varie, 3 ottobre 2009
APPUNTI SULL’ALLUVIONE DI MESSINA PRESI IL 3/10/2009
(internet e giornali)
gli sfollati sono oltre 400. IL premier: «Ci saranno 50 morti»
Messinese, si scava mel mare di fango
Identificate le prime vittime. Cento feriti e 550 sfollati. Rinviata la visita di Berlusconi
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• Frane e crolli nel Messinese, 18 morti
• AUDIO - A Scaletta muri trascinati via dal torrente (di Alfio Sciacca)
• Il precedente del 2007: alluvione dimenticata da tutti ma non dalla Rete (2 ottobre 2009)
• Previsioni meteo
MILANO - Briga Marina, Giampilieri, Molino e Scaletta Marea. Queste le zone del messinese più colpite dal nubifragio che si è abbattuto giovedì sulla Sicilia orientale causando frane e smottamenti. A quasi 40 ore dall’alluvione si continua a lavorare, a scavare nel fango alla ricerca dei dispersi. Sono salite a 21, con il ritrovamento del corpo di una donna a Giampilieri nella mattinata di sabato e di un uomo a Scaletta Zancle nel pomeriggio, le vittime finora accertate. La donna è Maria Letizia Lonìa, scomparsa giovedì sera insieme ai due figli, Lorenzo di 2 anni e mezzo e Francesco di 6. Le ricerche dei vigili del fuoco proseguono nello stesso punto per verificare se sotto le macerie della palazzina ci siano anche i corpi dei bambini. I feriti sono cento e 550 gli sfollati. Un bilancio che sembra purtroppo destinato a salire ancora. Sono ancora isolate le frazioni di Molino e Altolia, raggiungibili solamente a piedi o con dei piccoli elicotteri. Il personale di soccorso ha raggiunto la popolazione - tra le 200 e le 300 persone - portando generi di prima necessità. Il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, che è arrivato in mattinata nella base elicotteri a Santa Margherita, ha affermato che ci sono in tutto ancora «fra i 35 e i 40 dispersi». Il numero, però, è «destinato a diminuire» secondo Bertolaso «perché molte persone potrebbero essersi rifugiate presso amici o avere il cellulare irraggiungibile». comunque accertato che a Giampilieri Superiore mancano all’appello 11 persone.
LE VITTIME - Durante la notte è stato dato un nome ad altre vittime, oltre a quelle individuate ieri. Fra loro Simone Neri, un ragazzo di 28 anni che prima di essere travolto dal fango a Giampilieri aveva tratto in salvo numerosi familiari. E poi Letterio Maugeri, 60 anni, e Giuseppe Tonante, 76 anni, anche loro uccisi dalla frana che ha devastato la borgata; Concetta Cannistraci, 71 anni, rimasta sepolta nel crollo di una palazzina a Scaletta Zanclea così come Santina Torcino, 43 anni; e infine Carmela Oliveri, 47 anni, il cui cadavere è stato recuperato in mare, nei pressi di Roccalumera, da una motovedetta dei vigili del fuoco. Risulta invece ancora dispersa Ketty De Francesco, 30 anni, il cui nome era stato inserito ieri tra le vittime. Il riconoscimento ufficiale finora è stato effettuato per 5 persone: Antonio Scibilia, 86 anni, Concetta Cannistraci, 71 anni, Carmela Barbera, 28 anni, Santina Porcino, 43 anni e la romena Monica Balaskuia, 61 anni.
BERLUSCONI IN ARRIVO DOMENICA - Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha rinviato a domenica la sua visita nel Messinese, inizialmente attesa per sabato. Il premier, a quanto si apprende, da Milano resta in costante contatto con il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, che si trova sul luogo. Venerdì sera da Milano, dove ha assistito alla «prima» del film «Barbarossa», Berlusconi ha detto: «Io volevo andare oggi, ma davo più fastidio che altro. I danni sono ingenti, ma più dei danni ci sono quasi 50 morti, una cifra importante». La cifra data dal premier è una somma approssimativa dei morti e dei dispersi. Berlusconi, ha affermato Bertolaso, «aveva manifestato l’intenzione di venire già sabato ma gli ho chiesto di rinviare per consentire l’opera di soccorso». Il premier arriverà domenica e con il capo della Protezione civile sorvolerà in elicottero l’area del disastro.
L’EVACUAZIONE - A Giampilieri, intanto, è stata completata l’evacuazione e 435 persone sono state trasferite in alcuni alberghi di Messina, dopo essersi rifugiati nella scuola elementare del paese. «Ci sono stati momenti complicati perché c’erano famiglie numerose, bambini e disabili - ha riferito Bertolaso -. Persone che hanno saputo sopportare serenamente le ore di attesa insieme a me dentro la scuola. stata un’operazione complessa perché la strada, oltre a essere ricoperta da fango e detriti, è a rischio. Fare transitare 500 persone è stato complicato. Ma alla fine, tutto è andato a buon fine e l’evacuazione si è conclusa dopo tre ore». Parlando poi delle frazioni ancora isolate che sono ancora Molina e Altolia, Bertolaso ha detto che c’è gente che non vuole andare in albergo: «Ho notato che da queste parti c’è una certa contrarietà a lasciare le proprie case». Nel corso della conferenza stampa Bertolaso è stato poi informato che in queste ore i Vigili del fuoco sono riusciti a creare una strada in terra battuta per raggiungere Altolia. Un altro paese colpito e devastato nella quasi totalità è Scaletta Zanclea, dove sono sei i cadaveri che sono già stati estratti dalle case. Secondo il sindaco Mario Briguglio, sotto le macerie del paese ci sarebbero ancora sei persone, tutti abitanti che si trovavano in casa quando è arrivata l’ondata di fango. «Due frazioni sono ancora isolate, manca l’acqua e abbiamo problemi con la rete fognaria», ha reso noto il sindaco. L’autostrada A18 Messina-Catania sarà riaperta stasera, ma per una sola corsia per direzione. Per quanto riguarda la Statale 114 che collega Messina a Catania, serve ancora una settimana.
I SOCCORSI - «La situazione è ancora difficile, complessa ma sotto controllo, gestita bene dalla Protezione civile. Stiamo lavorando fianco a fianco con la Regione per risolvere questa criticità, ma ci saranno stanziamenti sia dalla Regione siciliana che dal governo nazionale», ha riferito Bertolaso, aggiungendo che per dare assistenza alle popolazioni e cercare i dispersi sono al lavoro «350 vigili del fuoco, 100 uomini dell’esercito, 100 carabinieri, 90 della guardia di finanzia e poi altri del corpo forestale della marina: superiamo i 1.100». «Ho ringraziato il presidente della Repubblica - ha riferito Bertolaso - per aver apprezzato le mie dichiarazioni» sul fatto che non bisogna fare opere faraoniche ma essenziali. «Ribadisco - ha aggiunto - che c’è stata poca attenzione nel trattare il territorio. Ai sindaci e agli amministratori dico: meno fiere e propaganda e più fondi per la sicurezza».
03 ottobre 2009
MESSINA – Nella città dove con lacri¬me e dolore dilaga la rabbia per quest’on¬data di lutti che in parte si poteva evita¬re, c’è un sindaco rimasto a ripetere che ha piovuto tanto, tantissimo, come se davvero l’apocalisse su montagne senza alberi e su torrenti cementificati fosse so¬lo colpa della natura e non una tragedia annunciata. Ed è sotto la montagna sfregiata del borgo di Giampilieri che echeggia il rim¬provero a denti stretti del vescovo di Messina, Calogero La Piana, gli occhi ca¬richi di pietà, il tono severo: «Non è col¬pa della natura.
Qui le responsabilità so¬no terrene. Adesso è tempo di solidarie¬tà e di soccorso. Ma deve pur essere indi¬cata la vera colpa. A due anni da un altro disastro simile, seppure non luttuoso, ci saremmo aspettati maggiore attenzio¬ne ». Già, perché la stessa montagna che campeggia sul convento di Sant’Anto¬nio, dove tre anziane suore rifocillano due pullman di terrorizzati turisti israe¬liani, franò nell’ottobre del 2007 e il fan¬go scivolò giù sulle fiumare ingessate, verso Scaletta, travolgendo ogni cosa, ma risparmiando vite umane. Una fortu¬na. Un miracolo. Forse, un monito lan¬ciato agli uomini per arginare la devasta¬zione di spiagge e colline. A modo suo, la politica promise, s’im¬pegnò, stanziò e in pompa magna an¬nunciò una spesa di 11 milioni di euro per il territorio di questa Messina stretta sui fianchi dei Peloritani, fatta a strisce lungo fiumare zeppe di calcestruzzo. La svolta si rivelò però un proclama subito tradito e tradotto in interventi minimi per appena 900 mila euro malamente spesi, come adesso si lamenta uno dei consiglieri dell’Ordine dei geologi, Vincenzo Pinnizzotto, che i vizi della sua cit¬tà li conosce da vicino: «Spesso accade che i finanziamenti destinati a mettere in sicurezza il territorio finiscano altro¬ve. Esigenze politiche... A ogni emergen¬za se ne parla un po’ e poi non si fa nien¬te lasciando che acqua e fango dilaghino in modo selvaggio».
materia per la Procura di Guido Lo Forte, deciso a indagare sul reato di «di¬sastro colposo». E tanti mettono le mani avanti. Con il governatore Raffaele Lom¬bardo che annuncia summit e nuovi pia¬ni invocando Berlusconi («Da soli non possiamo farcela») e il ministro dell’Am¬biente, Stefania Prestigiacomo, che ir¬rompe minacciosa quando scopre la brutta fine fatta dai fondi del suo dicaste¬ro: «Basta con questo modo irrazionale di distribuire i fondi per il dissesto del territorio. Ora si tratta di mettere fine a questo malgoverno, intervenire rapida¬mente e richiamare anche i sindaci della provincia di Messina a una più attenta programmazione urbanistica». Fanno la voce grossa in Procura, ma qualche dubbio viene anche agli ambien¬talisti qui spesso considerati solo dei rompiscatole. Sarà perché sono state frettolosamente archiviate ad aprile due delle quattro denunce presentate dal Wwf, ma un po’ scettica si mostra l’eroi¬na sempre schierata nella trincea verde di una Messina ostile, Anna Giordano: «Brucia il silenzio, lo sberleffo e l’indiffe¬renza, insomma il muro contro cui ab¬biamo dovuto sbattere la faccia noi cas¬sandre. Se avessero rispettato le norme, sospeso la variante al piano regolatore e rimodulate le opere necessarie, forse un giorno terribile come questo non ci sa¬rebbe stato».
Battaglia dura, soprattutto dall’agosto del 2007, quando il Comune istituì la co¬siddetta «Commissione valutazione di incidenza», indicata dalla Giordano co¬me un bubbone: «Appena due mesi do¬po la costituzione, nonostante le alluvio¬ni dell’ottobre 2007, ha fatto danni a mai finire, oltre ad approvare ovviamente tutto, dalla a alla zeta. E fino a ieri al Co¬mune si accaparravano sul piano trien¬nale delle opere pubbliche, cemento su cemento, asfalto a go-go, con le ruspe che continuano ovunque, senza mai fer¬mare cantieri, lottizzazioni, palazzi, vil¬le, casermoni, strade nuove, centri com¬merciali a due passi dal mare, sui torren¬ti... ». Una denuncia accorata, in sintonia con quella di Alberto Fiorillo che dagli uffici romani di Legambiente estrae lo studio fatto con la Protezione civile sui 273 comuni siciliani a rischio idrogeolo¬gico: «Di questi 91 stanno in provincia di Messina. Abbiamo mandato un que¬stionario. Ma ha risposto il 37 per cento. E di quei pochi il 52 per cento dichiara¬no di avere interi quartieri in area a ri¬schio... ».
Uno studio riflesso nel disastro che si è presentato davanti a Bertolaso quando per guadagnare la strada del mare fra le sabbie mobili di Scaletta ha dovuto var¬care una delle case abbandonate, lungo la schiera che separa la statale Messina Catania, da spiaggia e ferrovia, un muro, anzi una muraglia senza continuità. Ma, violando un soggiorno abbandonato e entrando in un corridoio con i quadretti infangati, s’è accorto di camminare su un mini torrente inglobato in quella ca¬sa senza padroni. L’ha capito arrivando all’orto, ricavato a ridosso dei binari del¬la ferrovia. E lui, esplodendo con i suoi, con gli accompagnatori siciliani: «Lo ve¬dete come si lascia costruire a due passi dai binari, tappando i corsi d’acqua, sen¬za che se ne accorga nessuno, a tutti ap¬parendo cosa normale. Da otto anni ripe¬to le stesse cose...». Poi gli stivali affon¬dano lungo la spiaggia e marciando in parallelo con la statale si arriva al punto interrotto, un’intera palazzina piegata su se stessa, un convento di suore e un’altra casa spazzate via perché edifica¬te sul letto del torrente che scende giù da Scaletta Superiore. « l’ora che cambi tutto...» si sfoga in¬fine mentre argina la rabbia di chi scava con le mani per trovare amici e parenti, bloccato al ritorno dal proprietario della casa attigua a quella del corridoio col tor¬rente tappato, un agente di assicurazio¬ni che impreca contro le autorità, ignaro di avere contribuito al disastro, fiero di stringere le mani a Bertolaso che vorreb¬be rimproverarlo, stoppato: «Me lo salu¬ta Berlusconi?».
03 ottobre 2009
MESSINA – Ora tutti si fanno attorno a Ni¬no Lonìa, il paese ha saputo che questo omo¬ne forte ha perso in un minuto, sotto la valan¬ga di fango, sua moglie Maria Letizia e i loro due figlioletti, Francesco e Lorenzo. Quan¬t’era felice, l’altra mattina a scuola, il piccolo Lorenzo, due anni e mezzo. Rideva soddisfat¬to perché aveva colorato di blu davanti alla maestra, Pina Bottari, due grossi grappoli d’uva disegnati su un foglio. Anche qui a Giampilieri è tempo di vendemmia e la mae¬stra Bottari ne aveva voluto parlare in classe coi bambini. Il padre di Lorenzo adesso piange dispera¬to, i parenti lo abbracciano ma è inutile. Nino fa il camionista e quando è venuta giù la mon¬tagna l’altra sera era al telefono proprio con sua moglie, stava dicendo a Maria Letizia che era arrivato col carico a Pescara ed era pronto a tornare indietro. «A un tratto – racconta adesso ancora sotto choc – mia moglie si è messa a gridare, ha detto: Nino, aiu¬to aiuto, qui crolla la montagna... Poi ho sentito un rumo¬re tremendo e la sua voce è svanita, è caduta la linea e non ho sentito più niente».
Il volontario che ha appena scoperto il corpo di un amico (Ansa/Saya)
La casa dei Lonìa era quella più vici¬na alla zona del Puntale, franata completa¬mente. I pastori, i piromani o chissà chi altri negli anni si sono divertiti a bruciare tutti gli alberi del costone, per vizio o interesse, elimi¬nando così ogni difesa e ogni argine. Tonnel¬late di terra sono precipitate l’altra notte e il mare davanti allo Stretto ora è marrone. Anche Francesco, come il fratellino Loren¬zo, frequentava la «Leonardo Da Vinci» di Giampilieri, dove adesso sono stati portati i morti e raccolti gli sfollati. Francesco aveva sei anni e faceva la seconda elementare. La sua amica Valeria racconta: «L’avevo visto ieri mattina ed era tutto contento perché mi ave¬va detto che nel pomeriggio avrebbe incomin¬ciato le lezioni di karate. La montagna è crolla¬ta quando lui è tornato dalla palestra».
La ma¬estra Pina Bottari non riesce più a parlare, mentre cammina sotto l’ombrello sui binari della ferrovia interrotta: «I bambini della mia classe erano 16 – singhiozza – ma non ne vedo in giro più nessuno. Sono tanto preoccu¬pata perché in paese continuano a scavare e credo che ci sia ancora tanta gente sepolta là sotto». Alle sette di sera, mentre la luce co¬mincia a calare e la statale 114 invasa dalla melma è aperta solo ai mezzi di soccorso, ai caterpillar, alle ruspe, arriva trafelato un gio¬vane con gli occhiali, si chiama Vincenzo Co¬co, ha 27 anni e fa il cameriere in una pizzeria di Messina. Anche lui è disperato perché non riesce a parlare con la moglie Deborah e il pic¬colo Jonathan di 4 anni. «Il telefono è sempre isolato – urla correndo all’impazzata – va¬do là a scavare con le mie mani».
Melissa abbraccia l’amica Alice che l’ha salvata ospitandola in casa (Sciacca)
La natura, però, aveva lanciato l’allarme già dalla mattina. Dopo tanta pioggia, un dilu¬vio mai visto, la «fiumara Storta» come qui chiamano il ruscello che attraversa il paese di Giampilieri, era diventata più alta della stra¬da. E la montagna scricchiolava sinistramen¬te. «Lo si capiva che era pericolante», dice pro¬prio così Luisa Santonocito, che aveva il bar sulla piazza ma adesso è irriconoscibile, non ci si può più entrare, chissà i danni. Luisa era molto amica di Maria Letizia Lonìa: «Lei era una mamma perfetta e Francesco e Lorenzo erano proprio due angeli – sospira la donna con gli occhi rossi – non doveva finire così».
03 ottobre 2009
SCALETTA ZANCLEA (Messina)’ Mentre le ruspe avanzano a fatica in mezzo al fango lui se ne sta affacciato al balcone. Con gli occhi lucidi guarda quel che rimane del suo quartiere. Il fango è ovunque. L’ingresso dell’ufficio postale non si vede più, la chiesa della Madonna del Carmine è invasa fino al crocefisso dell’altare maggiore e del supermercato sotto casa si intravede solo l’insegna. Guarda questo triste spettacolo e di tanto in tanto accarezza una scala in legno ancora appoggiata alla ringhiera del suo appartamento al primo piano. Ad 83 anni Domenico Generoso e la moglie Liboria Amato hanno scoperto come una semplice scala può salvare la vita di sei persone. Ma quel che è strano: quella scala l’aveva dimenticata un operaio venuto tempo fa per fare dei lavori in casa. «Questa me la porterò con me nella tomba – dice il signor Generoso – è un segno del destino che me la sia trovata in casa al momento giusto. Ma soprattutto debbono dire grazie a questo pezzo di legno le sei persone che erano nella bottega qua sotto».
Sono gli impiegati e i clienti che erano all’interno del «Supermercato Gianfry» al momento del nubifragio e che devono la vita a quella scala dimenticata in casa del signor Generoso. «Il fango e l’acqua arrivavano da tutte le parti – racconta – e loro non potevano uscire perché era troppo pericoloso. In pratica erano intrappolati qua sotto. A quel punto mi sono ricordato di quella scala e mi sono precipitato a prenderla. Con mia moglie l’abbiamo calata giù e loro sono riusciti ad entrare in casa in tempo prima che il fango invadesse tutto il supermercato».
E poco importa che il signor Generoso e sua moglie restino ancora intrappolati nel loro appartamento. «Chissà quando si potrà riaprire il portone d’ingresso, ci sono oltre due metri di fango’ dice – qualcuno mi ha consigliato di lasciare casa ma io preferisco restare qui. Per il momento abbiamo quel che ci serve e possiamo resistere». L’unica sua preoccupazione dopo la tragedia era informare i tre figli che vivono e lavorano tra Milano e Bergamo. «Due sono impiegati al Comune ed una terza insegna – racconta – quando è successo il finimondo non riuscivo a darmi pace. Siamo rimasti al buio e senza telefoni. Devo dire grazie ad un maresciallo della forestale che, vedendo la mia disperazione, si è messo in contatto ed hanno fatto sapere ai miei figli che io e mia moglie stavamo bene».
Alfio Sciacca
03 ottobre 2009
MESSINA – Nella città dove con lacri¬me e dolore dilaga la rabbia per quest’on¬data di lutti che in parte si poteva evita¬re, c’è un sindaco rimasto a ripetere che ha piovuto tanto, tantissimo, come se davvero l’apocalisse su montagne senza alberi e su torrenti cementificati fosse so¬lo colpa della natura e non una tragedia annunciata. Ed è sotto la montagna sfregiata del borgo di Giampilieri che echeggia il rim¬provero a denti stretti del vescovo di Messina, Calogero La Piana, gli occhi ca¬richi di pietà, il tono severo: «Non è col¬pa della natura.
Qui le responsabilità so¬no terrene. Adesso è tempo di solidarie¬tà e di soccorso. Ma deve pur essere indi¬cata la vera colpa. A due anni da un altro disastro simile, seppure non luttuoso, ci saremmo aspettati maggiore attenzio¬ne ». Già, perché la stessa montagna che campeggia sul convento di Sant’Anto¬nio, dove tre anziane suore rifocillano due pullman di terrorizzati turisti israe¬liani, franò nell’ottobre del 2007 e il fan¬go scivolò giù sulle fiumare ingessate, verso Scaletta, travolgendo ogni cosa, ma risparmiando vite umane. Una fortu¬na. Un miracolo. Forse, un monito lan¬ciato agli uomini per arginare la devasta¬zione di spiagge e colline. A modo suo, la politica promise, s’im¬pegnò, stanziò e in pompa magna an¬nunciò una spesa di 11 milioni di euro per il territorio di questa Messina stretta sui fianchi dei Peloritani, fatta a strisce lungo fiumare zeppe di calcestruzzo. La svolta si rivelò però un proclama subito tradito e tradotto in interventi minimi per appena 900 mila euro malamente spesi, come adesso si lamenta uno dei consiglieri dell’Ordine dei geologi, Vincenzo Pinnizzotto, che i vizi della sua cit¬tà li conosce da vicino: «Spesso accade che i finanziamenti destinati a mettere in sicurezza il territorio finiscano altro¬ve. Esigenze politiche... A ogni emergen¬za se ne parla un po’ e poi non si fa nien¬te lasciando che acqua e fango dilaghino in modo selvaggio».
materia per la Procura di Guido Lo Forte, deciso a indagare sul reato di «di¬sastro colposo». E tanti mettono le mani avanti. Con il governatore Raffaele Lom¬bardo che annuncia summit e nuovi pia¬ni invocando Berlusconi («Da soli non possiamo farcela») e il ministro dell’Am¬biente, Stefania Prestigiacomo, che ir¬rompe minacciosa quando scopre la brutta fine fatta dai fondi del suo dicaste¬ro: «Basta con questo modo irrazionale di distribuire i fondi per il dissesto del territorio. Ora si tratta di mettere fine a questo malgoverno, intervenire rapida¬mente e richiamare anche i sindaci della provincia di Messina a una più attenta programmazione urbanistica». Fanno la voce grossa in Procura, ma qualche dubbio viene anche agli ambien¬talisti qui spesso considerati solo dei rompiscatole. Sarà perché sono state frettolosamente archiviate ad aprile due delle quattro denunce presentate dal Wwf, ma un po’ scettica si mostra l’eroi¬na sempre schierata nella trincea verde di una Messina ostile, Anna Giordano: «Brucia il silenzio, lo sberleffo e l’indiffe¬renza, insomma il muro contro cui ab¬biamo dovuto sbattere la faccia noi cas¬sandre. Se avessero rispettato le norme, sospeso la variante al piano regolatore e rimodulate le opere necessarie, forse un giorno terribile come questo non ci sa¬rebbe stato».
Battaglia dura, soprattutto dall’agosto del 2007, quando il Comune istituì la co¬siddetta «Commissione valutazione di incidenza», indicata dalla Giordano co¬me un bubbone: «Appena due mesi do¬po la costituzione, nonostante le alluvio¬ni dell’ottobre 2007, ha fatto danni a mai finire, oltre ad approvare ovviamente tutto, dalla a alla zeta. E fino a ieri al Co¬mune si accaparravano sul piano trien¬nale delle opere pubbliche, cemento su cemento, asfalto a go-go, con le ruspe che continuano ovunque, senza mai fer¬mare cantieri, lottizzazioni, palazzi, vil¬le, casermoni, strade nuove, centri com¬merciali a due passi dal mare, sui torren¬ti... ». Una denuncia accorata, in sintonia con quella di Alberto Fiorillo che dagli uffici romani di Legambiente estrae lo studio fatto con la Protezione civile sui 273 comuni siciliani a rischio idrogeolo¬gico: «Di questi 91 stanno in provincia di Messina. Abbiamo mandato un que¬stionario. Ma ha risposto il 37 per cento. E di quei pochi il 52 per cento dichiara¬no di avere interi quartieri in area a ri¬schio... ».
Uno studio riflesso nel disastro che si è presentato davanti a Bertolaso quando per guadagnare la strada del mare fra le sabbie mobili di Scaletta ha dovuto var¬care una delle case abbandonate, lungo la schiera che separa la statale Messina Catania, da spiaggia e ferrovia, un muro, anzi una muraglia senza continuità. Ma, violando un soggiorno abbandonato e entrando in un corridoio con i quadretti infangati, s’è accorto di camminare su un mini torrente inglobato in quella ca¬sa senza padroni. L’ha capito arrivando all’orto, ricavato a ridosso dei binari del¬la ferrovia. E lui, esplodendo con i suoi, con gli accompagnatori siciliani: «Lo ve¬dete come si lascia costruire a due passi dai binari, tappando i corsi d’acqua, sen¬za che se ne accorga nessuno, a tutti ap¬parendo cosa normale. Da otto anni ripe¬to le stesse cose...». Poi gli stivali affon¬dano lungo la spiaggia e marciando in parallelo con la statale si arriva al punto interrotto, un’intera palazzina piegata su se stessa, un convento di suore e un’altra casa spazzate via perché edifica¬te sul letto del torrente che scende giù da Scaletta Superiore. « l’ora che cambi tutto...» si sfoga in¬fine mentre argina la rabbia di chi scava con le mani per trovare amici e parenti, bloccato al ritorno dal proprietario della casa attigua a quella del corridoio col tor¬rente tappato, un agente di assicurazio¬ni che impreca contro le autorità, ignaro di avere contribuito al disastro, fiero di stringere le mani a Bertolaso che vorreb¬be rimproverarlo, stoppato: «Me lo salu¬ta Berlusconi?».
03 ottobre 2009
L’alluvione dimenticata, ma non dal web
Il precedente del 2007 non è servito come campanello d’allarme, molte testimonianze e grida d’allarme in Rete
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• Da Legambiente a Bertolaso: disastro annunciato, bisognava intervenire (2 ottobre 2009)
MILANO - Ora sono tutti lì a dire che il disastro era annunciato, che bisognava prevenire, che si poteva fare qualcosa. Eppure la marea di fango che ha travolto Giampilieri e altri comuni della Sicilia orientale non è la prima volta che bussa alle porte di questo piccola frazione messinese. Lo sanno bene i circa 1.200 abitanti di questo borgo che prende il nome da un antico proprietario terriero del luogo, Giovanni Piliero. Forso però, almeno fino ad oggi, lo hanno saputo solo loro e e pochi altri perché il precedente che avrebbe dovuto suonare come un campanello d’allarme, quello del 25 ottobre 2007, non aveva avuto una grande eco a livello nazionale. Forse perché allora ci furono sì ingenti danni, ma non vittime. Ma tanto è bastato per confinare quanto accaduto nel recinto di una vicenda locale. Il che ha permesso a molti, dalla Regione al governo nazionale, di fare come se nulla fosse accaduto. Lo hanno denunciato, questo silanzio, gli abitanti di Giampilieri cercando visibilità sui media a poche settimane dall’alluvione di due anni fa. Un grido ed un lamento, il loro, raccolto da Striscia la Notizia, che aveva inviato sul posto Stefania Petyx e l’inseparabile bassotto. Ma non era bastato.
LA RETE NON DIMENTICA - L’alluvione dimenticata allora è rimasta in pratica dimenticata per sempre. Fino a giovedì sera, quando il fiume limaccioso è tornato a lambire le abitazioni. E, questa volta, a fare anche dei morti. Dimenticata per tutti, ma non per la Rete, custode fedele di storie, immagini, parole. Ed è così che digitando in Google le parole «alluvione» e «Giampilieri» uno si aspetterebbe di trovare le foto che raccontano l’oggi, la drammatica attualità che gli abitanti del paese stanno nuovamente fronteggiando. Quelle ci sono. Ma ci sono anche le immagini di allora, a ricordare a tutti che il pericolo c’era, che qualcosa si doveva pur fare. E non si è fatto.
IL PRECEDENTE - Ci sono le immagini di Salvo Restuccia, che apre il suo sito web con una bella foto del paese visto dall’alto, un’immagine di serenità che si contrappone alla drammaticità degli scatti che, in un’apposita sezione, documentano la devastazione compiuta due anni fa dalla furia dell’acqua. Ci sono i servizi di Striscia, postati da più utenti anche su YouTube (Guarda il video). C’è l’articolo scritto a un anno di distanza su Larderiaweb, il «sito web del paese di Larderia, non lontano da Giampilieri, che spiega come «ogni volta che piove gli abitanti tremano» e ricorda, dopo gli interventi tampone realizzati, che «qualche terrazzamento non può certo contenere la forza dell’imponente collina che sovrasta il paese». O quello di Tempo Stretto, altro sito web che si occupa di Messina e del suo territorio, che dava voce al comitato parrocchiale del paese che spiegava come «era inevitabile che accadesse».
AUTOIRONIA - C’è anche chi, come 8gatti sempre su YouTube, ha provato a giocare sull’ironia, alternando in un montaggio di slides le immagini dell’alluvione e didascalie volutamente sarcastiche contro i ritardi nei soccorsi, l’assenza della protezione civile o dei vigili del fuoco («forse verranno domani»), la latitanza delle istituzioni (vengono salvati solo i carabinieri, «gli unici che si sono fatti vedere»). Il tutto sulle note di nenie e canzoncine per bambini: da «Se sei felice tu lo sai batti le mani», al biancaneviano «Provate a fischiettar» e passando per «Salagadula magicadula», la formula magica della fata madrina di Cenerentola, quella che tutto può risolvere anche quando tutto sembra perduto: «fa la magia tutto quel che vuoi tu, bidi-dibodi-dibu». Ma questa volta qualcosa non ha funzionato.
Alessandro Sala
02 ottobre 2009
PREVENIRE I DISSESTI "NON PAGA"
02.10|19:23
FLUMINE
Sono un Ingegnere Civile Idraulico e vi dico con certezza che, a differenza dell’evento sismico,l’evento da dissesto idrogeologico (frana,alluvione,colata di fango...)è sostanzialmente prevedibile.Gli strumenti ci sono già, a disposizione di Comuni,Province,Regioni(cartografie della franosità,delle aree inindabili....)il punto è che la prevenzione "non paga" elettoralmente e nessuno investe a sufficienza per qualcosa che "non si vede"(vuoi mettere:finanziare un bel ponte,una strada,una piazza,una sagra,i fuochi pirotecnici del Santo Patrono..?).Inoltre,le poche volte che le Pubbliche Amministrazioni investono sul dissesto idrogeologico,spesso si affidano a figure poco o per nulla competenti in materia (Geometri,Architetti,Ingeneri non specializzati)...Siamo in Italia...
DA REPUBBLICA QUOTIDIANO DEL 3/10/2009
DAL NOSTRO INVIATO
MESSINA - Incendi dolosi, disboscamenti e cantieri edili. Palazzine e lottizzazioni, sui costoni della montagna, sul greto dei torrenti, sulla spiaggia. Più di 150 mila costruzioni abusive in Sicilia con un danno irreparabile per un territorio con un rischio idrogeologico da record. Finanziamenti spesi solo in parte per la messa in sicurezza e casse dell´amministrazione locale a secco nella città in cui il governo ha già pronti i contratti per la realizzazione del Ponte sullo Stretto come annuncia il ministro Altero Matteoli: «Spero che al massimo per gennaio i primi lavori a terra possano partire, spero anzi che il via possa esserci già a dicembre. La Società Stretto di Messina e la Impregilo hanno trovato gli accordi ieri. Ho appena parlato con Ciucci, ad della Stretto, e mi ha detto che tutto è a posto».
Un annuncio che, nel giorno della tragedia, provoca l´indignata reazione di Andrea Martella, responsabile delle Infrastrutture del Pd: « C´è dell´incredibile nelle affermazioni del ministro delle Infrastrutture. In una giornata tragica per la Sicilia e per il Paese, nella quale anche il presidente della Repubblica ha parlato della necessità di pensare prima alla sicurezza e poi alle opere faraoniche, come se nulla fosse parla dei tempi di realizzazione del ponte di Messina. Le parole del ministro sono l´ennesima prova della distanza che c´è tra questo governo e il paese reale».
Al governo nazionale chiede aiuto il presidente della Regione Raffaele Lombardo che annuncia la prossima visita di Berlusconi e fa mea culpa: «Quanti letti di fiume noi stessi abbiamo finanziato perché venissero cementificati? Ora credo che ci sia bisogno che sindaci, amministratori e cittadini segnalino le disfunzioni e si cominci ad intervenire prevenendo quelli che possono essere veri e propri disastri. Il Pubblico deve dare una mano, ma se non c´è l´attenzione di tutti noi, se non la smettiamo di costruire male, di intaccare l´equilibrio della natura, prima o poi paghiamo un prezzo».
Una settimana fa, dopo che due giorni di temporali avevano già provocato piccole frane e interrotto le strada, i sindaci dei centri colpiti avevano minacciato le dimissioni in massa perché senza risorse per fare fronte ai danni e provvedere alla messa in sicurezza. Una protesta inascoltata. E il sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, ammette: «Due anni fa c´è stato un fenomeno molto contenuto ma la mancanza di fondi non ha consentito di intervenire».
(a.z.)
ANTONIO CIANCIULLO
ROMA - La ricetta del disastro è precisa. Si prende un territorio come l´Italia, con 7 Comuni su 10 a rischio idrogeologico. Si spargono case abusive a profusione, possibilmente nelle aree in cui si espandono fiumi e torrenti in piena. S´immettono in atmosfera gas serra, quanto basta per modificare il ciclo idrico e produrre piogge interminabili e violente. Poi si aspetta. Non a lungo. Nell´ottobre dell´anno scorso è toccato a Cagliari; a dicembre Roma ha convissuto con l´incubo alluvione; adesso è Messina a pagare un prezzo molto alto. Cosa ci aspetta nel prossimo futuro?
La risposta è contenuta in «Ecosistema a rischio» un documento firmato dalla Protezione civile e dalla Legambiente che sintetizza, regione per regione, la capacità di risposta alla minaccia del dissesto idrogeologico. La base di partenza è oggettivamente preoccupante: ci sono 1.700 Comuni a rischio frana, 1,285 Comuni a rischio alluvione e 2.596 Comuni a rischio sia di frane che di alluvioni. Una classifica guidata da Calabria, Umbria, Val d´Aosta, Marche e Toscana.
Ma il rischio di base, quello legato alla conformazione del territorio, non è in fin dei conti determinante: in Giappone e in California scosse che farebbero una strage nei paesi più poveri o più disattenti lasciano intatte case costruite per resistere a quelle sollecitazioni.
«Noi possiamo smettere di progettare opere inutili come il Ponte sullo Stretto e investire quei soldi nella messa in sicurezza del paese per convivere con il rischio frane e alluvioni, dando tra l´altro lavoro a centinaia di migliaia di persone», osserva Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente. «Oppure possiamo continuare a varare piani casa che puntano sulla quantità invece che sulla qualità e sulla sicurezza e assistere così al progressivo aumento del rischio, che si concentrerà sulle regioni meridionali, meno abituate a progettare le difese contro le inondazioni».
«Al momento», accusa Ermete Realacci, responsabile ambiente del Pd, «stiamo puntando dritti dritti verso lo smantellamento delle difese contro le calamità che fino a ieri chiamavamo naturali e che ci costano 6-7 miliardi l´anno: gli stanziamenti governativi per l´assetto idrogeologico nel 2008 erano 510 milioni di euro, nel 2009 sono scesi a 269, il prossimo anno saranno 120 e nel 2011 precipiteranno a 93».
La disattenzione si declina anche a livello comunale. Il 77 per cento dei Comuni censiti nell´analisi della Protezione civile ha nel proprio territorio case in aree a rischio frana o alluvione e solo 1 Municipio su 20 ha cominciato a eliminarle dando un´alternativa a chi le abita. Nel 42 per cento dei Comuni non viene svolta regolarmente la manutenzione ordinaria dei corsi d´acqua e delle opere di difesa idraulica.
Invece di rimuovere le cause del rischio, gli amministratori si preparano ad affrontare il peggio. L´82 per cento dei Comuni si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione. E due Comuni su tre hanno una struttura di protezione civile operativa 24 ore su 24.
Complessivamente dal rapporto «Ecosistema a rischio» esce un quadro estremamente critico: solo il 37 per cento dei Comuni svolge un lavoro positivo di mitigazione del rischio, mentre 787 amministrazioni comunali si danno da fare per peggiorarlo. Tra le maglie nere citate, due Comuni del Messinese: Ucria e Alì.
DALLA STAMPA DEL 3/10/2009
E’ proprio un Paese bizzarro l’Italia, pensate che d’autunno piove - qualche volta a lungo -, i fiumi straripano e le tempeste mangiano le spiagge. E pensate che, se avete costruito nel letto di un fiume, ci sono buone probabilità che la vostra casa venga spazzata via per colpa delle alluvioni. Un fenomeno nuovo, si potrebbe pensare, mai segnalato finora, specialmente nel Mezzogiorno: chi potrebbe immaginare che intere colline d’argilla franino a mare portandosi con sé case e persone? Non serviva un geologo, bastava un archivista che avesse rovistato nei documenti comunali.
Per sancire come le frane siano un fenomeno comune, esattamente come le mareggiate, nel Messinese: le ultime quattro vittime nel 1998, appena a Nord della città. Ma in Italia avviene, in media, uno smottamento ogni 45 minuti e periscono, per frana, di media, sette persone al mese. Già questo è un dato poco compatibile con un Paese moderno, ma se si scende nel dettaglio si vede che, dal 1918 al 2009, si sono riscontrate addirittura oltre 15 mila gravi frane. E non solo frane, ma anche alluvioni (oltre 5 mila le gravi, sempre dal 1918), spesso intimamente connesse agli smottamenti. Questo nonostante oggi la protezione civile sia molto più efficiente di solo venti anni fa. Le frane sono un fenomeno naturale, ma non lo sono le migliaia di morti né le azioni dell’uomo che le innescano al di là delle condizioni naturali. Tutto questo era ben noto fino dal tempo della commissione De Marchi, che fotografò, per la prima volta in modo organico (nel 1966), il dissesto idrogeologico del territorio italiano in otto volumi in cui si suggerivano anche alcuni interventi indispensabili e ritenuti urgenti fino da allora. Sono passati decenni e c’è ancora chi si stupisce oggi. Non solo: la situazione è stata aggravata dalla massa assurda delle nuove costruzioni, da centinaia di chilometri di strade, da disboscamenti insensati e dagli incendi mirati, dai condoni edilizi che espongono al rischio migliaia di cittadini che hanno scelto deliberatamente di delinquere. Ma come volevate che finissero quelle case, magari abusive, che strozzano i letti dei corsi d’acqua, come dovevano finire i viadotti troppo bassi, le strade e il cemento che hanno sclerotizzato il territorio?
Eppure - a differenza dei terremoti - le frane possono essere previste e i nomi sono già storia: Ancona (1982), il Monte Toc al Vajont (1963), la Valtellina (1987), Niscemi (1997), Sarno (1998), l’autostrada del Brennero (1998), Soverato (2002) e così via disastrando. Secondo il Cnr il totale del territorio a rischio di frane, o comunque vulnerabile dal punto di vista idrogeologico, in Italia, è pari al 47,6%. Quasi il 15% del totale nazionale delle frane, e quasi il 7% delle inondazioni, avviene in Campania (1600 in 75 anni), dove 230 Comuni su 551 sono a rischio di smottamento. La superficie vulnerabile per frane e alluvioni è, in Campania, pari al 50,3% del territorio regionale. Il Trentino sfiora l’86% - in vetta alla graduatoria -, le Marche arrivano all’85% e il Friuli è ben sopra il 50%: resta da chiedersi come mai però nel Mezzogiorno quel rischio potenziale si traduce più spesso che altrove in catastrofe, con Basilicata, Calabria e Sicilia che vanno comunque oltre il 60% del territorio a rischio. Ma la risposta la conosciamo già: l’incuria del territorio è qui diventata prassi quotidiana, perché gli amministratori preferiscono costruire un’opera pubblica, anche se inutile, purché si veda e porti consenso: chi si accorgerà invece di una manutenzione ordinaria, spesso invisibile, del territorio?
Per non parlare dell’incivile tolleranza all’abusivismo o dell’ignoranza di qualsiasi principio fisico che informi il territorio: che ne sanno gli amministratori che una frana è uno spettacolare esempio di un fenomeno geologico del tutto naturale, che porta al trasferimento di materiale dall’alto in basso grazie alla forza di gravità? E che le cause generali delle frane sono molte, ma, in tutto il mondo, l’intervento dell’uomo gioca un ruolo fondamentale? Fra qualche giorno nessuno ricorderà i morti di Messina e si continuerà a inseguire il sogno di un ponte inutile che renderà ineluttabile il dissesto idrogeologico, quando non vedrà compromessa addirittura la stabilità complessiva di un intero settore della penisola. Stornando risorse che dovrebbero essere spese per salvare vite e non per inseguire follie faraoniche.
Mario tozzi
Sembrava solida la villetta bianca di Giampilieri. L’aspetto era gradevole, con quelle serrande celesti come il cielo quando il tempo è bello. Ora sembra l’icona della tragedia: pencola a sinistra, dopo che acqua e fango hanno spazzato via gran parte delle fondamenta che poggiavano sulla creta incerta.
l’immagine fedele di un territorio devastato, massacrato dalla furia della corsa al cemento. Oggi a Messina, nel 1966 ad Agrigento che ha visto scivolare via interi quartieri, qualche mese fa a Caltanissetta dove l’ospedale San Giovanni di Dio si è sgretolato rivelando tutta la precarietà di un cemento «taroccato».
E’così il territorio siciliano. Lo sanno tutti che le piogge tumultuose hanno facile sopravvento sulle strutture, anche le più moderne, e su una natura debilitata dalla cementificazione selvaggia, dagli argini artificiali imposti ai corsi d’acqua essiccati per far posto al business, dal disboscamento irrazionale e, ancora, dall’avvento del cemento «allungato», incapace di svolgere il ruolo che gli compete.
Sembra una balla eppure è così: la mafia non solo governa ogni tipo di abuso, non solo cambia i piani regolatori per dar forma a veri e propri aborti urbanistici. Non solo tutto questo, adesso cementifica con molta sabbia e poco ferro. E tutto per imporre i modelli edilizi che abbiamo imparato a conoscere a Gela, a Bagheria, a Castellammare, a Termini Imerese, ad Agrigento e lungo le campagne infestate da orribili viadotti, giusto per fare gli esempi più clamorosi.
Così ogni anno cadono nel vuoto i saggi ammonimenti, gli allarmanti rapporti di Legambiente, di tutti gli ecologisti e di buona parte degli amministratori più coscienziosi. E’ dura la battaglia contro le ecomafie, perché il nemico non è soltanto il cattivo con la coppola. Spesso siamo noi, le vittime, i migliori alleati dei boss. Noi che ci crediamo furbi se «alziamo» dove non è permesso e aspettiamo la «legge buona» per ottenere un piano in più, magari consigliati da qualche amministratore comprensivo. Prendiamo la storia di Pizzo Sella, a Palermo. Una montagna tutt’altro che solida, coperta da «simpatiche villette» messe su da costruttori non certo inappuntabili, in un luogo dove non c’era un filo d’erba, senza gli allacciamenti di acqua, luce e fogne (arriveranno in seguito, quando gli acquirenti si erano già resi conto di essere stati gabbati). La telenovela giudiziaria che ne seguì è quella classica, annosa: il solito ping pong fra accusa e difesa, ordini di demolizioni via via ammorbiditi, insomma l’eterno accomodamento.
facile scandalizzarsi, più difficile è continuare ad esserlo fino alla rimozione dello scandalo. Ricordate l’ospedale San Giovanni Di Dio ad Agrigento? Vent’anni per costruirlo e 38 milioni di euro, scrive il rapporto Legambiente dello scorso luglio. Ecco, a cinque anni dall’inaugurazione, gli esperti mandati a controllarne la stabilità hanno scoperto che la «resistenza alla compressione» non è quella indicata nel progetto. In parole povere l’edificio è a rischio crollo. Ventidue avvisi di garanzia e ospedale dimezzato.
In questo caso non si tratta solo di dissesto geologico. La vicenda agrigentina prova che oltre alla «normale» ingordigia mafiosa si è aggiunta la «trovata» di guadagnare ancora di più «allungando» la materia prima delle costruzioni (sia private che opere pubbliche): il cemento prodotto dalle innumerevoli «Calcestruzzi». Ecco, la mafia sfascia il territorio con l’insana gestione delle cave («Le cave sono tutte in mano a noi», raccontava ai giudici, nel lontano 1992, il pentito Leonardo Messina). Ma poi non si accontenta: trucca gli appalti, si aggiudica i lavori e li fa eseguire alle proprie imprese col «cemento allungato».
Illuminanti alcune vicende giudiziarie. Proprio a Messina la magistratura ha sequestrato la Messina Calcestruzzi Srl, 40 automezzi, 39 immobili per una valore di 50 milioni di euro, di proprietà dei fratelli Pellegrino. A Messina costruivano solo loro, scrivono i magistrati. Ma con cemento scarso, mettendo a repentaglio gli edifici della città. Anche il cemento utilizzato per la costruzione di un Centro Commerciale a Contesse non era dei migliori e neppure quello dell’approdo di Tremestieri. Resisterebbero, queste costruzioni, ad un nubifragio? Cosa potrebbe accadere in un territorio a così alto rischio sismico?
Stessi accertamenti sono stati eseguiti su altre imprese: presso l’azienda di Borgetto (Palermo) di Benny Valenza, detto il «re del cemento». Solo che anche quello appariva ”depotenziato”, col risultato di dover eseguire accurati controlli sulle opere pubbliche di mezza Sicilia: gli aeroporti di Palermo e Trapani, il porto turistico di Balestrate, il lungomare di Mazara del Vallo, il costruendo commissariato di polizia di Castelvetrano, paese natale di Matteo Messina Denaro. Secondo il rapporto di Legambiente, ancora, a rischio sono trenta capannoni dell’area industriale di Partinico.
E che dire della Calcestruzzi Spa, emanazione sicula del colosso di Bergamo? E la Calcestruzzi Mazara Spa? Aziende alle prese con la giustizia: processi lunghi e lavori a rischio. Esiste addirittura una black list delle opere pubbliche sospettate di «cemento truccato». Fa paura, questa black-list: viadotto di Castelbuono (Pa); la galleria Cozzo Minneria dell’autostrada Messina-Palermo; la superstrada Licata-Torrente Braemi ad Agrigento; il Palazzo di Giustizia di Gela e il padiglione nuovo dell’Ospedale di Caltanissetta. Altro che nubifragio.
FRANCESCO LA LICATA
Noi quest’anno per la difesa del suolo abbiamo 50 milioni. Per il 2010 sapete quanto c’è? Zero». Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, siciliana, è corsa a Messina per vedere come fronteggiare la tragedia. Si dice «addoloratissima», teme che il bilancio dell’alluvione possa crescere e diventare ancora più drammatico. E soprattutto denuncia: non ci sono soldi, il territorio è stato massacrato dall’espansione edilizia, e si agisce poco e male per salvarlo.
Un territorio «massacrato», dice.
«Tutto il Messinese è così: in passato l’abusivismo, poi una espansione urbanistica esagerata. Il risultato è un territorio - ma è un discorso che non vale solo per la Sicilia - esposto in modo gravissimo al dissesto idrogeologico. Ci vuole maggiore rigore da parte dei Comuni nella concessione delle licenze edilizie. Qui a Messina ho visto una situazione ad alto rischio, disastri uguali e peggiori di questo sono dietro l’angolo».
Ma com’è possibile che ogni volta si scopra che nulla è stato fatto?
«Le risorse del ministero dell’Ambiente sono del tutto insufficienti, ma sono aggiuntive a quelle delle Regioni, che dispongono di importanti fondi e hanno la competenza e che dovrebbero fare i Pai, i Piani per l’assetto idrogeologico. In Sicilia non era approvato da due anni. Purtroppo assistiamo insieme a un ritardo nell’azione e a una dispersione delle risorse. Anche il mio ministero distribuiva in modo polverizzato, ai singoli Comuni. La verità è che in tutto il paese si va in ordine sparso, ognuno va per i fatti suoi, accontentando un anno un Comune, un anno l’altro. Risultato: opere non completate, sprechi, nessuna programmazione». Ma in ogni caso, il ministero dell’Ambiente non ha fondi per intervenire, in pratica.
«Il fondo nazionale è stato tagliato dell’80 per cento. Per il 2009 ci sono 50 milioni per la difesa del suolo, per il 2010 non c’è nulla. Bisogna rendersi conto che la politica di tutela del territorio va fatta sempre, con finanziamenti continui e costanti».
Zero fondi. E cosa pensa di fare?
«Chiaramente ne dobbiamo parlare, adesso in sede di Finanziaria, perché altrimenti così il Ministero dell’Ambiente chiude i battenti. L’anno scorso già avevamo subito tagli in Finanziaria, che abbiamo accettato a causa della crisi. Molti dei nostri compiti sono finanziati con leggi che prevedono fondi triennali. E con la Finanziaria di quest’anno tutti i miei fondi vanno a zero: difesa del suolo, protocollo di Kyoto, mare, bonifica, tutto. Dei 50 milioni che abbiamo alla Sicilia andranno 15 milioni, e certo terremo conto dell’emergenza di Messina. Ma qui c’è un territorio vastissimo profondamente colpito dal dissesto».
E pochi spiccioli.
«Sì. Ci sono i fondi regionali, ma il ministero non può certo programmare nulla. Lo scudo fiscale se andrà bene potrà dare risorse aggiuntive ma è una tantum. Io ho posto e porrò questi problemi in Consiglio dei ministri e avrò un incontro col presidente Berlusconi».
ROBERTO GIOVANNINI
La tragedia di Giampilieri e degli altri villaggi del Messinese è vecchia di due anni. Il 25 ottobre del 2007, in appena un’ora sulla collina e sulle case della zona si riversarono cento millimetri di pioggia: frane e fango invasero strade e case, danni enormi ma nessuna vittima, un miracolo. Giovedì scorso il copione si è ripetuto; sono caduti 230 millimetri di pioggia in quattro ore, ma stavolta ci sono stati morti e dispersi: «Quel campanello d’allarme di due anni fa non è servito - accusa l’ingegnere capo del Genio civile di Messina, Gaetano Sciacca -. L’ignavia dell’uomo ha così provocato tanti lutti, nonostante le due quantità d’acqua si equivalgano».
L’accusa
Non le manda a dire l’ingegnere Sciacca, è arrabbiato per quello che si sarebbe dovuto fare e non è stato fatto: « da allora che lanciamo allarmi a tutti, enti locali, protezione civile, procura. Ma non è successo nulla. Dopo l’alluvione del 2007 la prefettura ci diede l’incarico di effettuare uno studio sulle criticità della zona, con la collaborazione dei sindaci lo preparammo in un mese, indicando gli interventi di emergenza. Poi fu individuato dalle autorità il soggetto attuatore di questi interventi, e cioè la Protezione civile regionale guidata dall’ingegnere Cocina, ma non è stato fatto nulla. Con i nostri pochi mezzi abbiamo fatto due piccoli interventi proprio a Giampilieri e ad Alì, quaranta e cinquantamila euro appena, e lì la gente si è salvata e stamattina sono venuti a ringraziarmi perché un semplice muro d’argine flessibile ha protetto uomini e cose».
«Gli interventi sono stati fatti - sbotta il capo della Protezione civile siciliana Salvatore Cocina - ma avevamo due milioni e mezzo di euro per l’intera fascia ionica, mentre solo qui ce ne vorrebbero dieci volte tanto, la polemica è pretestuosa. La gente prima di arrabbiarsi dovrebbe imparare a non costruire abusivamente nelle fiumare. Ci sono autorità locali che dovrebbero controllare, trovare il capro espiatorio è troppo facile».
A strapiombo sul mare
Lo ripete anche il parroco del villaggio Giovanni Scimone: «In due anni nessuno ha preso provvedimenti, le colline sono prive di alberi, non sono stati costruiti muri di contenimento». Padre Giovanni parla con il cuore, ma i tecnici ripetono le medesime cose: «Quella è un’area con un rischio molto diffuso sia dal punto di vista idraulico sia da quello geomorfologico - spiega il docente di protezione idraulica del territorio dell’università di Messina, Giuseppe Aronica - ed è un problema vecchissimo, risultato di decine di anni di azioni sul territorio senza alcuna pianificazione. Certo, quel territorio è molto complesso: una montagna a strapiombo sul mare con le case in mezzo, perché gli incendi hanno cancellato la vegetazione e perché l’agricoltura di montagna è stata abbandonata». «La colpa è di una carenza cronica di fondi - dice il presidente siciliano dell’ordine dei geologi, Gian Vito Graziano - ma anche la manutenzione ordinaria, come la pulizia di canali, fiumi e tombini, non viene fatta». Anche la Cgil attacca: «La Regione continua a non predisporre i piani idrogeologici».
Inchieste archiviate
E gli ambientalisti accusano. «Quel territorio è attraversato da ”aste”, torrenti molto corti con un bacino imbrifero molto grande - spiega Vincenzo Colavecchio, presidente Legambiente dei Nebrodi - quando piove, l’acqua raggiunge velocità elevate per la pendenza. Se l’area fosse libera, la natura farebbe il suo corso. Ma alcuni di questi torrenti sono caratterizzati da un forte dissesto, utilizzati come strade, ricoperti, con costruzioni abusive nelle aree demaniali circostanti. E allora arrivano le tragedie». «Negli ultimi anni quel territorio è stato violentato da un’urbanizzazione disordinata e aggressiva - tuona il direttore di Legambiente Sicilia Salvatore Granata - non a caso numerose inchieste della magistratura messinese riguardano speculazioni perpetrate in aree torrentizie».
«Sono tre anni e mezzo che chiediamo di sospendere la variante al piano regolatore di Messina - commenta, amareggiata, Anna Giordano, storica ambientalista siciliana e responsabile Wwf -. Si è continuato a lottizzare invadere fiumare e alvei. Ho visto costruzioni su aree incendiate, dove non si può costruire per legge; le strade di Messina che vanno da monte a mare sono fiumare ricoperte; quelle di torrente Annunziata e Trapani, dove ci sono lottizzazioni recenti, sono crollate. Abbiamo fatto aprire inchieste su quattro lottizzazioni ora archiviate. A Messina non si muove nulla per fermare una sconsiderata politica urbanistica».
Il sindaco di Messina, il pdl Giuseppe Buzzanca, taglia corto: «Non rispondo ad attacchi strumentali lì ci sono insediamenti vecchi di molti anni. Questi ambientalisti, cioè il Pd, che facciano polemiche altrove!».
FABIO ALBANESE