Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 4/10/2009, 4 ottobre 2009
La Fininvest, holding della famiglia Berlusconi, è stata condannata in primo grado dal giudice di Milano Raimondo Mesiano a risarcire con 749 milioni e 955 mila euro la Cir di Carlo De Benedetti
La Fininvest, holding della famiglia Berlusconi, è stata condannata in primo grado dal giudice di Milano Raimondo Mesiano a risarcire con 749 milioni e 955 mila euro la Cir di Carlo De Benedetti. Il giudizio si riferisce allo scontro per il controllo della casa editrice Mondadori tra l’89 e il ”91. La sentenza è immediatamente esecutiva, anche se Fininvest attiverà la procedura che in casi particolari contempla la possibilità per il giudice d’Appello, prima ancora del processo di secondo grado, di accogliere la richiesta di sospendere l’immediata esecutività. Marina Berlusconi reagisce: «Un verdetto sconcertante ». Per De Benedetti si tratta «di una decisione che rende giustizia». MILANO – Il contrappasso, per Silvio Berlusconi prosciolto in Cassazione nel 2001 per prescrizione della medesima corruzione di giudice costata invece nel 2006 la definitiva condanna al suo avvocato Cesare Previti, arriva ieri mattina dopo 8 anni, non più in un’aula penale ma sotto forma di una mail che dalla decima sezione del Tribunale civile di Milano notifica alla sua Fininvest una mazzata: l’holding della famiglia Berlusconi è condannata in primo grado dal giudice Raimondo Mesiano a risarcire con 749 milioni e 955 mila euro (1.500 miliardi di lire) la Cir di Carlo De Benedetti per lo «scippo » nel 1991 della casa editrice Mondadori. Allorché nel 1990 sia Cir sia Fininvest rivendicavano accordi con la famiglia Formenton erede delle quote del genero (Mario) di Arnoldo Mondadori, un collegio di tre arbitri diede ragione a De Benedetti. Ma Fininvest impugnò il lodo arbitrale davanti alla Corte d’Appello di Roma, che nel 1991 annullò il lodo favorevole a De Benedetti, e così spianò la strada a Berlusconi nella successiva trattativa (mediata dall’imprenditore Ciarrapico su indicazione del premier Andreotti) per la spartizione finale: Repubblica ed Espresso a De Benedetti, a Berlusconi invece Panorama, tutto il resto della Mondadori e un conguaglio di 365 miliardi di lire. Nel 1996, però, i pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo avviarono inchieste che, come cristallizzato dalla Cassazione nel 2007, hanno svelato che la sentenza del 1991 della Corte d’Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà stata comprata corrompendone il giudice estensore Vittorio Metta con 400 milioni Fininvest: soldi facenti parte dei 3 miliardi di lire che, 20 giorni dopo la sentenza di Metta, i conti esteri Fininvest «All Iberian» e «Ferrido » avevano bonificato il 14 febbraio 1991 al conto estero «Mercier» dell’avvocato Fininvest Cesare Previti, e che poi erano stati movimentati da altri due avvocati della squadra-Previti (Giovanni Acampora e Attilio Pacifico) per farne appunto arrivare 400 milioni a Metta. Così nel 2007 condanne definitive sono state inflitte al giudice (2 anni e 9 mesi in aggiunta ai 6 già rimediati per l’altra tangente Imi-Sir) e ai legali Previti (1 anno e 6 mesi in continuazione con i 6 anni di Imi-Sir), Pacifico (18 mesi oltre i 6 anni) e Acampora (18 mesi oltre i 3 anni e 8 mesi). Il verdetto civile di ieri, che accoglie le richieste dei legali Cir Elisabetta Rubini, Vincenzo Roppo e Giuliano Pisapia ha dunque un triplice segno. Uno più sociale che giudiziario: sancisce che il controllo della più grande casa editrice del Paese è in mano a chi 18 anni fa si giovò della compravendita di una sentenza che mise uno dei due contendenti (Fininvest) nella condizione di trattare con l’altro (Cir) da una posizione di forza i termini della spartizione. Il secondo impatto è invece clamorosamente economico: in attesa della motivazione domani, la cifra è enorme, e corrisponde al danno patrimoniale da «perdita di chance», cioè ai soldi che De Benedetti avrebbe potuto fare con la casa editrice in questi anni se non gli fosse stata fraudolentemente sottratta. Inoltre la sentenza (come tutte quelle di primo grado nel civile) è immediatamente esecutiva, anche se Fininvest, che la definisce «profondamente ingiusta» mentre per De Benedetti «rende giustizia», attiverà la procedura che in casi particolari ammette che il giudice d’Appello, prima ancora del processo di secondo grado, possa accogliere la richiesta di sospendere l’immediata esecutività. Il terzo riflesso è su Berlusconi, dalla prescrizione messo al riparo nel 2001 dalle condanne penali inflitte poi ai coimputati come Previti. In Italia il privato corruttore e il magistrato corrotto rischiano la stessa pena solo dal 1992. Ma fra il 12 maggio 1990 e il 17 marzo 1992 il legislatore dimenticò di prevedere una norma che punisse la «corruzione in atti giudiziari» commessa dal privato corruttore, colpevole quindi solo di «corruzione semplice», reato a più breve prescrizione nel caso di concessione di attenuanti. E l’accusa mossa ai privati «corruttori» Berlusconi e Previti (i 400 milioni nel 1991 a Metta) ricadeva proprio in questo vuoto normativo. Ma mentre a Previti nel 2007 le attenuanti generiche sono state negate, a Berlusconi in Cassazione nel 2001 ne vennero riconosciute due, che fecero dimezzare i termini di prescrizione della «corruzione semplice» e determinarono il proscioglimento: la transazione con Cir, e il fatto che Berlusconi avrebbe all’epoca agito «nell’ambito di un’attività imprenditoriale le cui zone d’ombra non possono condurre a una preconcetta valutazione ostativa» ora che che le sue «attuali condizioni individuali e sociali » sono di «oggettivo rilievo ». Un salvacondotto per la sua fedina penale, ma ora non anche per il suo portafoglio. Luigi Ferrarella