Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

BANCHE SPERICOLATE


L’amore verso le banche è sempre stato un amore difficile e negli ultimi tempi si è addirittura trasformato in ostilità da parte dell’opinione pubblica e dei governi di moltissimi paesi. In verità il sistema finanziario internazionale, che è cosa diversa dal sistema bancario anche se lo comprende, ha responsabilità gravi nella crisi di questi ultimi due anni.

La finanza internazionale, infatti, ha lentamente ma progressivamente cambiato pelle diventando più un’industria del denaro fine a se stessa che non uno strumento al servizio della produzione di beni e servizi. Detto questo, però, questa volta bisogna applaudire alle decisioni delle due maggiori banche italiane, Unicredit e Intesa San Paolo, che hanno gentilmente declinato l’aiuto pubblico dei Tremonti-bond privilegiando strumenti di mercato per rafforzarsi patrimonialmente secondo le indicazioni della Banca d’Italia e della normativa europea.
Rischio implicito

Più volte avevamo in verità sottolineato il rischio implicito dei Tremonti-bond per una serie di ragioni che sono nell’ordine: a) il costo elevato del tasso di interesse praticato dal Tesoro ( l’8,5% che diventava in verità intorno all’11-12%) per cui si rafforzava il patrimonio per una strana legislazione che riteneva questo tipo di debito uguale ad un aumento di capitale vero e proprio, ma si comprometteva il conto economico già in sofferenza; b) vincoli che l’utilizzo dei Tremonti-bond poneva su di una parte della politica delle banche a cominciare da quella dei dividendi; c) terzo, ma non ultima, il rischio di una pressione occulta, certamente involontaria, del ministero dell’economia che avrebbe fatto fare, così, un passo indietro all’intero sistema creditizio.

La nostra tesi per un eventuale aiuto pubblico era quello di intervenire, ove necessario e richiesto, con un aumento di capitale delle banche sottoscritto dalla Cassa Depositi e Prestiti con un ”put” di uscita di qui a 3-5 anni.

D’altro canto in Italia, grazie al contributo di tutti, a cominciare da Fazio e da Draghi, non c’è stato bisogno di nazionalizzare alcuna banca come invece è accaduto negli Usa, in Gran Bretagna, in Olanda, in Germania e in molti altri paesi europei. Sarebbe stato strano, allora, l’uso generalizzato dei Tremonti-bond in un sistema che peraltro aveva a propria disposizione strumenti di mercato.

Le poche banche che hanno utilizzato i Tremonti-bond, peraltro in maniera ridotta, avevano situazioni particolari ben precise che ne minavano la operatività. E’ il caso del Banco Popolare alle prese con il disastro dell’Italease che rappresentava un macigno per il rilancio del gruppo che, messo nelle mani esperte di un banchiere come Pierfrancesco Saviotti, sta rapidamente guadagnando il terreno perduto.
Il caso Mps

In questo caso il miliardo e mezzo dei Tremonti-bond è un’accelerazione dell’uscita dalla crisi che incombeva. Il Monte dei Paschi di Siena, altro istituto che ha chiesto 1,9 miliardi di euro di Tremonti-bond, è stato colto dalla crisi globale in mezzo al guado della digestione dell’acquisto, a prezzi salati, della Banca Antonveneta mentre i 500 milioni chiesti dalla Banca Popolare di Milano ci sembrano essere stati più un atto di ”gentlemen agreement” verso il Tesoro da parte della nuova dirigenza che non una necessità impellente.

Lo strano di questa vicenda, infatti, è che chi più teneva all’uso di questi bond sembrava fosse il ministero dell’economia e non le banche. La scelta, dunque, di Unicredit e Intesa va nella giusta direzione anche perché da ogni parte si accusavano gli azionisti delle banche di non mettere mai mano alla tasca né di dimagrire vendendo qualcosa. L’Unicredit ha varato un nuovo aumento di capitale di 4 miliardi dopo l’altro di un anno fa mentre Intesa ha avviato dismissioni di asset non strategici. Inoltre entrambi gli istituti si apprestano a ricorrere al mercato di capitali con i cosiddetti strumenti ibridi ( obbligazioni convertibili ad esempio) molto richiesti dai risparmiatori. Nel breve periodo il cosiddetto ”core tier 1”, e cioè il patrimonio di vigilanza necessario per lo sviluppo del credito, aumenterà di 0,8-1 punto collocandosi intorno all’8% per entrambi gli istituti. Una conferma, dunque, della solidità delle nostre banche che ora più che mai devono accentuare gli impieghi fornendo il credito necessario al sistema produttivo che ancora affanna. Una rondine non fa certo primavera, ma senza quella rondine sarebbe impossibile attendere con fiducia una nuova primavera di crescita.