Cesare Lombroso, Studi per una geografia medica d’Italia, http://www.braidense.it/scaffale/studi1.html, 4 ottobre 2009
III. - Distinzione in zone - zone del maiz - del lathirus - zone cosmotelluriche (delle vallate - miasmatica), zona delle città
III. - Distinzione in zone - zone del maiz - del lathirus - zone cosmotelluriche (delle vallate - miasmatica), zona delle città. Tante e sì diligenti ricerche nostre e straniere non bastanci, tuttavia, non che a segnare una carta nosologica d’Italia, nemmeno a tracciarne le prime linee. E ciò non tanto perché le cifre difettino; comechè lo statista che s’accontenta alla sola mostra simmetrica di alcune cifre schierate in colonna farebbe come il pseudo-filologo che per amore dell’astruso ribobolo tradisca il pensiero; ma gli è che spesso le espressioni annesse a quelle cifre mancano di un significato uniforme, passando da una all’altra di quelle provincie che pochi anni sono erano anche in iscienza separate come nazioni. E volere comporre in un fascio quelle cifre sarebbe un ingannare gli altri e sè stessi. Tuttavia da questo bujo caos di materiali che attendono per divenir cosa viva una mano plasmatrice, noi possiamo, alla meglio, intravvedere alcuni fatti, che se saranno di poca levatura per lo statista aritmetico, nol saranno per l’igienista. Noi vediamo, per esempio, assai nettamente risaltare da quei materiali la divisione d’Italia in due grandi zone; la settentrionale che comprende il Piemonte, una parte di Liguria, il Lombardo, il Veneto, l’Emilia e Romagna e una parte della Toscana, e si distingue per malattie speciali, come la corea elettrica, il gozzo, il cretinesimo, la pellagra. Queste due ultime infermità, anzi, nella Toscana disegnano appena leggerissime traccie. La parte meridionale, o meglio la seconda zona, comprende le isole tutte e parte della Toscana, per esempio, Grosseto, il territorio di Roma e tutto l’ex-regno di Napoli, e si distingue per la mancanza del gozzo, cretinesimo e delle migliari, e pel predominio delle febbri intermittenti, perniciose e tifoidee. Si potrebbe designare [sic] attorno alle due zone una sottilissima linea costituita dalle marine Ligure, di Comacchio, di Scilla, di Trapani, distinte per l’abbondare della scrofola, delle malattie cutanee e della lebbra dei Greci. Ma meglio ancora, forse, ci gioverà il distinguere le speciali zone morbose che si organano nelle varie nostre regioni sotto l’influenza di alcune cause costanti. Tali sarebbero le zone alimentari, come io le direi le zone che comprendono le molteplici malattie che si ingenerano dall’abuso di speciali alimenti, come lo zea maiz, del cactus opuntia e del latyrus sativus. Tali sarebbero le zone cosmotelluriche divise in zone delle vallate, zone vulcaniche, zone alpine e zone miasmatiche. La zona della pellagra e dello zea maiz pur troppo ci si presenta con tale e sì triste apparato di cifre che il più scrupoloso statista non potrebbe negarle fede. Nel Piemonte la Commissione piemontese nel 1847 constatava la presenza di 987 individui pellagrosi, dei quali: 419 erano maschi, 568 femmine, 522 poveri esclusivamente nutriti di maiz, 104 che usavano un cibo misto, 46 agiati del contado; di 325 mancano i dati. Quanto alla provincia se ne rinvennero: 2 a Torino, 2 in Lomellina, 3 a Novi, 4 a Mondovì, 4 a Casale, 5 a Asti, 5 ad Alba, 7 a Savona, 9 a Bobbio, 10 a Genova, 35 a Cuneo, 200 ad Alessandria, 250 a Saluzzo, 403 a Ivrea. Queste cifre però, esprimevano una frazione soltanto del numero grave di affetti di quel morbo; noi possiamo già constatare da altri documenti, quanto la cifra dei pellagrosi siasi almeno negli ultimi anni fatta maggiore. Ivaldi nel solo comune di Masasca (Aqui), popolato da 1400 abitanti contava, nel 1857, ben 21 pellagrosi. Pisani, nel Vercellese, provincia quasi immune al 1847, noverava invece nel 1861 ben 136 pellagrosi, 83 maschi e 53 femmine, dei quali 30 morirono. Nella statistica necrologica di Torino contavansi 17 pellagrosi fra i 7744 morti del 1861 e 27 nel 1862, ossia 1,32 per 1000 vivi. Bonacossa nelle tavole statistiche del Manicomio di Torino nota 101 pellagrosi già ricoverativi nell’ultimo decennio 1854-64, dei quali 34 morivano a Collegno. Il tutto sommato si può, senza pericolo d’errore, calcolare a 1245 la cifra dei pellagrosi del Piemonte; cifra come vedremo assai benigna in confronto alle cifre dei pellagrosi lombardi. Nella Lombardia queste cifre vanno prendendo una proporzione veramente spaventevole, e ciò non tanto perchè il male v’impiantasse le prime e più salde radici, nè perchè l’uso del maiz vi si diffondesse per tutto giungendo a sostituire la segale in Val Sabbia e Valtellina quanto per la poca tendenza nel contado all’associazioni mutue (1) ed all’emigrazione; al che aggiungasi il pessimo sistema di contratti colonici, che non permette all’infelice bracciante nemmeno la lontana speranza, ahi! nemmeno il desiderio di una redenzione. E in Lombardia troviamo pure gli studiosi più zelanti e infaticati di questo morbo, e tali furono e sono gli Strambio, il Verga, il Frua e Lussana e sopratutto il Balardini. Nel 1830 i pellagrosi lombardi sommavano a 20,282, distribuiti cosi: Milano 3075 - 12 pellagrosi su 1000 abitanti Mantova 1228 - 8 " " Brescia 6939 - 29 " " Bergamo 6071 - 24 " " Como 1572 - 9 " " Pavia 573 - 5 " " Cremona 445 - 4 " " Lodi 377 - 2 " " Sondrio 2 - 2 " " [Nota del webmaster: Trascriviamo la tabella conservando gli evidenti errori nei totali]