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 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

Le donne si tengono il posto. Più degli uomini - 
Le donne difendono il posto di lavoro meglio degli uomi­ni

Le donne si tengono il posto. Più degli uomini - 
Le donne difendono il posto di lavoro meglio degli uomi­ni. Nel rodeo della crisi, pe­rò, pagano un prezzo consistente proprio per tenersi aggrappate al­l’azienda come un cowboy al suo ca­vallo imbizzarrito. Un prezzo che si misura in termini di qualifiche (più basse), retribuzioni (ridotte all’os­so) e orari di lavoro (iperflessibili). I dati Istat della rilevazione sulle forze di lavoro relativi al secondo trimestre dell’anno parlano chiaro: gli uomini perdono il posto più spesso delle donne. A fine giugno in Italia mancavano all’appello 310 mila occupati maschi (meno 2,2 per cento) mentre le signore espulse dal mercato sono state «solo» 68 mi­la (meno 0,7 per cento). 

 Il risultato moderatamente nega­tivo dell’occupazione femminile è anche dovuto al fatto che le stranie­re hanno continuato a trovare lavo­ro (più 95 mila posti) compensan­do almeno in parte le uscite delle italiane (meno 163 mila unità). Ma lo stesso vale – seppure in misura meno marcata – anche per l’occu­pazione maschile. L’impressione è in realtà che le donne si siano tenu­te il posto perché inquadrate in set­tori meno colpiti dalla crisi (i servi­zi rispetto al manifatturiero) e in po­sizioni a salari meno elevati (e quin­di meno costosi per le aziende).

 Un’interessante segnalazione vie­ne dall’Osservatorio sul mercato del lavoro della Provincia di Mila­no. Sotto la Madonnina le donne che sperano in un contratto a tem­po indeterminato hanno più possi­bilità di raggiungere l’obiettivo se si accontentano di un part time. Tant’è che nei primi otto mesi del­l’anno i contratti a tempo indetermi­nato tout court sono stati 21.995 contro ben 22.592 contratti a tem­po indeterminato part time. «Mai registrato un fenomeno del gene­re », fa notare il responsabile dell’Os­servatorio, Livio Loverso. 

 «Attenzione, subire la flessibilità del lavoro come una penalizzazione sarebbe un grave errore – intervie­ne Simona Cuomo, responsabile dell’osservatorio sul Diversity ma­nagement della Sda Bocconi ”. La conciliazione tra famiglia e lavoro tanto agognata dalle donne richie­de anche una certa dose di flessibili­tà nell’organizzazione professiona­le ». Il problema – secondo Cuomo – è che la flessibilità è relegata ai livelli più bassi del mercato del lavo­ro: «In Italia sono pressoché inesi­stenti le dirigenti part time o in job sharing (signore che condividono lo stesso posto di lavoro alternando­si alla scrivania, ndr; ). Eppure le esperienze di molti altri Paesi dimo­strano che la flessibilità del lavoro è compatibile con ruoli di responsabi­lità ». 

«D’altra parte la crisi sta precariz­zando il mercato. Non a caso il lavo­ro somministrato (quello interina­le, ndr; ) è penalizzato. Mentre au­mentano le collaborazioni», osser­va Gianni Bocchieri, vicepresidente di Assolavoro, associazione delle so­cietà di lavoro «in affitto». 

Ma dove lavorano le donne part time della provincia di Milano? «La maggioranza degli inquadramenti si trovano in ambiti professionali a bassa qualificazione – risponde Li­vio Loverso dell’Osservatorio sul mercato del lavoro ”. Soprattutto pulizie, ricerche di mercato, attività di call centre, commesse nella gran­de e piccola distribuzione». 

Ma non è solo una questione di livelli di inquadramento. La crisi frustra anche le ambizioni di carrie­ra delle ormai numerose don­ne- quadro che speravano negli an­ni 2000 per sfondare il tetto di cri­stallo. «Non solo il tetto resiste, or­mai si parla di labirinto di cristallo perché anche il tentativo di muover­si in orizzontale è spesso senza suc­cesso », fa notare Marcella Mallen, presidente per il Lazio di Manageri­talia (il «sindacato» dei dirigenti dei servizi). 

I dati dell’associazione dicono che la crisi rallenta l’ingresso delle donne nell’olimpo della dirigenza. Per la prima volta dopo anni nei pri­mi otto mesi del 2009 è diminuita la quota di donne sul totale delle nuove nomine: le neodirigenti era­no il 16,3 per cento nel 2006, il 17,2% nel 2007, il 18,5 nel 2008 mentre sono scese al 16,7% nel 2009. «Nella crisi vince una sorta di inerzia culturale. Per le aziende di­venta ancora più difficile scardina­re vecchi stereotipi e premiare le donne», sintetizza Mallen. Eppure nell’autunno 2008, all’inizio della crisi, molti vedevano le donne co­me una risorsa che la catarsi del mercato avrebbe valorizzato. «Se Lehman Brothers si fosse chiamata Lehman sisters e fosse stata guidata da donne, per natura meno propen­se al rischio, forse il tracollo non ci sarebbe stato», è ancora convinta Si­mona Cuomo della Sda Bocconi. Ma il mercato delle professioni non sembra pensarla allo stesso modo. 

«Al quadro finora tracciato man­ca un elemento – si inserisce Su­sanna Camusso, segretario della Cgil ”. I dati Istat mostrano che se al Nord le donne resistono al lavoro perché ”premiate’ dall’appartenen­za a qualifiche più basse, al Sud ven­gono invece espulse e basta. Quan­do arriva l’ora di licenziare, nel Mez­zogiorno prevale un atteggiamento discriminatorio».

 Per finire, la crisi rischia di au­mentare le difficoltà della concilia­zione. «Famiglie con meno entrate regolarizzano con più difficoltà colf e badanti, come dimostra l’esito del­la sanatoria – conclude Camusso ”. E le nuove iniezioni di flessibili­tà spesso complicano ulteriormen­te le cose».