Internazionale 814 (Renaud Girard, Le Figaro), 2 ottobre 2009
La guerra senza morti non esiste. Gli europei sono ancora capaci di fare la guerra? Ne hanno ancora i mezzi e la volontà? Di fronte ai ripensamenti dell’Italia e della Germania sulla guerra in Afghanistan, abbiamo il diritto di farci questa domanda
La guerra senza morti non esiste. Gli europei sono ancora capaci di fare la guerra? Ne hanno ancora i mezzi e la volontà? Di fronte ai ripensamenti dell’Italia e della Germania sulla guerra in Afghanistan, abbiamo il diritto di farci questa domanda. Subito dopo l’attentato del 17 settembre, che è costato la vita a sei paracadutisti italiani, Silvio Berlusconi ha dichiarato che il contingente italiano dovrebbe rientrare ”al più presto”. I taliban probabilmente neanche immaginavano di poter ottenere un segnale di debolezza così rapido ed esplicito. In Germania, dopo l’incidente di Kunduz del 4 settembre, in cui oltre trenta civili afgani sono rimasti uccisi in un bombardamento aereo ordinato da un colonnello tedesco, il Partito socialdemocratico ha chiesto alla cancelliera Angela Merkel di definire un calendario di ritiro delle truppe tedesche dall’Afghanistan. L’errore dell’ufficiale ha creato disagio nell’opinione pubblica, irritata anche dalle critiche degli alleati europei della Nato. Gli europei hanno la fortuna di vivere in pace dal 1945, grazie al generoso ombrello nucleare statunitense. Ma hanno forse dimenticato cos’è la guerra? Credono che una nazione possa impegnarsi in un conflitto senza subire perdite e senza provocare la morte di civili innocenti? La guerra senza morti e senza incidenti ancora non esiste. Nessuno ha obbligato i membri europei della Nato a inviare i loro contingenti in Afghanistan. L’intervento in Asia centrale dell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico del nord è frutto di un’acrobazia diplomatica senza nessuna base giuridica. Subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 il presidente Jacques Chirac, richiamandosi all’articolo 5 del Patto atlantico, propose di inviare anche i soldati francesi a distruggere i campi di addestramento di Al Qaeda in Afghanistan. Ma gli Stati Uniti declinarono l’offerta. In seguito, gli europei hanno accettato di partecipare a un’azione di ”stabilizzazione” dell’Afghanistan guidata dalla Nato e autorizzata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La scelta è stata fatta in maniera consapevole, tenendo bene a mente le difficoltà che l’Unione Sovietica aveva incontrato in Afghanistan tra il 1980 e il 1989. Se al momento di andare in guerra Italia e Germania avessero affermato che la presenza permanente di truppe straniere in Afghanistan avrebbe alimentato il terrorismo islamico invece di distruggerlo, tutti avrebbero capito, se non perino approvato, le loro reticenze. Ma non l’hanno fatto. Per un governo non c’è responsabilità più grande dell’impegnare il proprio paese in una guerra. Si tratta di decisioni che hanno conseguenze a lungo termine. Perciò è irresponsabile mostrare segni di debolezza di fronte al nemico, se si perdono sei uomini o se si commette un errore. In in dei conti, Kabul non è Verdun, e l’Helmand non è la Somme. Piuttosto che mostrare dei ripensamenti, Italia e Germania farebbero meglio a mettere in atto nelle province afgane sotto il loro controllo delle strategie militari più efficaci, usando la fanteria invece dell’aviazione, il contatto quotidiano con la popolazione invece della chiusura nei bunker, il combattimento integrato con unità afgane invece degli assalti solitari.