Giampiero Martinotti, la Repubblica 1/10/2009, 1 ottobre 2009
LA FABBRICA DEI SUICIDI MISTERO FRANCE TELECOM
PARIGI
dal nostro corrispondente
Un palazzo anti-suicidi, un posto di lavoro con finestre chiuse e parapetti alti, come se bastassero pochi accorgimenti tecnici per mettere fine a un disastro sociale con pochi precedenti. A prima vista, la notizia che France Télécom occuperà da gennaio quell´immobile potrebbe sembrare farsesca, se non s´inserisse in un contesto tragico: ventiquattro suicidi in appena diciotto mesi, decine di migliaia di dipendenti in stato di shock, un management sotto accusa per aver trasformato un´azienda gloriosa in una fabbrica di depressi comandati a bacchetta. La sinistra chiede le dimissioni del presidente e amministratore delegato, Didier Lombard, ma lo Stato, primo azionista della società, forse si limiterà a chiedere la testa del suo vice.
Il palazzo di Saint-Denis, alle porte della capitale, dove in gennaio andranno a lavorare duemila dipendenti dell´operatore telefonico, è diventato così il simbolo di un´azienda terrorizzata: finestre chiuse, terrazze e passerelle inaccessibili, parapetti rialzati. La paura paralizza un po´ tutti: negli ultimi tempi si è visto un dirigente pugnalarsi davanti ai suoi colleghi durante una riunione, una giovane donna si è lanciata giù dalla finestra del suo ufficio al quarto piano. E chi tra i suicidi ha lasciato qualche spiegazione ha implacabilmente accusato France Télécom, i suoi dirigenti e i loro metodi brutali.
Il messaggio inviato al padre via mail da Stéphanie, 32 anni, è terribile: «Il mio capo non lo sa, ovviamente, ma sarò la ventitreesima dipendente a suicidarmi. Non accetto la nuova riorganizzazione del servizio. Cambio di capo e per avere quel che avrò preferisco morire. Lascio in ufficio la borsa con le chiavi e il telefonino. Porto con me la mia carta di donatrice di organi, non si sa mai. Mi dispiace che tu riceva un messaggio di questo genere, ma sono più che persa. Ti voglio bene, papà». Pochi minuti dopo la ragazza si è buttata dalla finestra del suo ufficio.
Lunedì, a Annecy, un altro dipendente si è lanciato giù da un viadotto. Nella lettera alla moglie si è detto disperato per le condizioni di lavoro. Lombard, arrivato sul posto, ha dovuto affrontare la collera di trecento dipendenti.
France Télécom ha deciso di bloccare la mobilità interna dei dipendenti, considerata una delle radici dello stress. Ma si tratta solo di un elemento. Un libro appena uscito (Orange stressé, di Ivan du Roy, che si riferisce al marchio commerciale della società e gioca sull´assonanza con l´arancia spremuta) punta il dito contro metodi che hanno un solo obiettivo: spaventare il personale per spingerlo ad andarsene. Ieri sotto tiro c´era soprattutto Louis-Pierre Wenes, il numero due del gruppo, l´uomo incaricato di tagliare i costi: «Una volta ci ha detto: sottomissione o dimissioni», racconta una sindacalista.
Il malessere va però al di là dei metodi di un uomo. France Télécom è passata dal mondo ovattato di una società pubblica monopolista a quella di un´azienda costretta a battersi in uno dei settori più concorrenziali di oggi. La transizione era oggettivamente difficile e nessuno dei dirigenti che si sono susseguiti negli ultimi dodici anni ha saputo guardare al di là del rosso e nero dei conti. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, con la paura che la lunga lista dei suicidi possa ancora allungarsi.