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 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

ITALIA NELL’UNIONE EUROPEA BRAVA MA CON DUE HANDICAP


Lei ha scritto in una recente risposta che non è possibile costruire l’Europa senza la Francia. Quali Paesi sono oggi indispensabili per costruire l’Europa e tra questi c’è, a suo avviso, l’Italia?
Luigi Bressan
luigi_bressan@hotmail.com

Caro Bressan,
Alla sua domanda (se l’Italia sia indispensabi­le alla costruzione del­l’Europa) la risposta non può che essere sì. L’Unione euro­pea non è soltanto una organiz­zazione politica, un’agricoltura comune, un mercato unico, un insieme di regole destinate a li­mitare, in nome dell’interesse generale, le sovranità naziona­li dei suoi membri. anche un progetto ideale fondato sulla convinzione che i suoi Paesi maggiori vengano da un cep­po comune e siano i volti diver­si di una stessa storia. Uno dei suoi volti storicamente più im­portanti è quello dell’Italia. Con tutto il rispetto dovuto al popolo finlandese e alle sua grandi virtù civili, l’Ue può, al­la peggio, fare a meno della Finlandia, ma non dell’Italia.
La domanda a cui dobbiamo cercare di rispondere è un’al­tra: se l’Italia abbia dato alla co­struzione dell’Europa un con­tributo corrispondente all’im­portanza delle sue tradizioni culturali e del suo obiettivo pe­so geografico e politico. La ri­sposta, in questo caso, è meno netta. Siamo sempre stati pre­senti e attivi nel momento del­le grandi decisioni. Abbiamo svolto un’utile opera di media­zione nelle fasi critiche. Abbia­mo prestato alla Commissione personalità di grande profilo europeo, da Altiero Spinelli a Mario Monti, da Giovanni Mar­cora a Filippo Maria Pandolfi, da Antonio Giolitti a Emma Bo­nino. Ma abbiamo sempre sof­ferto di due handicap che han­no nuociuto alla nostra imma­gine europea.
Il primo è quello che Riccar­do Perissich, in un bel libro del 2008 edito da Longanesi («L’Unione europea, una storia non ufficiale») ha definito il «complesso di Calimero», dal nome di un famoso pupazzo te­levisivo.
Nonostante le sue pe­riodiche impennate nazionali­ste, l’Italia sembra essere afflit­ta dal sentimento della sua fra­gilità e della sua inadeguatez­za. Contiamo meno di quanto potremmo, in altre parole, an­che perché ci asteniamo dal prendere iniziative autonome e preferiamo appoggiarci sulle spalle di qualcun altro o pro­porre soluzioni intermedie o fa­re gruppo con altri Paesi.
Esiste poi un secondo handi­cap, forse ancora più serio. L’Italia ha avuto negli ultimi cinquant’anni, con alcune im­portanti eccezioni, una classe politica e amministrativa pro­vinciale, assorbita dalle pro­prie beghe, dalle proprie rivali­tà, dalle proprie mediocri am­bizioni, e poco adatta a rappre­sentare degnamente il proprio Paese nelle istituzioni euro­pee. Ci è mancata quindi la ca­pacità di valorizzare il buon la­voro che altri hanno continua­to a fare nell’interesse naziona­le. Perissich ricorda il caso di un ambasciatore a Bruxelles che «quando si trovava in diffi­coltà, abbandonava la riunio­ne dichiarando solennemente di ’dovere chiedere istruzioni telefoniche a Roma’. In realtà andava a fumare una sigaretta e tornava con una ’posizione italiana’ che, giudicando del tutto inutile l’appello alla capi­tale, aveva deciso da solo. Il guaio è che tutti ne erano co­scienti e facevano finta di cre­dere alla sceneggiata solo per la stima e la simpatia che quel valente diplomatico si era me­ritato ».