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 2009  ottobre 02 Venerdì calendario

LA CRISI APRE NUOVI SCENARI - A

Luanda i grattacieli si costruiscono anche di notte, le navi aspettano settimane prima di entrare in uno dei porti più congestionati del mondo, petrolio e gas illudono che il futuro sia al sicuro in cassaforte. Ma il boom è senza benessere, e gli aerei che atterrano nella capitale dell’Angola sorvolano, prima di toccare la pista, chilometri e chilometri di baraccopoli.
Se la crisi economica mondiale ha un merito, è forse quello di avere portato imprese e investitori occidentali, in cerca di nuovi mercati di sbocco, a guardare più da vicino il fenomeno Africa. E a scoprirne la complessità. Una complessità infinita, perché mai identica a se stessa tra uno stato e l’altro. L’approccio che si usa in Angola non sarà lo stesso in Etiopia, o in Tanzania, o in Zambia, o in Sudafrica, o in Mozambico. Nulla è scontato nell’Africa subsahariana, e nulla irrita gli africani quanto lo straniero che considera il continente nero un blocco unico, magari colorato da luoghi comuni e stereotipi ormai ammuffiti.
Anche tra gli stessi africani la crisi economica mondiale ha cambiato il modo di percepire le relazioni con l’esterno.Ha insegnato che il boom delle materie prime non è eterno, che la strada delle riforme economiche, che hanno contribuito ad attenuare l’impatto della tempesta finanziaria, è quella giusta da percorrere. Ha insegnato a limare l’orgoglio e a chiedere agli imprenditori occidentali formazione, attrezzature e tecnologia per diversificare l’economia.La crisi ha insegnato a costruire qualcosa di più lento di quanto offrono i cinesi, che realizzano a tempo di record strade, ponti, grattacieli, ma di duraturo. In primo piano c’è l’agricoltura, che rappresenta oltre il 70%dell’occupazione della popolazione africana. Partire da qui significa costruire qualcosa di importante.
Allo stesso tempo, la crisi ha presentato il conto. All’inizio della tempesta, una coltre di silenzio era caduta sulle prospettive dell’Africa, ritenuta al riparo a causa delle dimensioni modeste del settore finanziario interno, poco esposto alle complesse dinamiche internazionali. «Mentre questa tesi ha avuto conferma – osserva uno studio sull’economia africana preparato dalla Fondazione Banco di Sicilia in collaborazione con The European House-Ambrosetti – l’Africasta subendo altre conseguenze negative». L’effetto- crisi ha determinato un calo delle esportazioni, delle rimesse degli emigranti, degli investimenti esteri diretti, del turismo. Gli esportatori di petrolioe di metallo sono stati colpiti dal forte ridimensionamento delle quotazioni.
Il risultato finale è che dopo un decennio di promettente crescita economica, il Pil africano è passato da una crescita media annuale di oltre il 5% nel 2007 a meno del 5% nel 2008 e a una previsione delll’1,5% nel 2009. La diminuita crescita del Pil, con la concomitante crescita della popolazione, sta riducendo il Pil pro capite, con un effetto complessivo di aumento della povertà.
Il nodo principale da sciogliere sono le infrastrutture. Senza nuove infrastrutture sarà impossibile decongestionare i porti, accelerare i transiti e diminuire i costi di trasporto, due volti più alti rispetto al Sud-Est asiatico. La medicina salva-vita che economisti come Donald Kaberuka, presidente dell’African development bank, prescrivono alle nazioni africane, è l’approccio regionale. Nelle infrastrutture ne è un esempio il Corridoio Nord-Sud, il progetto che ha l’obiettivo di ridurre tempi e costi di trasporto tra il porto di Dar Es Salaam, in Tanzania, la regione delle miniere di rame di Zambia e Congo, e i porti del Sudafrica.
Nel frattempo, e a dispetto della crisi, la telefonia mobile e il mobile banking, i servizi finanziari via cellulare, stanno ugualmente dando energia all’economia africana.
Tutto si basa sulla cessione di una parte della ricarica del telefonino per acquistare cibo, medicine, o per pagare piccoli lavori. Una rivoluzione che limita le estenuanti migrazioni, spesso a piedi, da villaggio a villaggio.