Francesca Valenti, Libero 30/09/2009, 30 settembre 2009
IN CORTE D’APPELLO SOLTANTO L’UOMO DELLE PULIZIE
Ore 15:30, palazzo di giustizia di Milano. La sezione ”lavoro” è una contraddizione in termini. Qui si dibatte di licenziamenti, mobbing, demansionamenti, ma al pomeriggio il lavoro diventa una materia scottante e a presidiare la sezione resta solo qualche cancelliere. La Corte d’Appello è un lungo corridoio buio. E muto. Dalle porte di legno scuro non filtrano né luce né voci. Inutile bussare: non risponde nessuno. Non per scortesia, ma perché queste stanze sono tragicamente vuote. Alle spalle sento un rumore di passi e cresce la speranza di inciampare con lo sguardo in una toga, in un codice, in un faldone. Invece vedo il carrellino pieno di detersivi e l’uomo delle pulizie che lo spinge stancamente.
C’è ancora molto caldo a Milano in questo martedì di fine settembre, eppure le ferie dovrebbero essere un ricordo più o meno per tutti. Aggirarsi per i 180mila metri quadrati della cittadella giudiziaria è come passeggiare nel centro di Milano il quindici agosto. Così i giudici che fanno solamente il loro dovere, che alle tre del pomeriggio sono seduti alla loro scrivania con il computer acceso, assumono le sembianze di eroi del passato, gente uscita dal libro Cuore, missionari della sentenza.
Al sesto piano ”sezione divorzi e separazioni” c’è un cancelliere che con una mano riordina i fascicoli con l’altra regge un pacchetto di crackers. Da una stanza si sente un chiacchiericcio: non sono ex coniugi che litigano, ma due cancelliere che discutono sul metodo di congelazione della carne. «Non la metto mai in freezer cruda....». E l’altra: «Io lo faccio ogni settimana, quando faccio la spesa in macelleria, divido fetta per fetta e le metto nel congelatore...». Buono a sapersi.
Al settimo piano, sezione gip e gup, la musica cambia. Non che i trentatré magistrati (tre in meno rispetto all’organico) siano tutti al lavoro, ma almeno qui non si parla di cucina: si sente il ticchettio delle mani sulla tastiera del computer e niente meno che il rumore di una stampante. Il corridoio che dalla stanza quarantasei porta alla numero sessantadue non è una landa desolata, qui vediamo un paio di magistrati e molti collaboratori. Che lavorano. Esattamente come nel secondo corridoio. «Lavoriamo, lavoriamo», risponde un cancelliere. E spiega che alcuni gip si mettono in ferie «perché devono smaltirle» ma poi - udite udite - si presentano in ufficio per smaltire gli arretrati. Il quarto piano è il cuore della cittadella giudiziaria, qui si trovano gli uffici della Procura della Repubblica. Il corridoio che spesso rimbalza in tutte le televisioni perché da qui sono partite le inchieste cruciali (molte contro il premier) è deserto. Le stanze che vi si affacciano sono chiuse. Alcune perché vuote. Altre perché il pubblico ministero non vuole essere disturbato. «Gli avvocati si ricevono al mattino», si affretta a precisare un usciere. Alle sedici e trenta, al piano terra c’è una squadra di operai al lavoro. I cinquantamila procedimenti pendenti davanti al Tribunale civile, i dodici mila in appello, i seimila e settecento procedimenti penali che aspettano di andare in dibattimento e gli ottomila in coda per l’appello possono attendere.