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 2009  ottobre 03 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 5 OTTOBRE 2009

Domani i quindici giudici della Corte Costituzionale si riuniranno per decidere sulla costituzionalità del lodo Alfano in base al quale è prevista la sospensione dei processi penali per Presidente della Repubblica, presidenti delle Camere e premier per la durata del mandato anche per fatti antecedenti l’incarico (il blocco dei processi sospende anche i termini di prescrizione). [1] Se il lodo Alfano venisse bocciato dalla Consulta, Berlusconi potrebbe anche dimettersi. Liana Milella: «Parola dell’avvocatura dello Stato, nella persona di Glauco Nori che, per la presidenza del Consiglio, il 3 settembre ha firmato e depositato alla Corte la memoria per caldeggiare la necessità dello scudo congela-processi. Nessuna incostituzionalità, solo una legge ”necessaria”. Ventuno pagine e ben quattro volte la parola ”dimissioni”, agitata come uno spauracchio davanti alle 15 alte toghe della Corte». [2]

La decisione della Consulta, che dovrebbe arrivare in tempi rapidi, è da mesi «il convitato di pietra di ogni strategia, lo snodo di ogni scenario che condiziona le decisioni più minute». Marco Damilano: «Perfino il giorno di pubblicazione del libro di Francesco Rutelli La svolta è stato scelto con un occhio al calendario e alla votazione della Consulta: l’editore voleva uscire per metà ottobre, l’ex sindaco di Roma ha insistito per anticipare, e nelle ultime righe del volumetto, aggiunte in tutta fretta negli ultimi giorni, si capisce perché: ”Bisogna formare un governo di ricostruzione e di rilancio dell’economia”, scrive Rutelli. ”Un governo del presidente, con larga base parlamentare, l’interruzione dei conflitti sempre più distruttivi, un programma ambizioso per tre anni per poi riportare gli orologi, nel 2013, all’appuntamento con una competizione tra due schieramenti alternativi”». [3]

5 giudici sarebbero per il sì, 5 per il no, 5 incerti. Se la Corte costituzionale dovesse bocciare in parte il provvedimento, Berlusconi ha già fatto sapere che «se ne farebbe un altro». [4] Il lodo Alfano nasce dai tre profili di incostituzionalità rilevati dalla Corte nel precedente lodo Schifani. Stefano Passigli: «Una violazione del diritto alla difesa di quel Capo di Stato, presidente del Consiglio o delle Camere che volesse vedersi giudicato e assolto; una lesione del diritto della parte offesa a essere risarcita dei danni morali e materiali subiti; e, infine, una violazione del principio costituzionale di eguaglianza. I primi due profili appaiono ai più tra i giuristi essere stati sanati dalla nuova formulazione del lodo. Non così la violazione del principio di eguaglianza, da intendersi - si badi bene - non come eguaglianza tra i titolari delle massime cariche dello Stato e i cittadini, ma eguaglianza tra chi ha parità di status». [5]

Poiché nel nostro ordinamento il ”premier” è un primus inter pares all’interno di un Consiglio dei ministri che è organo collegiale, è possibile una pronuncia di illegittimità da parte della Consulta. Se ciò accadesse, la maggioranza potrebbe estendere a tutti i ministri l’immunità prevista dal lodo, e - se reso necessario dalla sentenza - quella dei presidenti delle Camere a tutti i parlamentari, così reintroducendo rafforzata l’immunità parlamentare cancellata a furor di popolo quindici anni fa. Passigli: «Ma come reagirebbe la pubblica opinione a una simile manovra elusiva di una sentenza? E alla luce delle crescenti tensioni nel PdL, esisterebbe ancora una maggioranza disposta a vararla?». [5]

Se la legge venisse bocciata integralmente e dichiarata incostituzionale, per il Cavaliere si tratterebbe di una ”sentenza politica”. [4] In questo caso, il circolo berlusconiano più ristretto (nella versione di Antonio Polito) ipotizza uno scontro ancora più forte: «Per fare una legge costituzionale ci vuole un anno, un anno e mezzo, e la sentenza di condanna a Berlusconi nel processo Mills arriverebbe invece nel giro di un paio di mesi. Dunque in entrambi i casi noi grideremmo al ”colpo di Stato”: la magistratura che vuole ribaltare il voto degli elettori. Pensiamo che Berlusconi dovrebbe a quel punto dimettersi, non accettare di farsi cuocere a fuoco lento per anni». [6]

Dimessosi Berlusconi, si andrebbe a elezioni anticipate. «Dovrebbe essere il popolo a decidere se, pur sapendo che Berlusconi è stato condannato in un processo, lo vuole come presidente del Consiglio. Sarebbe una reinvestitura. Certamente traumatica dal punto di vista istituzionale, perché si tratterebbe di una vera e propria ordalìa e le elezioni si svolgerebbero in un clima da tregenda. Ma assolutamente necessaria. Se Berlusconi rivincesse nettamente le elezioni, il nuovo parlamento eleggerebbe il futuro Capo dello Stato, e a quel punto il premier avrebbe tutto il tempo di scegliersi il delfino, e di salire al Quirinale a metà legislatura». [6]

Se Berlusconi chiedesse le elezioni, Napolitano potrebbe prima cercare una nuova maggioranza. [6] Damilano: «Mosse e contromosse ruotano attorno ad alcuni personaggi che negli ultimi tempi mostrano una plateale sintonia e voglia di stare insieme. Il presidente della Camera è in teoria il co-fondatore del Pdl, ma è stato lui a mettere sul tavolo la pistola che dovrebbe bloccare la tentazione di voto anticipato di Berlusconi: le firme dei cinquanta deputati che chiedono più democrazia interna nel partitone azzurro, indispensabili per fare maggioranza alla Camera, pronti a mettersi di traverso nel caso la situazione dovesse precipitare. Pier Ferdinando Casini, che ha già dichiarato la disponibilità dell’Udc a un governo di emergenza nazionale se dovesse esserci il caso e che ha sfidato la Lega e Berlusconi: ”Una maggioranza alternativa si trova in dieci minuti”». [3]

Detto di Rutelli, nel Pdl c’è stata l’uscita dal partito di Giorgio La Malfa. Damilano: «Irrilevante sul piano numerico ma significativa per gli ambienti che rappresenta il figlio di Ugo. Pesa soprattutto la linea dell’ex ministro Giuseppe Pisanu, leale con Berlusconi ma in rotta con i falchi del Pdl, una riserva che potrebbe tornare utile: intanto, il suo nome è stato inserito tra i relatori al convegno sull’immigrazione che a metà ottobre vedrà unite la fondazione Italianieuropei e la fondazione Farefuturo. Fini e Massimo D’Alema più Pisanu. Tre personalità che potrebbero appoggiare un governo da affidare a una figura super partes. Chi? Il 7 ottobre, con la Consulta in camera di consiglio, si riunirà per la prima volta la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo: tra gli invitati Fini, ancora lui». [3]

L’ex presidente di Confindustria non è in gara, semmai bisogna guardare in altre direzioni. Damilano: «A nessuno è sfuggita la presenza accanto a Berlusconi il 29 settembre in Abruzzo del governatore di Banca d’Italia Mario Draghi. Candidato dal ”Wall Street Journal” alla guida della Banca centrale europea, l’italiano più stimato nei consessi internazionali, come ha dimostrato il G20 di Pittsburgh. Lontano dalle beghe, attento a non confondersi con un fronte anti-governativo, ma proprio per questo spendibile se la sentenza sul lodo Alfano dovesse provocare nel Palazzo la scossa che si annuncia da mesi». [3]

Il circolo finiano più ristretto (sempre versione Polito) prevede uno scenario diverso. «Anche se arrivasse una bocciatura, Berlusconi non si dimetterebbe. Per lui un giorno in più al potere è sempre un giorno guadagnato. E poi la Lega non gli concederebbe le elezioni anticipate. Bossi punta sulle prossime regionali, e ha bisogno dei decreti attuativi senza i quali il federalismo fiscale è carta straccia. La minaccia delle elezioni anticipate è un’arma spuntata, ma è puntata contro i giudici della Consulta, per intimorirli sulle conseguenze politiche della loro sentenza. In ogni caso, Fini non si presterà a giochetti. Berlusconi sa che non ha alibi, perché Fini gliel’ha detto, e lo sa l’opinione pubblica perché Fini l’ha detto al congresso dell’Udc. Il bipolarismo prevede che solo un governo eletto possa sostituire l’attuale». [6]