Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 04 Domenica calendario

Biografia di Vittorio Emanuele II (scritta da uno studente) a cura di Marco Agosto, Liceo "Cattaneo", Torino 2001 Vittorio Emanuele II di Savoia La vita del "Re Galantuomo" Nascita, infanzia ed adolescenza del futuro Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia nasce il 14 marzo 1820 a Torino, nella residenza di famiglia di palazzo Carignano

a cura di Marco Agosto, Liceo "Cattaneo", Torino 2001 Vittorio Emanuele II di Savoia La vita del "Re Galantuomo" Nascita, infanzia ed adolescenza del futuro Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia nasce il 14 marzo 1820 a Torino, nella residenza di famiglia di palazzo Carignano. E’ il figlio primogenito (il padre ne ebbe due) di Carlo Alberto e Maria Teresa d’Austria - Lorena, figlia di Ferdinando III, il Granduca di Toscana. La sua esuberanza risulta evidente già dall’inizio, se è vero che sua madre, al momento del parto, dovette soffrire per tre notti e due giorni prima di poterlo dare alla luce definitivamente. Il suo nome di battesimo, composto addirittura da sette nomi singoli, è Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso. Il periodo storico non è molto favorevole per la sua famiglia, tanto che è costretto a fuggire con la madre a Nizza, quindi a raggiungere il padre a Firenze, per evitare gli scontri del 1821 tra l’esercito sabaudo e i rivoltosi italiani (20 o 21 marzo, la data è incerta). Un secondo pericolo che il piccolo re deve affrontare è l’incendio del 16 settembre 1822. Siamo nella villa di Poggio Reale. Il giovane Vittorio Emanuele II è affidato alle cure di una ragazza ventiseienne, Teresa Zanotti Racca; questa, accendendo una candela, infiamma per errore i veli della culla, da cui si diffonderà poi il fuoco. Teresa riesce a salvare il sovrano in fasce, ma a costo della propria vita: mentre Vittorio rimane solo lievemente ustionato al fianco sinistro e alla mano destra, la nutrice, in condizioni più gravi ma sul momento non giudicate pericolose, muore il 6 ottobre. Carlo Alberto si limita a dotare il marito di un indennizzo. Finalmente, il 7 maggio 1824, Vittorio Emanuele torna con la famiglia a Torino, dopo aver vissuto tre anni in Toscana. L’ambiente familiare non è molto favorevole per il bambino: i rapporti con i genitori sono alquanto ridotti e, comunque, freddi. Vittorio e il fratellino Ferdinando non hanno occasione di cercare amici o comunicare con il mondo esterno. Il padre tenta, fin dalla tenera età, di trasmettere loro solidi valori morali: crea per questo i "Contes Moraux" racconti di origine germanica tradotti in francese dal sovrano Carlo Alberto in persona, a cui egli aggiunge qualcosa di proprio pugno; peculiarità di tali racconti sono i valori positivi trasmessi (la patria, la famiglia, la verità, l’abnegazione ed il coraggio) e gli esempi da cui prendere spunto. Il 1 gennaio 1830 i due bambini vengono affidati ad un governante, il cavaliere/conte Cesare di Saluzzo. Altri incaricati per la loro educazione sono il cavalier Gerbaix de Sonnaz, il cavalier Saint Just, il teologo Charvaz, padre Lorenzo Isnardi, Giuseppe Manno: essi devono regolare ogni singolo istante della vita dei due Savoia, ma anche occuparsi di loro, quasi come dei servi; per questo dei sopracitati nessuno è dotato di grandi qualità o ideali da trasmettere a Vittorio e Ferdinando: crescono come possono. Il regime di vita si dimostra ferreo, schematico ed assolutamente inderogabile: sveglia alle 5.30, indipendentemente dalla stagione o dal tempo atmosferico; studio dalle 6.00 alle 8.00; colazione fino alle 10.00; disegno e calligrafia dalle 10.00 alle 11.00; infine altre due ore di studio. Viene poi il pranzo con relativa pausa di riposo. Si riprende alle 14.00 con scherma, poi una passeggiata dalle 14.30 alle 16.00, ginnastica fino alle 17.00, altro studio dalle 17.00 alle 19.30. Vi è quindi la cena per un’ora, poi mezz’ora di preghiera: alle 21.00 Vittorio Emanuele II deve andare a dormire. Le materie insegnate sono molto varie; a parte quelle fisiche vi sono Aritmetica, Latino (Nepote, Cesare, Fedro), Storia. Si aggiungono altri precettori, come il maggiore Dabormida, il generale Sobrero, l’architetto Bonsignore, il mineralogo Sismonda ed altri. Vittorio non riuscirà mai ad amare lo studio. Neanche il padre riesce a dimostrarsi comprensivo ed aiutarlo in questo: utilizza un linguaggio severo, ricorda i doveri, intimorisce con discussioni riguardo ai peccati che si possono commettere, mancanza di sincerità in testa. Il 27 aprile 1831, alla morte di Carlo Felice, Vittorio Emanuele II diventa principe ereditario della corona di Sardegna (in quanto figlio primogenito di Carlo Alberto, che è il sovrano). Sia lui che il fratello ricevono cariche onorifiche, come quella di tenente de Reggimento Piemonte Reale Cavalleria (24 gennaio), di capitano d’ordinanza della Brigata Savoia (8 maggio), di duca di Savoia (12 maggio, carica che Vittorio Emanuele riceve dal padre stesso). Negli anni successivi il principe viene insignito di altre onorificenze, come quella di Capitano d’Ordinanza del primo reggimento della Brigata Savoia (1 gennaio 1832), Maggiore d’Ordinanza dello stesso (13 marzo 1834) e finalmente anche Luogotenente Colonnello (24 dicembre 1836, giorno in cui viene anche iscritto nell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata). Continua l’educazione di Vittorio, che dimostra interesse per la vita militare, i cavalli, le cacce, la natura, i viaggi, il ballo, il disegno. Finalmente il 14 marzo 1839 l’erede di casa Savoia conclude il periodo di educazione giovanile e costituisce la sua Casa Militare. Un mese dopo (14 aprile) assume il comando completo del suo reggimento della Brigata Savoia. Il matrimonio e le prime "trasgressioni" Conosciuta la nuova libertà, Vittorio Emanuele non tarda a rivelare il suo grande amore per le donne; nei primi anni dopo il compimento della maggiore età ne conosce ed ha rapporti con molte, la prima delle quali è una semplice cameriera (1838) a cui rimarrà sempre molto legato, ricordandola come "fresca e giovane". Egli infatti è attirato non dalle fredde e poco avvenenti, a quanto pare, donne nobili, bensì da serve e contadine più calde e "vive". Visto il gran numero di successi, si può paragonare Vittorio Emanuele ad una specie di "Miles Gloriosus", in parte spaccone e vanaglorioso. Vista la situazione, i regnanti Savoia non tardano a capire quanto sia opportuno trovare qualcuno che freni gli istinti del giovane, non proprio adatti ad un futuro re. Riescono così a trovargli una consorte in Maria Adelaide di Austria di Lorena, con cui Vittorio convolerà a nozze a Stupinigi il 12 (o l’11) aprile 1842, dopo essere tornato dal viaggio in Sardegna del 1841. La primogenita della coppia nascerà il 2 marzo dell’anno successivo (1843), e si chiamerà Clotilde Maria Teresa di Savoia. Per il primo figlio maschio, Umberto Ranieri Carlo Emanuele, Vittorio dovrà attendere fino al 14 marzo 1844. Tutto questo non serve comunque a frenare gli istinti dell’erede che abbandona la sua residenza per lunghe cacce, che però non si limitano solo agli animali: le paesane avranno sempre un posto speciale nella sua mente e nel suo cuore, molto più della moglie Adele, che tuttavia gli da ben sette figli tra il 1843 e il 1855. Una delle più famose amanti di Vittorio Emanuele è Laura Bon. Si tratta di un’attrice, discendente da una nobile famiglia veneziana, che egli conosce a teatro nel 1844. I due iniziano a frequentarsi, lei si innamora. Dopo un inizio quasi ingenuo Vittorio Emanuele riesce a passare una notte con lei nella casa di un suo ufficiale. Il giorno successivo Laura parte per una tournee, credendo ormai finito quell’amore fulmineo e coprendosi di nostalgia. Quattro anni dopo, nel 1848, si rivedranno al teatro Nazionale e passeranno altro tempo insieme. Ella, al colmo della gioia, arriva a fingersi malata durante lo spettacolo. Lui contraccambia i sentimenti, ma il suo cuore è ormai posseduto da un’altra amante: Rosa Vercellana. Rosa, chiamata col soprannome di "bella Rosina", è una paesana originaria di Moncalvo. Non ne siamo sicuri, ma secondo le cronache del tempo doveva essere una donna veramente avvenente. Vittorio Emanuele la conosce attorno al 1847 quando ella ha 14 anni: è la figlia di una contadina e un soldato. Vi sono varie teorie su come i due si siano incontrati: una delle più accreditate spiega che la ragazza era solita accompagnare il padre ai raduni alla reggia. Quel che si sa è che la relazione tra i due sarà duratura, l’1 dicembre 1848 nascerà una bambina (Maria Vittoria Rosa Francesca Adelaide) considerata figlia di genitori incogniti. La moglie di Vittorio Emanuele II, Adelaide (Adele) subirà il colpo senza ribattere; lo stesso Cavour cerca in tutti i modi di separare il nobile dalla contadina, definita come una "avventuriera". 1848 e dintorni Siamo intanto arrivati ad uno dei periodi più importanti della storia d’Italia e dei Savoia, ovvero l’arco di tempo attorno al 1848. Un po’ in tutta la Penisola i cittadini hanno cambiato atteggiamento, stanno diventando più consapevoli del fatto che la loro terra deve liberarsi da influssi delle potenze straniere, e possibilmente unificarsi. Tra le correnti più importanti vi è quella dei Neoguelfi, con Gioberti. Altri uomini - chiave sono Balbo, D’Azeglio, ma specialmente Camillo Benso Conte di Cavour. Gli ideali non rimangono solo in Italia, accadono sconvolgimenti e proteste anche in altri Paesi (Francia, Prussia, Austria). I primi moti scattano in Sicilia. Nel 1846 Papa Gregorio XVI, tradizionalista, viene sostituito da Giovanni Mastai Ferretti, ovvero Pio IX, di idee molto più liberali: è un invito ad agire. In seguito ai moti appena accennati molti Stati italiani concedono la Costituzione; Carlo Alberto non è da meno, promulgando il 4 marzo 1848 lo Statuto Albertino. Tra le rivolte con più eco vi sono le "Cinque giornate di Milano", dal 18 al 22 marzo 1848 (importante fu Cattaneo), e i moti di Venezia, 22 marzo 1848, dove Daniele Manin assume il potere. A questo punto Carlo Alberto decide di dichiarare guerra all’Austria (23 marzo 1848). Rinforza l’esercito piemontese aumentando il numero dei battaglioni (oltre il doppio) e utilizzando Vittorio Emanuele come comandante della Divisione di Riserva nella I Guerra d’Indipendenza. Questi parte alla volta della Lombardia, e il 25 aprile 1848 varca il Mincio. Senza dubbio il giovane generale è pieno di ardore, tuttavia non è ancora molto esperto e gli manca decisamente la pratica. Nonostante siano diversi i piani d’azione che propone al padre, nessuno di questi viene accettato. Anche se sta partecipando ad un conflitto, Vittorio non smentisce la sua fama di donnaiolo neanche sul fronte: girano voci che la sera, nonostante tutto si trovasse poco lontano dai quartieri militari con una donna di cui non fa mai il nome. Anche se la moglie Adele non è certo all’oscuro di questi rapporti e della natura non - pia del marito, continua ad amarlo assiduamente e gli spedisce lettere di conforto sperando che ritorni il prima possibile. Bisogna considerare che i due coniugi passano pochissimo tempo insieme nel 1848 a causa delle lotte. Vittorio Emanuele II partecipa alla battaglia di Pastrengo, primo vero scontro tra l’esercito sabaudo e quello austriaco (30 aprile 1848). Il 30 maggio 1848, invece, durante il conflitto presso Goito, vinto poi dai Piemontesi, il principe viene colpito da un proiettile. Dopo essere caduto da cavallo vi rimonta e sfila davanti all’esercito, che reagisce positivamente all’evento. Il 16 novembre 1848 stabilisce la sede della sua divisione ad Alessandria. Il Piemonte, comunque, ha ormai perso la guerra: il 23 marzo 1849 l’esercito di Carlo Alberto viene definitivamente sconfitto a Novara. Tale disfatta è dovuta alla poca coordinazione all’interno dell’esercito degli sconfitti, tra cui un ritardo di intervento da parte di Vittorio; a parte ciò, il principe si comporta con valore e coraggio. Il sovrano abdica in favore del figlio primogenito, e si allontana quasi di nascosto da Torino. Si reca in Portogallo, e morirà ad Oporto il 28 luglio 1849. A questo punto l’intero stato è nelle mani del neo re Vittorio Emanuele II. Non si può certo dire che il nuovo regnante inizi la sua carriera nel modo più edificante, il suo primo atto ufficiale è infatti quello di partecipare, a Vignale (il 24 marzo 1849), ad un colloquio insieme al generale austriaco Radetzky, per discutere le condizione dell’armistizio che sancisce la sconfitta del Piemonte. Egri si comporta egregiamente in questo ambito, per due motivi: riesce a porre un freno alle esagerate richieste del maresciallo, e convince il Senato ad accettare le condizioni i pace austriache anche se, chiaramente, a svantaggio del Regno di Sardegna. Pochi giorni dopo firma a Borgomanero l’armistizio detto di "Novara". La politica di Vittorio Emanuele si discosta in parte da quella del padre. Il re, neanche trentenne, inizia a prefiggersi, come obiettivo, l’unificazione d’Italia sotto di lui: Si circonda di nuovi funzionari, tra cui Massimo D’Azeglio (entrato in Parlamento il 7 maggio 1849), che divide con Vittorio non pochi interessi (ad esempio, donne e cavalli). Grazie al suo aiuto i successi, in particolare modo in politica estera, crescono di molto. Un’altra cosa importante da dire su Vittorio Emanuele è questa: dopo aver discusso molto le leggi in vigore prima del suo arrivo, il 29 marzo 1849 giura la Costituzione davanti al Parlamento. Per averla lasciata invariata dopo la sua presa di potere, Vittorio si guadagna il soprannome di "Re Galantuomo". Il 3 luglio 1849 Vittorio Emanuele rivolge da Moncalieri il proclama della "Convalescenza" per invitare i sudditi ad aiutarlo nel consolidare le istituzioni costituzionali. Si ha un periodo di conflitti con il Parlamento: mentre il re mira alla pace, questo voleva la ripresa delle ostilità. Per questo motivo il sovrano, il 20 novembre del 1849 si vede costretto a sciogliere la camera ed a promulgare il "Proclama di Moncalieri "; esso è si un appello, ma molto vicino ad un ricatto: se non si fosse trovata una maggioranza moderata, il re avrebbe abolito il Governo costituzionale. Il 10 dicembre si hanno le elezioni . Spensieratezza del nuovo sovrano Nonostante la situazione molto tesa, il re non rinuncia agli svaghi a cui è abituato: va a caccia, passa tempo con donne diverse dalla moglie; la sera ama scherzare con gli amici come se fosse una persona qualunque. Effettivamente Vittorio non è molto attirato dalla politica, e comunque non si comporta esattamente come dovrebbe: va e viene , cammina rumorosamente, siede a cavalcioni su sedie e tavoli, fuma sigari, indossa pantaloni sformati, scherza con il proprio seguito. Si è già detto che il re ama circondarsi di validi ministri e aiutanti, tuttavia, per testardaggine, agisce spesso di testa sua, senza chiedere consigli né pareri. Per questo motivo trova, a volte, seri motivi di contrasto nei confronti di D’Azeglio e Cavour. Riguardo a quest’ultimo bisogna dire una cosa: il re è contrario a farlo entrare in parlamento vista la sua indole decisa e la mancanza di mezze misure; Cavour chiama un prete, il servita Bonfiglio Pittavino, affinché dia l’estrema unzione ad un suo amico morente; visto il rifiuto dell’uomo di chiesa, il futuro ministro promette sventure: lo caccerà da Torino insieme all’ordine di appartenenza (ed è proprio ciò che succede). Scoppiano polemiche, tuttavia Cavour guadagna in fama e potere e l’11 ottobre 1850 il re e D’Azeglio, riluttanti, sono costretti ad accettarlo. I tempi sono molto cambiati da quando sul trono vi era Carlo Alberto: il figlio abolisce le etichette, la corte perde molta della sua eleganza (anche se ciò non dispiace a Maria Adelaide). Ecco una giornata-tipo al Palazzo Reale: caccia o passeggiata a cavallo per quanto riguarda il mattino, pranzo alle 11.30 (con dame e cavalieri d’onore, anche se il re è assente), riposo dalle 12.00 alle 14.00; quindi il re si reca a Torino per sbrigare affari di interesse pubblico o privato; prima di cena vi è un’altra passeggiata a cavallo o in carrozza, alle 19.00 il pasto e la conversazione, fino al momento in cui , ritiratosi Vittorio, madre e moglie si trovano in salotto per una partita a "Whist", almeno fino al 12 gennaio 1855, data di morte della prima. La seconda invece passerà a miglior vita lo stesso anno, diciotto giorni dopo (20 gennaio). Quest’anno è senza dubbio nefasto per Vittorio, che perde, il 10 febbraio, il fratello Ferdinando Duca di Genova. E’ curioso che don Bosco, avendo sognato tali eventi, avesse scritto al re informandolo dell’accaduto prima che i fatti si svolgessero effettivamente. Dopo la sconfitta di Novara il re, tornato a casa, riallaccia i legami con Laura Bon: una sera l’avvicina fuori dal teatro, fa in modo che un suo amico distragga le sue compagne e la invita a Palazzo Reale per il giorno successivo. Laura non si presenta, tuttavia è il re che la va a trovare sotto casa e i due ricominciano a frequentarsi regolarmente (a parte un breve periodo in cui Vittorio si ammala). La situazione non può passare senza che l’altra grande fiamma, Rosa Vercellana, se ne accorga. Dopo vari litigi con l’amante, questa si allontana permettendo a Laura di vivere uno dei periodi più felici della sua vita con il sovrano. Alla fine, comunque, è lei che si ammala, e non vedendo il re felice come dovrebbe al momento della sua guarigione, capisce di essere solo al secondo posto nel suo cuore, dopo la bella Rosina. Siamo nel 1850. Laura si allontana dopo aver dato al sovrano due figli (il primo dei quali morto prematuramente subito dopo il parto). La Vercellana torna a corte, partorisce un altro figlio anch’egli definito "di genitori incogniti" e chiamato Emanuele Alberto Francesco Ferdinando Guerriero (o Guerrieri). Il Piemonte "lanciato" sulla scena europea Il re continua nel suo metodo di politica "riservata" non chiedendo pareri: arriva a mantenere costantemente un grosso numero di agenti segreti affinché lo tenessero sempre informato e potesse prendere decisioni più ragionate. D’altro canto, lo stesso Cavour, nella sua risoluzione, non era da meno: tiene lo stesso parlamento (almeno a volte) all’oscuro delle proprie decisioni. Vi è un’occasione comunque, in cui questi due grandi personaggi si "alleano" prendendo una via sì senza informare i vari ministri, ma comunque dopo essersi parlati: la guerra in Crimea. Prima di partire per essa, il re deve trovare consensi presso le grandi potenze Europee, come Francia e Inghilterra. E’ per questo che parte, in testa ad una delegazione di ambasciatori, alla volta di Parigi (20 novembre 1855). Da lì si reca poi in Inghilterra, dove incontra la regina Vittoria. La spontaneità del sovrano è motivo di diletto per i cortigiani con cui parla, rendendolo ammirato e piacevole. Grazie a ciò riesce a fare conquiste presso l’altro sesso anche all’estero, sia in Francia che in Gran Bretagna. Per un attimo si crede che, morta la moglie, possa trovare una nuova compagna ufficiale in Mary di Cambridge, una principessa cugina della regina Vittoria. Mary tuttavia declina, ufficialmente con una lettera elegante, in realtà assolutamente sconcertata per i modi di fare di Vittorio Emanuele II. Ci è pervenuta una lettera privata spedita da Mary al Duca di Cambridge il 14 settembre 1856: Rispetto ad altri che potrei citare, sono più incline a chiudere un occhio per la sua mancanza di educazione… ma tra le mille e una obiezione che sorgono immediatamente contro la sua offerta, c’è il fatto – e tutto lo fa capire – che la mia tranquillità e la mia felicità sarebbero, se diventassi sua moglie, molto problematiche. Egli è, ne sono convinta, una brava persona, ma questo non basta a compensare la sua mancanza di principi e di buone maniere; e come potrei mai rispettare e stimare un uomo così totalmente grossolano, uno che non ha neppure la cortesia e la raffinatezza di un gentiluomo per compensare le sue debolezze? Mentre il re agisce come di consueto, il Cavour, che lo accompagna, conosce e discute con tutti i più importanti e più potenti funzionari dei Paesi visitati, presentando la questione piemontese e la sua intenzione ad entrare attivamente nella guerra in Crimea. Il 6 dicembre Vittorio Emanuele torna con il suo seguito a Torino, dopo aver ottenuto appoggio da Napoleone III. Il Piemonte entra così in guerra, riportando qualche successo. Per questo motivo il Cavour viene invitato al Congresso di Parigi (febbraio 1856) per discutere le condizioni di pace. Qui i risultati, almeno in apparenza, sono scadenti: Vittorio Emanuele scrive al suo ministro esortandolo a prendere il più possibile dalle altre Potenze, tuttavia questi torna a casa a mani vuote; bisogna comunque considerare il grandissimo passo avanti compiuto dal Regno di Sardegna, che ha presentato la propria situazione all’Europa e si è dimostrata valida e decisa nonostante le ridotte dimensioni: si tratta di una vittoria politica. I rapporti con la Francia A questo punto il Cavour tenta di trovare il modo per provocare l’Austria, sconfiggerla e occupare il Lombardo - Veneto. Il rapporto con Napoleone III subisce un duro colpo e rischia di spezzarsi nel momento in cui un rivoluzionario italiano, Felice Orsini, compie un attentato contro l’Imperatore stesso, non riuscendo nel suo intento. Egli è adirato con l’Italia ed il Piemonte in particolare, visto come "un covo di vipere" pronte a mordere senza preavviso. Vittorio Emanuele ed il Cavour, entrambi consapevoli del fatto che la rottura di una simile alleanza avrebbe portato ad un grande indebolimento del Piemonte, decidono di inviare a Parigi un ambasciatore fidato, il generale Della Rocca, affinché cerchi di placare Napoleone III. Con una lettera il re sabaudo invita il messo a comportarsi con decisione e far valere le proprie idee: a quanto pare l’Imperatore vede come irrispettose le parole rivoltegli, davanti ad uno sconcertato Della Rocca. In questo momento entra di nuovo in gioco Cavour con una brillante idea: fa pervenire al sovrano francese, fingendo si tratti di un errore, la lettera di Vittorio Emanuele II per l’ambasciatore, in modo che il francese si rendesse conto della sincerità, della decisione, del coraggio e della risolutezza del Savoia. Vittorio scrive così una seconda missiva per istruire il Della Rocca sul da farsi; la prima lettera, come programmato, finisce in mano a Napoleone III: La vostra lettera mi lascia scorgere nelle parole dell’Imperatore quali voi mi riferite, qualcosa che somiglia a dei rimproveri, o a delle minacce, cosa alle quali io sono assai poco abituato… se egli vuole che qui si usi violenza , sappia che io perderei tutta la mia forza, e lui tutte le simpatie di una generosa e nobile nazione. Non fate il minchione, caro generale, ditegli tutto questo da parte mia, e se le parole che mi riferite sono quelle testuali dell’Imperatore, ditegli, nei termini che credete i migliori, che non si deve trattare così un fedele alleato; che io non ho mai tollerato in posizioni da nessuno; che senza macchia seguo la via dell’onore, e che di questo onore non rispondo che a Dio ed al mio popolo; che da 850 anni portiamo la testa alta e che nessuno me la farà abbassare, e che con tutto ciò, non desidero altro che d essere suo amico. Il destinatario, letto ciò, rimane compiaciuto delle parole che ha visto, inizia a lodare l’ardore e l’audacia del regnante; a queste si aggiungono anche le frasi che gli sono inviate da Felice Orsini stesso, pentito, prima della sua morte: Sta oggi in poter vostro di fare l’Italia indipendente o di tenerla schiava dell’Austria e di ogni specie di stranieri… Non disprezzi la maestà vostra le parole di un patriota che sta sul limitare del patibolo; renda l’indipendenza alla mia patria, e le benedizioni di 25 milioni di abitanti la seguiranno dovunque e per sempre. Napoleone decide di offrire una seconda "chance" al Piemonte: per un certo periodo i contatti tra lui e il Cavour si fanno intensissimi e altrettanto segreti, quindi i due si incontrano a Plombières per rafforzare l’alleanza già esistente. Vittorio Emanuele II è direttamente interessato nell’ultima parte di questa riunione, in quanto la terza clausola del trattato franco - piemontese prevede un matrimonio suggellatore tra Girolamo Bonaparte (cugino dell’Imperatore) e Maria Clotilde (figlia del sovrano sabaudo). I due convolano a nozze il 30 gennaio 1859 nella cappella Reale di Torino: Il re stesso si commuove vedendo partire la figlia soprannominata da lui "l’angelo di casa Savoia": Il trattato di alleanza con la Francia era stato firmato 12 giorni prima, il 18 gennaio 1859, dal re in persona. Il Re e le sue donne Continua la relazione tra Vittorio e Rosina. Vi è grande affiatamento tra loro, e sono anche simili per rozzezza e modi di fare. Rosina è perfettamente consapevole del fatto di non essere l’unica donna della vita dell’amante, tuttavia non si preoccupa troppo di tenere lontane eventuali rivali: le basta mantenere il suo posto di "privilegiata", oltre a ciò Vittorio può fare quello che desidera. Questa relazione non è più segreta, molti ministri, e anche Cavour, tentano invano di convincere il re Savoia a troncare i legali con la contadina: in fin dei conti, è questa l’unica sconfitta in cui il conte Camillo Benso si trova di fronte durante la sua lunga carriera. Egli tenta addirittura di trovare le prove, servendosi di informatori, di una seconda relazione di Rosa con un uomo diverso dal re: per un certo periodo circolano voci su un gioielliere che la frequenterebbe, smentite da Rosina stessa che gode della fiducia di Vittorio. Egli decide di effettuare ricerche per conto proprio, ma solamente per mettere a tacere il Parlamento. Lo stesso Napoleone III viene a conoscenza della relazione ed è deciso a saperne di più: a lui Vittorio Emanuele risponde di essere follemente innamorato e non avere nessuna intenzione di abbandonare la Vercellana, a dispetto della sua posizione politica: l’unico particolare falso sul loro rapporto è quello riguardante il grado e ruolo militare del padre di Rosina, per difendersi in parte e dimostrare non trattarsi di una scappatella con una semplice "contadinotta". Ecco le parole di Vittorio: Se poi si sono riportate all’Imperatore voci calunniose sul suo conto, digli che rispondo sul mio onore dell’integrità della sua vita, e se noi abbiamo una colpa, è solo quella di esserci amati alla follia per 12 anni. E’ figlia di un cavaliere dell’Impero che ora ha 80 anni, cavaliere dell’Ordine di San Lazzaro e di numerosi altri, che si è coperto di ferite sui campi di battaglia del tuo illustre zio. Gli ho giurato di non abbandonare mai sua figlia, che costituisce la felicità di questo vecchio capitano. Per quanto riguarda le altre relazioni del sovrano sono tutte marginali e con un finale meno roseo; se ci occupiamo di Laura Bon, sappiamo che viene allontanata dal re per evitare alcuni controlli. Aiutata da ministri vari, compreso Cavour, che sperava di trovare in lei un aiuto contro Rosina, si stabilisce a Firenze, dove continua le sue rappresentazioni. Il suo amore per Vittorio non svanirà mai. Le due donne appena citate non sono le uniche ad avere avuto un figlio dall’amante, all’elenco bisogna aggiungerne altre di minor fama. Una è la baronessa Vittoria Duplessis, lontana discendente dei duchi di Richelieu, che tenta con ogni mezzo di tenere la propria bambina "all’oscuro dei riflettori", ma soprattutto tace il nome del padre. Un’altra è la "maestrina di Frabosa", di cui non sappiamo il vero nome, donna di oscuri natali anch’ella madre di un figlio regale, nato nel luglio 1858 a Mondovì. Il bambino viene chiamato Donato Etna. Nell’elenco bisogna includere Virginia Rho, il cui primogenito nasce nel 1861 ed è battezzato come Vittorio Emanuele Rho Guerriero. Poco dopo arriva anche una figlia femmina, Maria Pia. La loro esistenza trascorre alquanto felicemente, e comunque con più mezzi rispetto ai figli di Laura Bon, conducenti una vita misera. Il fulcro del cuore reale rimane, sempre e comunque, Rosa Vercellana: l’11 aprile 1859 Vittorio Emanuele la nomina contessa di Mirafiori e Fontanafredda. Verso l’unificazione Tornando alla politica estera, il Piemonte deve decidere che via prendere per l’unificazione d’Italia. Vittorio Emanuele è impaziente, desidera combattere per compiere quella che ormai considera come una missione affidatagli dalla stessa provvidenza divina. Nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 1859 arriva da Parigi il permesso per l’inizio delle ostilità. Il giorno seguente Vittorio Emanuele si presenta in Parlamento e proferisce un discorso con il quale vince il cuore dei ministri e li convince sul fatto che la guerra è utile e va intrapresa per il bene dell’Italia: L’orizzonte, in mezzo a cui sorge il nuovo anno, non è pienamente sereno. Il nostro Paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei consigli d’Europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso inspira… Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi… Forti per la concordia, fidenti nel nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi i decreti della Divina Provvidenza. Il generale delegato da Cavour è La Marmora, che è tenuto in disparte vista la decisione di Vittorio Emanuele di dare più peso al Capo di Stato Maggiore Della Rocca. Il comando delle truppe austriache viene invece affidato a Guylai, che si dimostra troppo prudente e riceve diverse sconfitte. Intanto la Toscana, con uno dei moti, chiede l’unificazione al Piemonte. In un primo momento Vittorio Emanuele non ne prende subito il controllo ma la affida al funzionario Carlo Boncompagni. Il primo vero combattimento si ha a Montebello, con la vittoria dell’esercito franco - piemontese, che si misura contro forze tre volte superiori. Il 31 maggio 1859 si scatena una seconda battaglia a Palestro. In essa il re manovra personalmente un reggimento di 2400 zuavi. Viste le sue truppe in difficoltà, si getta nella mischia con i sottoposti e combatte con coraggio, nonostante il colonnello Chabron, preoccupato per la sua incolumità, lo preghi di andarsene. A ciò egli risponde: "Nel momento del pericolo il mio posto è insieme ai miei, e oggi voi siete miei". Gli alleati trionfano anche a Magenta, e l’8 giugno 1859 Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano in Milano ed assistono insieme ad una messa nel duomo. Si prosegue poi con l’avanzata. Napoleone III e Vittorio si incontrano nuovamente a Lonato il 23 giugno. Il Savoia viene a conoscenza delle intenzioni dell’imperatore, non intenzionato a proseguire ancora per molto. Cavour non viene avvisato di ciò, e si dimetterà quando ne verrà informato. Per quanto riguarda Vittorio, si reputa già abbastanza felice per aver conquistato Milano, il resto verrà dopo. Proseguono gli scontri. Il 24 giugno 1859 si ha quello di Solferino - S. Martino, uno dei più sanguinosi di quel periodo storico (vi partecipano più di 300000 uomini) poiché nessuna delle due parti capisce quale fosse la reale quantità di nemici da affrontare: Franco - Piemontesi credono di essere di fronte a parte delle retroguardie in fuga, gli Austriaci di dover affrontare una semplice avanguardia. La vittoria arride ai primi perché, quasi rischiando la propria vita, i generali si spingono fin sul campo di battaglia ed osservano i movimenti da compiere, mentre i condottieri avversari si tengono a debita distanza. Dopo aver trionfato sul fronte di Solferino, gli eserciti coalizzati vincono anche a S. Martino. L’8 luglio viene firmato l’armistizio. L’11 luglio i due imperatori si incontrano a Villafranca e discutono le condizioni di pace. Cavour si dimette. Il 13 luglio, con un proclama, Vittorio Emanuele II saluta la popolazione di Milano e di tutta la Lombardia come nuovi appartenenti al suo regno. Inizia un felice periodo di regno per il Savoia, che si sente libero ora che è privato dalla potente e invadente figura di Camillo Benso. Al suo posto elegge La Marmora, e come ministri degli esteri e degli interni, rispettivamente, Giuseppe Dabormida ed Urbano Rattazzi. Il re si sforza per trovare un sistema che gli permetta di annettere all’Italia le parti mancanti, in primo luogo il Veneto. Il 3 settembre 1859 giunge a Torino la delegazione toscana, proprio per chiedere l’annessione; il 15 settembre è la volta di quella parmense, il 24 settembre arrivano quelle di altri centri (stavolta non a Torino, bensì a Monza, dove il sovrano si è recato per qualche tempo). Vittorio Emanuele è addirittura disposto a cedere la Toscana all’Austria in cambio del Veneto, la zona più ambita da lui; si prefigura inoltre molti altri piani per impossessarsi delle regioni non ancora conquistate. Questa programmazione mostra molti problemi ed imperfezioni, ad esempio: come avrebbe fatto a spiegare agli abitanti della Toscana che si sarebbero dovuti unire all’Austria, dopo che tanto avevano lottato per il Piemonte? Il Parlamento richiede a forza il ritorno di Cavour, il re è costretto a richiamarlo (16 gennaio). Il 18 marzo il regno d’Emilia si annette al Piemonte, il 22 marzo la Toscana è definitivamente inglobata; i Savoia, tuttavia, perdono Nizza e Savoia, cedute a Napoleone III. Torniamo alla vita privata. Vittorio Emanuele inizia ad essere quarantenne; il suo aspetto è peggiorato, è più vecchio, ha accumulato peso, la barba e i baffi non lo migliorano certo. L’Italia aveva bisogno e voleva l’immagine di un re forte e coraggioso, ma anche bello. Ormai Vittorio non è più tale, tanto che si arriva al punto di contraffare pitture e statue ufficiali, magari sostituendo qualche particolare anatomico, o l’intero corpo, con quello di Carlo Alberto. Si è reso conto che la sua Rosina è l’unica donna con cui egli può vivere, nonostante tutte le altre avventure che continua ad avere. Ormai è deciso a sposarla. Ella, al momento, vive al palazzo della Mandria con i figli. Si è creata una piccola corte di avvocati, ufficiali, studiosi. Arriva persino a desiderare uno stemma ed un motto personali. Vittorio è molto affezionato ai suoi figli naturali; quelli legittimi si trovano presso il castello di Moncalieri, dove il re stesso aveva passato l’infanzia: anche loro vengono "tenuti sotto torchio" durante tutta la giornata da severi educatori. Successivamente il regnante assiste ad uno spettacolo di Laura Bon (in futuro capiterà sempre più di rado). Non parla personalmente con l’attrice, ma le invia tramite persona fidata una grossa somma di denaro per il mantenimento suo e della bambina che aveva messo al mondo. Ormai l’unità d’Italia era vicina, Vittorio Emanuele non è molto convinto di Garibaldi, che decide di iniziare una conquista a partire dal Meridione. Il sovrano alla fine si dimostra favorevole all’operazione, tuttavia non fornisce all’eroe di Nizza mezzi sufficienti; anzi, in alcuni ambiti nega addirittura di essere al corrente di ciò. Vittorio sa infatti che il sovrano di Francia non lo permetterebbe, deve fingere estraneità per evitare la rottura dei trattati con tale Stato, molto vantaggiosi per il suo regno. Ancora più brutta è la situazione verso Cavour, che è apertamente ostile alla spedizione dei Mille (in realtà vi partecipano circa 1095 uomini). Garibaldi tuttavia parte da Quarto e dopo un rifornimento a Talamone giunge in Sicilia; in seguito a vari scontri se ne impossessa. Ormai è lanciato, il suo motto è "Italia e Vittorio Emanuele". Continua verso Napoli, dove deve affrontare altre battaglie. Non è ancora finito lo scontro in Campania, e già pensa di proseguire fino a Roma: solo quando anch’essa sarà dominio Savoia, Vittorio Emanuele potrà essere incoronato re d’Italia. A questo punto, tuttavia, il sovrano e Cavour si rivelano più veloci dell’eroe; convincono Napoleone III, che protegge il Papa, che Garibaldi va fermato; l’unico modo per farlo è scendere con l’esercito attraverso l’Italia centrale. Dopo un primo momento di riluttanza, l’Imperatore accetta la proposta dei Savoia e inizia la discesa. Il re favorisce i moti liberali delle aree su cui passa il suo esercito. Intanto Garibaldi sconfigge definitivamente sul Volturno le truppe di Francesco II (1-2 ottobre 1860). Il 25 ottobre passa il Volturno e giunge a Teano. La discesa dell’esercito sabaudo, al quale si era unito lo stesso Vittorio Emanuele II presso Ancona, prosegue a rilento, poiché si attendono i risultati del plebiscito per l’ammissione al regno. Finalmente, il 26 ottobre 1860, Garibaldi e Vittorio Emanuele II si incontrano a Teano e per la prima volta il generale saluta il suo sovrano con l’appellativo di "Re d’Italia". Quando il reggente tenta di entrare a Napoli (7 novembre) insieme a Garibaldi per assistere ad una funzione, il suo seguito deve proteggerlo da una folla rumorosissima e compattissima, tanto da dover ricorrere ai pugni all’interno della chiesa designata per la Messa. Al re viene fatta baciare 5 volte la reliquia contenente il sangue di S. Gennaro, e si dice che esso abbia iniziato a bollire, nonostante non si abbiano prove. Ora Garibaldi deve essere allontanato. L’eroe dal canto suo desidera scostarsi dalla scena politica e si reca a Caprera, senza neanche il saluto dei vessilli regi sulle navi sabaude. Il 18 febbraio 1861 viene inaugurato a Torino il primo Parlamento Italiano. Il 17 marzo dello stesso anno Vittorio Emanuele promulga la legge con cui viene riconosciuto re d’Italia. Nuovo è lo Stato, nuovi sono i problemi: primo fra tutti il brigantaggio, sviluppatissimo e assolutamente dannoso nel sud della penisola. Diverse persone tentano di porre rimedio a questo fenomeno, ma senza successo. Il neo sovrano deve inoltre concentrarsi riguardo al Veneto, ancora sotto il controllo dell’Austria, che non dà segno di volersene liberare. Abbiamo poi la questione del Papa, che non sopporta di vedere il territorio di sua proprietà drasticamente ridotto; di lui si occupa Cavour, che gli invia diverse lettere: Santo Padre, il potere temporale per voi non è più garanzia d’indipendenza; rinunziate ad esso, e noi vi daremo quella libertà che avete invano chiesta da tre secoli a tutte le grandi potenze cattoliche; di quella libertà voi avete cercato strapparne alcune porzioni per mezzo di concordati, con cui voi, Santo Padre, eravate costretto a concedere in compenso dei privilegi, anzi, peggio che privilegi, a concedere l’uso delle armi spirituali alle potenze temporali che vi accordavano un po’ di libertà; ebbene, quello che voi non avete potuto mai ottenere da quelle potenze, che si vantavano di essere i vostri alleati e i vostri figli divoti, noi veniamo ad offrirvele in tutta pienezza; noi siamo pronti a proclamare nell’Italia questo gran principio: libera Chiesa in libero Stato. Ormai Vittorio non sopporta più tale ministro e cerca un possibile sostituto. Tutto si rivela però inutile, poiché nello stesso anno Cavour si ammala di una "perniciosa comitata delirante con febbre di tipo terzenario": più semplicemente, malaria. Il 5 giugno Vittorio Emanuele II gli fa visita, dopo aver ricevuto i sacramenti nel pomeriggio. Camillo muore il 6 giugno. Il re viene giudicato molto duramente in quanto non si reca ai funerali e impedisce ai suoi figli di recarvisi, adducendo lo studio come pretesto. Inizia un nuovo periodo di libertà per il sovrano: niente tutori giovanili, niente guerre, niente ministri di polso come D’Azeglio o Cavour. L’8 giugno 1861 Vittorio chiama al potere il Barone Ricasoli, seguito l’1 marzo 1862 da Urbano Rattazzi. Intanto Vittorio ristabilisce la sua rete di spie che lo informano sugli avvenimenti esteri più importanti. Non si può certo dire che il sovrano sia "omogeneo" nel governare: promuove qualcosa, nega poco dopo, si schiera da una parte, quindi dall’altra,… Ne è un esempio il fatto che cerchi un accordo pacifico con l’Austria, affinché gli ceda il Veneto. Sul fronte di Roma invece, grazie alla convenzione del 14 settembre 1864, riesce ad allontanare dalla futura capitale d’Italia le truppe francesi. Per essere più vicino trasferisce il centro dei poteri a Firenze, dove si reca il 3 febbraio 1865.