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 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

Quella fretta sospetta nel candidare Mario Draghi alla guida della Bce - Chi ( e non sono certo pochi ) conosce il valore e il prestigio di Mario Draghi, la sua alta credibilità interna e internazionale, non può non essere contento del fatto che un autorevolissimo quotidiano americano e personalità italiane di rilievo abbiano indicato l’attuale governatore della Banca d’Italia come il banchiere centrale con i maggiori requisiti per succedere al presidente Jean-Claude Trichet quando, alla fine del 2011, egli dovrà lasciare la carica di vertice della Bce

Quella fretta sospetta nel candidare Mario Draghi alla guida della Bce - Chi ( e non sono certo pochi ) conosce il valore e il prestigio di Mario Draghi, la sua alta credibilità interna e internazionale, non può non essere contento del fatto che un autorevolissimo quotidiano americano e personalità italiane di rilievo abbiano indicato l’attuale governatore della Banca d’Italia come il banchiere centrale con i maggiori requisiti per succedere al presidente Jean-Claude Trichet quando, alla fine del 2011, egli dovrà lasciare la carica di vertice della Bce. Ma sarebbe del tutto inappropriato un toto nomine che decolli sin d’ora, magari complice la quasi contestualità delle scadenze di carica( il mandato del governatore termina il 15 gennaio 2012, il giorno successivo a quello dell’assunzione della carica, il 14 gennaio 2006). Come si sa, l’art.112 del Trattato CE prevede che il presidente, il vice presidente e gli altri membri del Comitato esecutivo della Banca centrale europea sono nominati, tra persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario e bancario, di comune accordo dai governi degli Stati membri a livello di capi di Stato e di governo, su raccomandazione del Consiglio e previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo della Bce. Si tratta, dunque, di un procedimento complesso, che implica la necessità di aggregare posizioni e determinare convergenze di Paesi che sono portatori di istanze diversificate e che, magari, possono essere sollecitati a fare rientrare questa o quella nomina nel generale contesto delle cariche da attribuire a livello comunitario, per arrivare ai tradizionali do ut des o, in qualche caso, per formulare una candidatura per poi cedere su di essa, utilizzandola come moneta di scambio. anche vero che, nel caso di una personalità come quella di Draghi, che riflette come meglio non si potrebbe la levatura e la professionalità richieste dal Trattato, difficilmente potrebbero trovare applicazione tattiche sinallagmatiche. Egli, per di più, porta con sé l’incomparabile patrimonio intellettuale della Banca d’Italia e l’opera sinora svolta come presidente del Financial Stability Forum, l’unico organismo che ha conseguito validi risultati, con la produzione di norme, di indirizzi, di raccomandazioni, per la prevenzione e il contrasto delle crisi, a cominciare, per quest’ultimo aspetto, dalla crisi che ancora non può dirsi cessata. Per non parlare delle pregresse esperienze di grand commis e di studioso. Accadeva in passato, e si ripete anche oggi, che, nell’impossibilità di trovare soluzioni valide in momenti di gravi difficoltà politiche o di sperate evoluzioni, si pensasse o si pensi al governatore pro tempore della Banca centrale per un’investitura di governo. In tre casi, si è avuto poi un concreto seguito con nomine nell’esecutivo (Bonaldo Stringher, Luigi Einaudi, Carlo Azeglio Ciampi) e negli ultimi due con l’ascesa alla suprema magistratura dello Stato e, prima, ai vertici del governo. Nessun governatore è stato esente da illazioni e pressioni del genere. Qualche volta esse avevano anche il recondito significato di determinare le condizioni per una nuova immissione all’apice dell’Istituto di via Nazionale. Non mancava l’allettamento dell’interessato con la prospettazione dell’applicazione della cosiddetta legge Einaudi, che consentirebbe al governatore di non lasciare la carica (venendo surrogato dal direttore generale) per il periodo in cui ricopra incarichi di governo. Tuttavia, della facoltà in questione nessuno si è mai avvalso. Fondamentale, nelle scelte positive o nei rifiuti, è stata sempre la valutazione della tutela dello status di autonomia e indipendenza della Banca d’Italia. Naturalmente, la Bce è altra cosa rispetto alle nomine lato sensu politiche, così come ben diverso è il contesto generale, europeo e internazionale, che certamente influisce sulle nomine ai vertici dell’importantissimo istituto monetario. All’atto della costituzione, l’accordo franco-tedesco individuò Francoforte come sede della Banca. Fu la saggezza di François Mitterrand a suggerire questa soluzione, che avrebbe dovuto agevolare, o almeno rendere meno traumatico, l’abbandono, da parte della Germania, della propria moneta. Concorse anche la scelta, anch’essa concordata, del primo presidente, Wim Duisenberg, già governatore della Banca d’Olanda, nelle grazie dei tedeschi, con il patto, però, di un avvicendamento, a metà mandato, con un esponente francese, che poi fu designato nella persona di Trichet, governatore della Banca di Francia. Dunque, pesi e contrappesi nella fase fondante della Bce. Garanzie per i partner, ma soprattutto per gli allora soci di riferimento, francesi e tedeschi. L’Italia, in quella fase, partiva con lo handicap di aver dovuto sudare le proverbiali sette camicie per essere ammessa all’Unione monetaria ed economica sin dal primo momento. Determinante era stata, accanto all’opera del governo, la strategia antinflazionistica della Banca d’Italia, che aveva conseguito risultati eccezionali, permettendo così a Roma di rientrare nei parametri allora richiesti. Oggi, si può dire che l’Istituto di Francoforte è pienamente decollato; ha affrontato bene la tempesta finanziaria. Non mancano critiche, in generale, alla politica monetaria, ma a esse la Banca replica con autorevolezza e sostiene in maniera trasparente il confronto, anche quando le posizioni espresse non sono così inattaccabili. Nel complesso, il governo della moneta non è considerato negativamente. Ora, si prospetta la riforma della vigilanza, dalla cui realizzazione discenderanno nuovi compiti per l’istituto centrale; e si spera che il suo intervento in questo campo sia esteso, per le evidenti interrelazioni tra politica monetaria e funzioni di controllo. Superata, dunque, la fase fondativa, l’assegnazione degli incarichi non dovrebbe più obbedire a soppesamenti ed equilibri franco-tedeschi, anche se occorrerà considerare, per converso, i Paesi di nuovo accesso. Ma il rischio di un avvio in quarta di un’assai prestigiosa candidatura sta nel fatto che qualcuno potrebbe pensare di includerla nel paniere delle nomine che dovranno riguardare la presidenza dell’Eurogruppo e le altre cariche dell’ordinamento comunitario previste dalle modifiche del Trattato quando esse dovessero entrare in vigore. Per ultimo, ma non certo per importanza, il disegno concepito da chi si pronuncia su questa materia pensando anche alla conseguente nomina al vertice della Banca d’Italia: questione cruciale, attesi i compiti di quest’ultima e i non infrequenti tentativi della politica di influire sulla sua autonomia e indipendenza. Non sarebbe fuor di luogo ritenere che, una volta agitata la candidatura Draghi alla Bce, si stia pensando all’omologa al vertice di Palazzo Koch. Il tutto con ben oltre un anno di anticipo. Cui prodest? Si è trattato, allora, solo di un fuoco di paglia ( si veda la dichiarazione del ministro degli Esteri Franco Frattini, poi ricalibrata)? Dovrebbe, insomma, essere chiaro che una candidatura assai forte non ha bisogno di mosse anticipate, che a qualcuno potrebbero far venire in mente Virgilio e il suo «timeo Danaos et dona ferentes». Né vi è necessità alcuna, fino a prova contraria, di aprire implicitamente il capitolo del vertice di Via Nazionale. Non vi è da augurare a Draghi, per rimanere nelle citazioni, «hic manebimus optime», considerati il credito da lui riscosso e l’opera svolta; e, dunque, avute presenti le naturali proiezioni. Ma c’è, invece, da augurarsi che, per ora, non si parli di questa candidatura; che, semmai, si operi secondo i corretti canali e con una visione d’insieme che abbia presenti gli interessi del Paese, dell’Unione europea, della Banca d’Italia e, ovviamente, della Bce. Occorrono fatti, non parole,specie se queste sono intempestive e non sufficientemente riflettute.