Marcello Bussi, Milano Finanza 01/10/09, 1 ottobre 2009
Perchè in tempi di crisi le banche italiane si sono dimostrate le migliori - I Tremonti bond? «Non riesco a comprendere le lamentele da parte del policy maker se un’impresa privata decide di non sottoscrivere un prestito oneroso, che peraltro trovo paradossale chiamare aiuto di Stato»
Perchè in tempi di crisi le banche italiane si sono dimostrate le migliori - I Tremonti bond? «Non riesco a comprendere le lamentele da parte del policy maker se un’impresa privata decide di non sottoscrivere un prestito oneroso, che peraltro trovo paradossale chiamare aiuto di Stato». Così Donato Masciandaro, economista e docente dell’Università Bocconi, ha commentato a caldo le bordate del ministro dell’Economia contro le banche, colpevoli di non avere richiesto i Tremonti bond. L’argomento scottante ha inevitabilmente preso il sopravvento sulla tradizionale presentazione del quattordicesimo rapporto sul sistema finanziario italiano della Fondazione Rosselli. Ma non si è andati fuori tema, visto che il titolo di quest’anno è «Dopo la crisi. L’industria finanziaria italiana tra stabilità e sviluppo». Giampio Bracchi, presidente della Fondazione Politecnico di Milano e curatore del rapporto insieme a Masciandaro, ha affermato che «se i Tremonti bond fossero stati disponibili a ottobre dell’anno scorso, allora le banche ne avrebbero richiesti anche per 30 miliardi di euro. Ma adesso la liquidità ha ripreso a circolare e le obbligazioni costano meno. Così questi strumenti sono diventati meno interessanti di un anno fa». «Le nostre banche stanno cercando capitali sul mercato. Se sono affidabili lo dirà il mercato. Trovo curioso che ci si lamenti che le banche italiane non prendono capitali pubblici quando negli altri Paesi stanno cominciando a restituirli», ha incalzato Masciandaro. Bracchi ha comunque riconosciuto un effetto positivo, «più psicologico che reale», ai Tremonti bond perché l’annuncio della loro disponibilità ha fatto capire che «le banche non sarebbero fallite». Il rapporto della Fondazione Rosselli mette in evidenza che nei periodi di crisi la banca commerciale è vincente perché per propria natura è anticiclica, fa meno finanza, è meno esposta ai rischi ed è menom volatile. E le banche italiane sono rimaste fedeli a questo modello tradizionale rispetto al modello di banca d’investimento e a quello di banca universale. Così non hanno esagerato con la leva finanziaria né con l’assunzione diretta di rischio all’interno delle aziende. Il loro radicamento sul territorio inoltre ha consentito di conoscere meglio le imprese e di allocare meglio il credito. Queste banche sono dunque quelle che hanno avuto le migliori performance azionarie durante la crisi e sembrano più propense ad accompagnare le imprese nei momenti di crisi. Come riflesso di queste due caratteristiche, sottolinea il rapporto, le banche italiane sono ben capitalizzate, se si considera complessivamente la loro struttura patrimoniale (capitale di rischio, livello di indebitamento, grado di liquidità). «Le nostre banche non hanno bisogno di essere salvate», ha chiosato Masciandaro. «Come contribuente sono contento che non siano state costrette a riunire nel weekend un cda notturno per chiedere all’indomani un aiuto allo Stato, come invece hanno fatto quelle americane, che altrimenti sarebbero fallite. Trovo inoltre gradevole, sempre in quanto contribuente, vivere in un Paese in cui alla colonna aiuti pubblici appare la cifra zero». Viviamo dunque nel migliore dei mondi possibili? Non proprio, perché le banche più tradizionali «rendono di meno e questo può essere un problema per qualcuno», ha sottolineato Masciandaro. Mentre Bracchi ha osservato che se in tempi di crisi vale il detto evangelico «gli ultimi saranno i primi» (ovvero sono premiate le banche meno innovative e disposte ad assumersi rischi), quando invece le cose ricominciano ad andare bene la musica cambia. C’è poi il problema della vigilanza, che in Italia è particolarmente severa e ha così risparmiato molti guai alle banche. Il problema è che sempre più è indispensabile una regolamentazione e vigilanza globale, proprio il tema trattato dall’ultima riunione del G20 a Pittsburgh. A livello globale, sottolinea il rapporto, i sistemi di regolamentazione e di controllo sono ancora balcanizzati e una delle vittime della crisi finanziaria è stata proprio la credibilità dei controllori, che con molti peccati di omissione hanno contribuito a gonfiare la bolla del credito oltre ogni limite. La frammentazione è emersa in tutta la sua evidenza nel caso delle regole contabili, che si sono dimostrate più efficaci in Europa che negli Stati Uniti. «Quello che è successo negli Usa», ha affermato Masciandaro, «non poteva succedere in Italia. Sulle regole contabili l’Europa continentale avrebbe molto da dire, ma il problema è che non è un global player e quindi tutti si aspettano che le regole mondiali si facciano a Pittsburgh. Ma questo non succederà mai perché non c’è convenienza a farle». In Italia poi c’è anche un altro problema, ha sottolineato Masciandaro: «Il rischio di ingerenza dello Stato nell’attività delle banche adesso è massiccio».