Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

L’ULTIMA CHE TI FO: AMBROGIO SANTO COMUNISTA


Dario Fo ha le traveggole e vede comunisti dappertutto, peggio di Berlusconi. Specialmente nella storia artistica ed ecclesiastica: Giotto, (...)

(...) Michelangelo, sant’Ambrogio... Secondo lui erano tutti comunisti, o almeno di sinistra, contestatori, amici dei poveri, nemici dei potenti, mostruosi incroci fra Robin Hood e Marco Travaglio. facile passare dall’essere divertenti all’essere ridicoli e il vecchio istrione nei suoi ultimi spettacoli e con le sue ultime dichiarazioni ci riesce benissimo. In passato aveva dipinto Giotto e Michelangelo come piccoli Che Guevara e ora, intervistato da Repubblica nell’incombere della prima di ”Sant’Ambrogio e l’invenzione di Milano” (Piccolo Teatro Strehler, 6 ottobre), ha proclamato che il dottore della Chiesa era un comunista.

Con quel Nobel può dire ciò che vuole? Nemmeno per idea. Un’idiozia è un’idiozia è un’idiozia, anche se chi la pronuncia ha il petto carico di medaglie (ammesso e non concesso che il Nobel, negato a D’Annunzio, Hemingway, Proust e concesso a Fo, sia una medaglia e non una patacca). Urge una ripassata di storia ma niente paura, quando dico storia intendo storia in pillole.
Prefetto del pretorio

Il compagno Ambrogio era un aristocratico romano, e fin qui niente di anomalo, la storia dei partiti comunisti è piena di conti e principi che arrossirono per continuare a vivere fra camerieri in guanti bianchi. Ma prima di diventare vescovo il compagno Ambrogio era prefetto del pretorio: definire comunista un ufficiale di quell’epoca e di quel rango, capace di difendere lo status quo imperiale governando con pugno di ferro le province, è peggio che definire anarchico il generale Radetzky o il comandante della Brigata paracadutisti Folgore.

Vabbe’, qualcuno potrebbe pensare che Ambrogio si trasformò in sincero democratico quando venne nominato vescovo. Potrebbero pensarlo, certo, ma penserebbe male. Ambrogio, colui che per Dario Fo sarebbe un compagno, un Bersani, anzi un Bertinotti o forse un Berlinguer, vallo a capire, era invece la versione maschile di Daniela Santanchè. Per accorgersene basta non perdersi in giullarate e leggere qualche libro, a esempio le Vite dei Papi dello storico di Oxford (fra l’altro nemmeno cattolico, bensì anglicano) John N.D. Kelly e Santi d’Italia di Alfredo Cattabiani.

Ambrogio, come la nostra amata Daniela, che se non ci fosse bisognerebbe inventarla, combatteva diuturnamente contro gli infedeli: i musulmani del tempo erano gli eretici ariani e verso di loro il Santo non si mostrò per nulla accogliente. Altro che il suadente Tettamanzi: «Venite venite che vi darem moschee e nel frattempo oratori e quant’altro vi abbisogni per incrementare il vostro culto...». Non a caso Ambrogio veniva anticamente raffigurato con un libro, il Vangelo, in una mano, e nell’altro una frusta. Gli ariani a Milano volevano un tempio tutto loro e lui organizzò un’occupazione a oltranza delle basiliche per impedirglielo. Fu un successo clamoroso: gli eretici dovettero fare marcia indietro e in seguito convertirsi.

Ma chissà che libri ha letto Dario Fo. Forse si è fatto passare le informazioni dal figlio Jacopo. Io sono restio a tirare in ballo i familiari, ma stavolta che ci posso fare, è stato Jacopo a tirarsi in ballo da solo pubblicizzando sul suo blog il ritorno sulle scene di padre e madre (sì, Franca Rame non può mancare quando c’è da combattere contro gli intollerabili soprusi dell’Impero romano). Secondo Jacopo, autore di testi storici quali Lo zen e l’arte di scopare, Ambrogio «fu un vescovo veramente rivoluzionario».
Teodosio penitente

Può anche darsi, basta mettersi d’accordo sul significato della parola. In effetti il nostro eroe del IV secolo rivoluzionò i costumi religiosi dell’Impero: prima erano multiculti, grazie a lui divennero compattamente cristiani. E se qualcuno sgarrava, perfino se questo qualcuno era l’imperatore Teodosio, doveva fare mesi di penitenza e chiedere pubblicamente perdono. Come esempio di libera Chiesa in libero Stato non c’è male, peccato che gli spettatori che il 6 ottobre affolleranno il Piccolo Teatro Strehler non lo conoscano. Loro credono alla storia secondo Fo, insomma alle barzellette, e penseranno di vedere il Santo «come la Chiesa non ce l’ha mai voluto mostrare, avendo censurato molti lati del suo carattere».

In effetti la cristianità postconciliare a certi episodi ambrosiani ha messo la sordina e si guarda bene dall’enfatizzare l’indiscutibile antigiudaismo che promana dai testi e dalle azioni dell’insigne vescovo. Nel 388 i cristiani bruciarono una sinagoga, l’imperatore chiese loro di ricostruirla e Ambrogio si oppose strenuamente: «Che cosa pretendono questi increduli? Si convertano, piuttosto!». Dario Fo chiude la bocca alla moglie, nella foto pubblicata su Repubblica a corredo dell’intervista. Ovviamente c’è un errore, non è stata pubblicata la foto giusta: quella in cui Franca Rame chiude la bocca al marito per impedirgli di pronunciare scempiaggini.