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 2009  ottobre 02 Venerdì calendario

LE VACANZE IN ALGERIA DI UN RAGAZZO NATO IN ITALIA


Sono uno studente di 18 anni, nato in Italia ma di padre algerino, e ho quindi molti parenti laggiù. Spesso vado in vacanza a Orano e constato (anzi constatiamo perché mio padre può fare confronti con gli anni dell’occupazione francese e quelli dopo l’indipendenza) un processo culturale a ritroso nel quale la popolazione si chiude in un islamismo talvolta estremizzato. Questo è molto preoccupante in un Paese che 50 anni fa non era meno occidentale dei Paesi europei. La colpa può essere di questa corrente anti-islamica diffusa un po’ ovunque (soprattutto in Italia) che provoca una reazione quasi difensiva dei Paesi coinvolti?
Karim Rachedi
zappadero@hotmail.it

Caro Rachedi,
Il quadro da lei descritto non è soltanto algerino e concerne tutti i Paesi mu­sulmani. Il fenomeno ha mol­te cause e una di esse, per l’ap­punto, è l’indipendenza. Per rafforzare l’identità nazionale dei loro popoli, i nuovi leader promossero anzitutto l’inse­gnamento dell’arabo e apriro­no le porte dei loro Paesi, in tal modo, all’influenza di quella casta religiosa che ave­va conservato e coltivato la conoscenza della lingua cora­nica. Il caso algerino è partico­larmente indicativo.
Alla metà degli anni Settan­ta il presidente dell’Algeria era Houari Boumediene, lea­der del Fronte di liberazione nazionale, veterano della guerra d’indipendenza, mu­sulmano e tuttavia convinto che la religione non dovesse dettare la politica dello Stato. Ma Boumediene introdusse l’insegnamento dell’arabo, al posto del francese, in tutte le scuole e in quasi tutte le facol­tà universitarie della Repub­blica. Per le esigenze di que­sto nuovo curriculum scola­stico mancavano tuttavia gli insegnanti e fu necessario ri­correre a maestri e professori provenienti da altri Paesi ara­bi: la Siria, l’Iraq, l’Arabia Sau­dita e soprattutto l’Egitto. Ar­rivarono così in Algeria mae­stri e professori che si erano formati soprattutto nelle scuole religiose, dove l’arabo era necessario per la lettura del Corano, e che appartene­vano in buona parte alla Fra­tellanza musulmana, vale a di­re al capostipite di tutti i mo­vimenti radicali e fondamen­talisti nati nell’universo mu­sulmano durante il secolo scorso. I loro allievi furono i bambini del baby boom, nati dopo l’indipendenza. Aumen­tò così negli anni seguenti il numero delle ragazze che por­tavano il velo e dei ragazzi che gettavano la cravatta (un simbolo dell’Occidente) per indossare calzoni a mezza gamba, più adatti alle abluzio­ni rituali, e scarpe aperte sul calcagno, più comode per chi deve lasciarle sulla soglia del­le moschee.

Abbastanza lento e gradua­le a tutta prima, il fenomeno fu bruscamente accelerato dalla crisi economica e politi­ca di quasi tutti i regimi che avevano adottato, per la mo­dernizzazione dei loro Paesi, i modelli europei ispirati dalle economie delle democrazie occidentali e da quelle dirigi­stiche del sistema sovietico. Non so quando suo padre sia arrivato in Italia, ma nessuno meglio di lui, probabilmente, può descriverle la crisi del­l’economia algerina alla fine degli anni Ottanta, le elezioni vinte dal Fronte islamico del­la salvezza e la lunga guerra civile degli anni seguenti: una drammatica sequenza di tragici eventi da cui l’islami­smo uscì, nonostante le sue sconfitte, moralmente forte.

Lei si chiede, caro Rachedi, se l’islamizzazione sia stata fa­vorita dai pregiudizi e dal­­l’ostilità di una parte delle so­cietà occidentali (l’Italia non è l’esempio peggiore). pro­babile. Ma non dimentichi, per un quadro più completo, le altre cause che ho cercato di descrivere.