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 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

«Sotto la mafia un italiano su 5» - Beppe Pisanu parla con tono pacato, quasi didascalico. Sembra, la sua, una «Lectio magistralis» sul Mezzogiorno, in un’aula magna di un qualsiasi rettorato

«Sotto la mafia un italiano su 5» - Beppe Pisanu parla con tono pacato, quasi didascalico. Sembra, la sua, una «Lectio magistralis» sul Mezzogiorno, in un’aula magna di un qualsiasi rettorato. E invece il presidente dell’Antimafia tiene una requisitoria a palazzo San Macuto, ai commissari dell’Antimafia, sul Mezzogiorno che «rimane terra arretrata», dove «è difficile individuare un comune orizzonte di crescita che metta insieme i cittadini, le istituzioni, i lavoratori e le imprese». Un Sud irrecuperabile, condannato a convivere con la sua maledizione: la mafia, le mafie. E con le sue classi dirigenti «spesso inadeguate, a volte colluse con le mafie e, comunque, raramente in grado di organizzare e promuovere il cambiamento». Nel Mezzogiorno le organizzazioni criminali hanno cambiato pelle: «Prosperano silenziosamente, lasciandosi alle spalle i grandi delitti e le stragi, per concentrarsi sugli affari e sulla politica, dosando oculatamente l’uso delle intimidazione e della violenza e, in definitiva, contendendo allo Stato le sue funzioni fondamentali». Disarmante, Pisanu: «In Italia, a 150 anni dall’unificazione nazionale, il divario Nord-Sud invece di attenuarsi aumenta. Le mafie nostrane sono cresciute a tal punto da costituire forse la principale causa e il principale effetto del mancato sviluppo di gran parte del Mezzogiorno». Lo spunto della relazione Pisanu è il rapporto (139 pagine) del Censis sul «condizionamento delle mafie sull’economia, sulla società e sulle istituzioni del mezzogiorno». Dai impressionanti: 13 dei quasi 17 milioni di italiani che vivono in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, convivono con le mafie. E’ il 22% della popolazione italiana. «A questo 22% - riassume Pisanu - corrispondono solo il 14,6% del prodotto interno lordo nazionale, il 12,4% dei depositi bancari e il 7,8% degli impieghi. Nel 2007 il Pil medio procapite delle quattro regioni è il più basso del Mezzogiorno e il tasso di disoccupazione il più alto». Magra la consolazione di Pisanu, quando ricorda - citando il Governatore della Banca d’Italia Draghi e il ministro del Tesoro Tremonti - che dal decollo del Sud «può derivare una crescita sostenuta e duratura della nostra intera economia». E, dall’altra parte, sottolinea che le mafie del Sud si sono insediate anche al Centro Nord e hanno interessi in Europa e nel mondo. Maledetto Mezzogiorno. Neppure i finanziamenti pubblici europei arrivati a cascata hanno stretto il divario tra il Sud e il resto del Paese. E con le classi dirigenti incapaci di «progettualità», la criminalità «ha invaso l’economia, è penetrata nelle amministrazioni pubbliche e ne ha influenzato le decisioni». Denuncia Pisanu: «Nell’assalto ai fondi pubblici si è rafforzata quella borghesia mafiosa, quella zona grigia che all’occorrenza manovra anche il braccio militare, ma normalmente collega il braccio politico-affaristico col mondo dell’economia, trasformando gradualmente ”l’organizzazione criminale” vera e propria in un ”sistema criminale” integrato nella società civile». Lo scenario venturo è un assalto all’arma bianca: «Questo sistema è pronto a mettere le mani ovunque: dal settore privato ai fondi europei del programma 2007-2013 (sono previsti 101,6 miliardi di euro, ndr), al piano per il Mezzogiorno preannunciato dal governo». Il presidente Pisanu riconosce che «è difficile stabilire un nesso di causa-effetto tra mancato sviluppo e criminalità organizzata». Resta il fatto che «le quattro regioni di più forte insediamento mafioso sono le più povere e le più sfiduciate del Paese»: «Deve esserci dunque un paradigma - riflette Pisanu - che spieghi questo nesso tra mancato sviluppo e criminalità organizzata. Forse questo paradigma possiamo trovarlo nella ”contemporanea assenza (o carenza) di mercato e di fiducia”. Un avvertimento, però, Pisanu lo lancia: «Il federalismo fiscale rischia di trasformarsi in un boomerang se non trova nel Sud istituzioni trasparenti e capaci. La battaglia contro le mafie è una battaglia di libertà, anzi una guerra di liberazione». ------------------------------------------------------------------------- «Una visione falsata: oltre il buco nero c’è altro» Gianfranco Viesti, economista ed assessore con delega al Sud della giunta pugliese di Nichi Vendola, condivide l’analisi del presidente dell’Antimafia Pisanu? « da respingere in toto. la rappresentazione corrente del Mezzogiorno: un unico buco nero dove tutto sparisce. Un Sud irredimibile è funzionale alle scelte del governo e, purtroppo, condivise da una parte rilevante della classe dirigente del Paese, per cui ogni intervento è inutile, è uno spreco. E, dunque, meno si interviene meglio è». Come? Destinando meno risorse al Sud? Ma se il Mezzogiorno rischia di «annegare» per i finanziamenti pubblici europei? «Tutti gli indicatori di spesa per investimenti e spesa corrente nel Mezzogiorno sono inferiori alla media nazionale. Il contrario di quello che pensano gli italiani. Il Sud non annega di investimenti pubblici, quelle europee sono risorse sostitutive di mancati investimenti nazionali. E il governo, dopo aver effettuato tagli alla spesa per investimenti pubblici per circa 25 miliardi, si accinge a un ulteriore drammatico taglio di risorse per investimenti nelle scuole, nei trasporti e nelle reti idriche». In tutto il Paese o solo nel Mezzogiorno? «Praticamente solo al Sud». Converrà che i dati del Censis non sono strumentalizzabili? «Il Sud è fatto anche di mafie e degrado. Ma fermarsi a questa rappresentazione deforma la realtà. Nessuno ricorda che la Puglia è la regione d’Italia che tra tutte è quella in crescita. Non si tratta di nascondere i problemi ma di distinguere quello che funziona e quello che non funziona». Cosa propone il meridionalista Viesti? «Che le istituzioni nazionali garantiscano al Sud, almeno su sicurezza, giustizia e formazione, le stesse condizioni riservate agli italiani del Centro-Nord». Neppure un’autocritica? «Sì, ma respingo l’approccio di un Sud irredimibile. E aspetto una corale autocritica della classe dirigente del Paese». --------------------------------------------------------------------