Filippo Facci, Libero 2/10/2009, 2 ottobre 2009
GIGNEDDU FLOP" L’UNICO PM CONDANNATO DAI GIUDICI
Mentre l’ex magistrato Antonio Di Pietro incolpa il Quirinale perché connivente con il «riciclaggio di Stato», il quasi ex magistrato Luigi De Magistris incolpa il Quirinale per le proprie dimissioni dalla magistratura: annunciate ancora una volta e tuttavia, per distrazione, non ancora effettivamente date. Sarà accaduto non più di dodici volte, da marzo a oggi.
Le incolpazioni di De Magistris non sono comparse non su una rivista medica ma su Il Fatto di ieri, il quotidiano distribuito nelle migliori cancellerie: «Presidente, lascio la toga anche per colpa sua», «Io, sconfitto dalla mafia di Stato». Il quasi ex magistrato peggiore della storia italiana sostiene che Giorgio Napolitano non l’avrebbe difeso «dalla politica, dai poteri forti, dall’interno della magistratura» e dai «mafiosi di Stato», giacché per fermare i servitori dello Stato come lui «oggi non è più necessario ucciderli», perché «si può raggiungere lo stesso risultato con modalità diverse: al posto della violenza fisica si utilizza quella morale, la violenza della carta da bollo, l’uso illegale del diritto o il diritto illegittimo, le campagne diffamatorie della propaganda di regime». Non c’è troppo da interpretare: la mafia di Stato, se ne desume, è composta dalla magistratura stessa: perché erano e sono magistrati coloro che avocarono le sue inconsistenti inchieste; ed erano magistrati anche gli ispettori ministeriali spediti dal Ministero sino a Catanzaro (alcuni erano pure di Magistratura democratica) e lo erano nondimeno i componenti del Csm, e i componenti del Tribunali dei ministri, gli esponenti dell’Associazione magistrati: gli stessi che l’altra estate definirono De Magistris come un «pericolo per la credibilità della magistratura». Ma l’elenco è sterminato, perché la mafia politica ha addentellati dappertutto: non dimentichiamo - i virgolettati sono suoi - la «nuova P2», la «strategia della tensione», la «massoneria», i «poteri occulti coadiuvati da pezzi della magistratura» e ovviamente «settori deviati di apparati dello Stato», insomma tutte le cosmogonie giudiziarie che ebbe via via a ingigantire in proporzione a un’esposizione mediatica che alla fine lo sbalestrò e però, siccome questo è un Paese ridicolo, lo proiettò sino a Strasburgo dove perlomeno non farà più male a nessuno.
Le lacune di Gigi
Ma torniamo alla lettera indirizzata a Napolitano, di cui è vero: non gliene frega niente a nessuno fuorché a quelli de Il Fatto e a noi che ne scriviamo. Ma tutto sommato è un male, perché le imprese di questa sorta di sottoprodotto del giustizialismo all’italiana non devono essere dimenticate. Il problema è che non sono neppure conosciute. Luigi De Magistris, che ora biascica di «dare il massimo per il bene pubblico e l’interesse collettivo», è un personaggio che con le sue inchieste totalmente fallimentari ha distrutto vite, persone, famiglie, imprese, posti di lavoro e reputazioni, un signore che ora si racconta che «il mio lavoro procedeva in modo assolutamente proficuo in tutte le direzioni». Un sognatore, ma in senso letterale: già raccontammo che sin dal 1996, appena insediato a Catanzaro, si occupò di reati contro la pubblica amministrazione che però nessuno dei suoi indagati è stato mai condannato per reati appunto contro la pubblica amministrazione, neanche uno, mai; Luigi De Magistris ha perso tutti i processi della sua vita tra i pochi che non si sono arenati prima ancora di giungere in dibattimento: cancellati, polverizzati, distrutti da gip, organi del riesame, Corti d’Appello, di Cassazione, Tribunali, gup, procuratori aggiunti, procuratori capi, ovviamente giudici, chiunque abbia avuto modo di verificare l’incredibile di chi, magistrato, probabilmente non avrebbe dovuto neppure diventarlo.
Per comprendere meglio il personaggio De Magistris forse sarebbe bastato leggere il parere con cui il Consiglio giudiziario di Catanzaro si era espresso sulla sua nomina a magistrato di Corte d’appello: doveva essere un passaggio scontato, solo un timbro che i Consigli giudiziari tendono quasi sempre a rilasciare per consacrare la progressione di carriera; i magistrati giudicati negativamente, di norma, non superano l’1 per mille del totale. Ma nel caso di De Magistris, il 18 giugno 2008, il relatore Bruno Arcuri fu poco tradizionalista, e quanto disse non è mai stato pubblicato da nessun grande quotidiano nazionale. E neanche piccolo: «Prendendo possesso del mio ufficio di Procuratore generale, iniziavo la mia esperienza in Calabria con vivo interesse per il dr. De Magistris dopo aver letto di lui sulla stampa e averlo visto in televisione. Fui subito colpito dalle notizie che andavo apprendendo presso i colleghi tutti: i procedimenti da lui istruiti, di grande impatto sociale perché istruiti contro i cosiddetti colletti bianchi, erano quasi tutti abortiti con provvedimenti di archiviazione, con sentenze di non doversi procedere e con sentenze ampiamente assolutorie. Voci che mi stupirono perché in contrasto con la rappresentazione che ne davano i media».
La stroncatura
Seguiva un’analisi che denotava «una serie numerosissima di insuccessi», la «anomalia dei provvedimenti adottati», «procedimenti infausti», «omessa indicazione dei reati e delle fonti di prova», questo mentre De Magistris, ogni volta, «perseverava nell’adozione di provvedimenti immotivati malgrado i continui insuccessi». Poi l’affondo del procuratore generale: «Di fronte a una tale patologia, forse unica nel panorama delle iniziative di un pm, a meno di configurare una magistratura disattenta se non collusa con centri di potere criminale (come ha configurato De Magistris con esternazioni mediatiche) non si sfugge a un’alternativa secca: o le persone indagate sono tutte esenti da responsabilità penali, o i giudici di Catanzaro sono tutti non professionalmente idonei se non corrotti (...) Il dato certo è che il dr. De Magistris è del tutto inadeguato, sul piano professionale e sul piano dell’equilibrio e sul piano dei diritti delle persone solo sospettate di reato, a svolgere quantomeno le funzioni di pm (...) Le tesi accusatorie sono cadute spesso per errori evitabili ed evidenziati dall’organo giudicante (...) Sono emersi rilievi negativi per l’anomalia di molti provvedimenti adottati. I procedimenti di rilevante impatto sociale hanno trovato clamorose smentite (...) Il rapporto statistico indagini/giudizio lascia emergere un’anomalia, poiché numerosi procedimenti non hanno condotto a nessuna fondatezza. Non solo: nei provvedimenti si configurano violazioni manifeste di legge (addirittura diritti costituzionali) ovvero si radicano prassi senza alcun fondamento normativo, come in materia di intercettazioni».
La conclusione del Consiglio: «Giudizio finale negativo. Le voci capacità e preparazione presentano profili di evidente deficit (...) gravi vizi o lacune; tecniche di indagine discutibili; procedimenti fondati su ipotesi accusatorie che non hanno trovato conferma, attività carente dal punto di vista dell’approfondimento e della preparazione».
Morale: bocciato. Il Consiglio giudiziario, oltretutto, aveva preso in esame solo il periodo 2002-2008 e aveva quindi tralasciato i buchi nell’acqua che riguardavano l’attività di De Magistris a partire dal 1996, quando gli addetti ai lavori, a Catanzaro, cominciarono a soprannominarlo «Gigineddu flop» perché non vinceva un processo che fosse uno. Non mancherà tempo di raccontarle, le sue fallimentari inchieste: una ad una, con tutto il dolore e i danni che hanno provocato a cittadini innocenti, a lavoratori e alla casse dello Stato. una promessa.