrano: niente tutori giovanili, niente guerre, niente ministri di polso come D’Azeglio o Cavour.
L’8 giugno 1861 Vittorio chiama al potere il Barone Ricasoli, seguito l’1 marzo 1862 da Urbano Rattazzi. Intanto Vittorio ristabilisce la sua rete di spie che lo informano sugli avvenimenti esteri più importanti. Non si può certo dire che il sovrano sia "omogeneo" nel governare: promuove qualcosa, nega poco dopo, si schiera da una parte, quindi dall’altra,… Ne è un esempio il fatto che cerchi un accordo pacifico con l’Austria, affinché gli ceda il Veneto. Sul fronte di Roma invece, grazie alla convenzione del 14 settembre 1864, riesce ad allontanare dalla futura capitale d’Italia le truppe francesi. Per essere più vicino trasferisce il centro dei poteri a Firenze, dove si reca il 3 febbraio 1865.