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 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

La Spagna di Zapatero non capisce le nuove sfide - L’ultimo fine settimana politico europeo è stato molto interessante per capire come la cosiddetta exit strategy dalla crisi sarà declinata dai vari governi dell’euro

La Spagna di Zapatero non capisce le nuove sfide - L’ultimo fine settimana politico europeo è stato molto interessante per capire come la cosiddetta exit strategy dalla crisi sarà declinata dai vari governi dell’euro. Sabato scorso il premier spagnolo, José Luis Rodriguez Zapatero, ha varato una manovra fiscale da circa 11 miliardi di euro per il 2010 quasi perfettamente ripartita tra un aumento dell’Iva e minori detrazioni sulle imposte dirette. Domenica, invece, gli elettori tedeschi hanno premiato il programma della Fdp, il partito liberale all’opposizione da 11 anni, estremamente aggressivo per la tradizione politica teutonica nel proporre riduzioni significative alla pressione fiscale di Berlino. La confermata cancelliera Angela Merkel dovrà sicuramente concedere molto ai suoi nuovi alleati di governo sul fronte fiscale. Insomma il 2010, primo anno di crescita dopo la recessione, si preannuncia con politiche fiscali abbastanza dissimili nell’area dell’euro. I governi a matrice socialista puntano soprattutto sul prelievo fiscale per contenere il crescente disavanzo pubblico e stabilizzare la situazione macroeconomica, mentre le coalizioni liberal-conservatrici si preparano a tagliare le imposte per rilanciare la domanda di consumi e investimenti. Più imposte e pochi tagli alla spesa pubblica in un caso e meno tasse e interventi di riqualificazione della spesa nell’altro. Un aspetto significativo del voto tedesco merita comunque di essere sottolineato: la maggioranza dei cittadini del principale paese dell’euro ha preferito premiare un programma politico che vuole andare oltre la tradizionale impostazione dell’economia sociale di mercato (molto incentrata sul prelievo fiscale e su un’offerta massiva di servizi gestiti dallo Stato) per allinearsi a modelli di welfare alla scandinava, meno gestione diretta del pubblico e anche meno prelievo fiscale. La Germania esce dalla profondità della peggiore crisi del dopoguerra con una voglia maggioritaria di ridurre le imposte, aumentare gli spazi di manovra dell’innovazione e della competitività e il desiderio di contenere lo strapotere pubblico nella gestione dei servizi sociali. Ciò significa che la principale economia dell’euro si è messa in marcia nella direzione che la deve portare oltre la crisi e così facendo ha impostato la traiettoria per andare oltre l’impostazione tradizionale del welfare state novecentesco. I tedeschi che maggioritariamente domandano di scambiare meno imposte per avere un minor monopolio pubblico nella gestione dei servizi sociali rappresentano una novità importante perché segnalano la presa di coscienza che la crisi globale ha stravolto le tradizionali basi imponibili e le consolidate fonti di reddito europee e, quindi, ora per resistere agli emergenti, soprattutto agli asiatici, si deve ripensare il profondità il meccanismo della spesa pubblica e la fiscalità che lo finanzia. Il fine settimana di Berlino è stato senza dubbio positivo per i cittadini del Vecchio continente, che hanno potuto verificare compiutamente come la pacatezza delle proposte politiche sappia fare breccia anche dentro la profondità della crisi per far emergere delle possibili exit strategy autenticamente riformatrici. L’Europa, più di ogni altro mercato, ha bisogno di una profonda rivisitazione del suo welfare state. Questa, ancor più della riforma sanitaria di Obama, è la vera linea Maginot del riformismo finalizzato a difendere e rafforzare la competitività dell’euro. I tedeschi lo hanno capito, gli spagnoli molto meno.