Mauro Romano, Milano Finanza 01/10/09, 1 ottobre 2009
Tremonti, banche contro le imprese - Il no ai Tremonti-bond opposto da Intesa e Unicredit scatena il ministro dell’Economia che attacca le prime due banche italiane accusandole di non fare gli interessi delle imprese
Tremonti, banche contro le imprese - Il no ai Tremonti-bond opposto da Intesa e Unicredit scatena il ministro dell’Economia che attacca le prime due banche italiane accusandole di non fare gli interessi delle imprese. C’era da aspettarselo, dopo 12 mesi di tira-e-molla sugli speciali strumenti ibridi messi in campo dal governo per rinsaldare i patrimoni delle banche, che Giulio Tremonti non sarebbe rimasto in silenzio di fronte al «no» di Corrado Passera e Alessandro Profumo. E così è stato, tanto che il numero uno di via XX Settembre ha chiamato a raccolta, in un’improvvisata conferenza stampa milanese, anche un nutrito gruppo di deputati del Pdl, in gran parte a suo fianco, incassando persino un appoggio di parte del sindacato. Ma il tema della mancata erogazione di risorse alle imprese da parte degli istituti di credito è così caldo che non poteva essere altrimenti. Colpita l’Italia, non il ministro. Tremonti è stato esplicito: il no ai Tre-bond di Intesa e Unicredit è un danno per l’Italia e non uno sgarbo nei suoi confronti. «Non è una questione di sgarbo a me o al governo», ha rimarcato. Il problema è che «quegli strumenti farebbero molto comodo alle imprese». Il ministro non ha dubbi e va giù duro, prima ancora di sapere che Intesa avrebbe annunciato l’emissione di un bond speciale all’8,37% (si veda altro articolo a pag. 4), ossia un tasso molto vicino a quello che avrebbe dovuto pagare allo Stato. Gli strumenti ibridi pensati dal Tesoro «sono stati chiesti e anzi, invocati con pressione enorme da parte delle banche, non è che il governo fosse ansioso di indebitarsi». Ma il problema vero è che questa fase di crisi economico-finanziaria «dimostra sempre più che il sistema bancario italiano, troppo concentrato e verticalizzato, non va bene». Per cui «se le banche continuano a fare i soldi con la finanza, si prepara la prossima crisi». Parole che non possono passare inascoltate e che di fatto rinnovano l’eterno braccio di ferro tra il ministro da una parte e banchieri ed economisti dall’altra. A rispondere stavolta sono stati professori universitari come Giampio Bracchi (Politecnico di Milano) e Donato Masciandaro (Bocconi), secondo cui i bond andavano messi a disposizione delle banche un anno fa. Ma il ministro non ci sta e attacca ancora, ricordando di non essere certo «l’unico tra i ministri europei a sottolineare la necessità che le banche non restringano i finanziamenti alle imprese. Queste cose le dicono tutti i ministri dell’Economia europei. La Bce pochi giorni fa ha per esempio detto che c’è un rischio di credito per le imprese», riflette. Quanto al fatto che molte banche di altri Paesi europei, aiutate con iniezioni di denaro pubblico, stiano già restituendo questi capitali, il ministro è scettico: «Le cose non stanno esattamente così. Se parliamo per esempio del governo tedesco secondo me tutti questi rimborsi non li stanno vedendo». A Tremonti, sostenuto nella sua battaglia dalla Cisl ma non dalla Cgil, arriva la solidarietà di Gianfranco Conte, presidente della commissione Finanze della Camera, uno dei suoi uomini più fidati. Conte non usa mezzi termini: «Sono d’accordo con la valutazione di Tremonti anche perché sono convinto che le ragioni del rifiuto dei bond non siano legate al costo, come affermano le banche, ma al timore di ricevere un aiuto che le costringerebbe a prendere impegni con il codice etico», afferma senza mezzi termini. E aggiunge: «La premessa per acquisire i Tremonti bond era l’impegno da parte degli istituti di credito ad accettare un codice etico in merito a garanzie per i prestiti alle pmi, politica di dividendi, bonus e stock option. Le banche dicono che i Tremonti bond costano troppo, ma la vera ragione è questa». Il logo della banca del Sud. La sortita milanese serve al ministro anche per ribadire l’importanza di una banca per il Sud: «Va fatta», sottolinea, perché il Mezzogiorno «è l’unica grande regione d’Europa che non ha una banca autoctona». Tremonti suggerisce anche logo e presentazione: «In questa banca non si parla inglese e i soldi che depositate restano in questa banca». L’idea è «mettere in rete le banche che stanno già sul territorio, ossia le Bcc». In tal senso, un modello da seguire, e che il ministro definisce «giusto», è quello del Credit Agricole in Francia, dove «le banche del territorio si sono unite e fanno in alto le cose più grandi, mentre agiscono sul territorio per quanto riguarda la raccolta e la concessione di credito». Sempre a proposito di Mezzogiorno e di credit crunch, Tremonti tocca anche la vicenda di Giuseppe Pizzino (si veda altro articolo a pag. 4), l’imprenditore, a capo del gruppo messinese Castello, che per sei giorni ha fatto lo sciopero della fame davanti alla sede milanese di Unicredit per un mancato finanziamento. «Non conosco il merito del problema di questo imprenditore, ma il fatto che sia di Messina», sostiene, «la dice un po’ lunga sull’asimmetria del credito in Italia. C’è qualcosa che non va», alcune banche, secondo Tremonti, «si stanno allontanando dal territorio. Fare banca significa sicuramente guardare bilanci e numeri, ma anche guardare negli occhi le persone, conoscere la storia di una famiglia, il coraggio di un imprenditore, la determinazione a continuare, i figli. Tutto ciò in Italia si sta un po’ vanificando».