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 2009  ottobre 02 Venerdì calendario

La rivoluzione fiscale di Schwarzenegger- Con una disoccupazione quasi record (12,2 per cento, solo il Michigan sta peggio) e il primato assoluto del deficit statale negli Usa battuto per due anni consecutivi, la California tenta la carta di una riforma radicale del sistema fiscale

La rivoluzione fiscale di Schwarzenegger- Con una disoccupazione quasi record (12,2 per cento, solo il Michigan sta peggio) e il primato assoluto del deficit statale negli Usa battuto per due anni consecutivi, la California tenta la carta di una riforma radicale del sistema fiscale. Obiet­tivo: aumentare le entrate ed evitare che, in caso di crisi, il gettito precipiti proprio quando c’è più bisogno di spendere risorse pubbliche per l’assistenza sociale e il sostegno al­l’economia. L’esperimento tentato dal governatore Arnold Schwarze­negger è audace: non è detto che riesca, ma va seguito con attenzione perché quello che sta accadendo nel «laborato­rio California» prima o poi accadrà anche nel resto dell’Ame­rica. E anche in Europa rischiamo di vedere situazioni simi­li: gap crescenti tra entrate e uscite difficili da colmare con un aumento delle aliquote che i politici cercano di evitare per non perdere consenso politico e per non deprimere ulte­riormente la domanda. Come se ne esce? La commissione «bipartisan» di esperti e leader delle imprese incaricata dal Parlamento california­no di studiare una riforma ha presentato un progetto corag­gioso: imposta sul reddito (la parte di competenza statale, il resto va al Fisco federale) semplificata (da 6 a 2 aliquote) e ridotta, e istituzione di una nuova tassa sugli affari con una base imponibile molto ampia e un’aliquota bassa (4 per cento). Un terremoto, titola in un editoriale il Wall Street Journal che sostiene il progetto, ripro­vando in esso la filosofia della flat tax . Anche Schwarzeneg­ger lo promuove, giudicandolo un buon compromesso tra le istanze di democratici e repub­blicani. Ma i parlamentari della California, allergici, come tutti i politici, alle innovazioni ra­dicali, frenano: la commissione l’hanno voluta loro, ma poi si sono pentiti. Le lobby sono in fermento perché la nuova tassa, più simi­le alla nostra Iva che alla sales tax attualmente in vigore ne­gli Usa, tocca trasversalmente quasi tutti i settori produttivi e soprattutto l’area dei servizi, fin qui esente da questo tipo di imposizione. Ma anche i democratici sono molto preoc­cupati perché il nuovo sistema «spalmato» e ad aliquote ri­dotte avvantaggia chi guadagna di più. Un «inconveniente» difficile da far digerire per una comunità da anni alle prese con una polarizzazione dei redditi che impoverisce i ceti me­di. Ma se l’obiettivo deve essere quello di ridurre la volatilità delle entrate, dicono gli esperti, bisogna per forza abbassa­re la parte (più della metà) che oggi viene dai ricchi il cui reddito può avere oscillazioni fortissime da un anno all’al­tro. Altrimenti bisognerà costruire un’amministrazione pub­blica «a soffietto», che si gonfia e sgonfia a seconda delle disponibilità di cassa. Quest’anno è già successo in Califor­nia. Domani chissà dove.