Giulia D’Agnolo Vallan, il Manifesto 30/09/2009, 30 settembre 2009
AMERICA: LASCIATE IN PACE POLANSKI
Dal «Los Angeles Times» ai tabloid, sconcerto e perplessità sull’arresto in Svizzera del regista polacco. Mentre si allunga la lista dei nomi degli esponenti del cinema e della cultura, l’opinione pubblica si chiede il perché dopo trent’anni la giustizia torni a occuparsi del caso della violenza sulla modella minorenne. La procura losangelina cerca di giustificarsi e intanto gli avvocati fanno ricorso contro la richiesta di estradizione
«Con lo stato obbligato a tagli radicali nel budget per le prigioni e una commissione di giudici federali che hanno recentemente ordinato il rilascio di 40mila detenuti causa sovraffollamento del sistema carcerario californiano, sembra un momento poco propizio da parte della procura delle contea di Los Angeles per spendere i pochi soldi dei contribuenti rimasti, cercando di mettere dietro alle sbarre Roman Polanski, dopo tutti questi anni». L’editoriale di Patrick Goldstein, apparso lunedì sul Los Angeles Times, è un buon indicatore delle reazioni Usa all’annuncio dell’arresto del regista di Rosemary’s Baby e Il pianista. Se qualcuno avesse mai pensato che la cattura di Polanski sarebbe stata un gran colpo di pr per i magistrati californiani si sbagliava di grosso. Mentre i nomi dei maggiori esponenti del cinema e delle cultura di tutto il mondo continuano ad aggiungersi alla petizione promossa dal produttore Harvey Weinstein, anche l’opinione pubblica americana sembra grattarsi la testa, chiedendosi che bisogno c’era di rilanciare, dopo tre decadi, un caso che, solo qualche mese fa, persino la vittima di Polanski, Samantha Geimer (adesso 45enne, con tre figli, residente alle Hawaii e che tempo fa ha risolto con un accordo la sua causa civile contro il regista), aveva ufficialmente chiesto ai giudici di archiviare. Nemmeno i tabloid abboccano all’amo o chiedono «la testa» dell’autore, 76 anni e con una filmografia essenzialmente europea, in gran parte sconosciuta al pubblico di massa, Polanski non può certo competere con la confessione d’incesto contro il leader della band Mamas and Papas, o quelle di droga e botte col marito rispettivamente rilasciate da Mackenzie Philips e Whitney Huston, nel salottino di Oprah Winfrey. Anche gli scandali vanno in prescrizione... hanno bisogno di carne fresca. E se poi qualcuno avesse pensato che questa gaffe giudiziaria internazionale avrebbe costituito un buon diversivo per un pubblico provato dal dibattito sulla sanità, dalla crisi economica e dall’incognita di Afghanistan e Iran, quel qualcuno è peggio di Karl Rove. La sola idea che Hillary Clinton debba venire o meno in soccorso di Polanski fa rizzare i capelli, come se non avesse altro da fare.
Presa in contropiede dalle reazioni poco favorevoli, la procura della contea di Los Angeles si è messa sulla difensiva da due giorni rilasciando persino una lista di tentativi che avrebbe fatto in passato per far scattare l’estradizione del regista, in modo che non si possa pensare (come ha già detto qualcuno) che il timing dell’operazione nasconda qualcosa di bizantino. «Tecnicamente» i magistrati californiani e il governo svizzero hanno ragione. «Ma Roman non viveva nell’ombra. una grande personalità internazionale. Quando si reca a un festival, o quando va a Vienna a dirigere un’opera, viene annunciato. E poi ha passato tutta l’estate in Svizzera, a casa sua!» protestava ieri mattina sulla rete Abc l’agente storico di Polanski, Jeff Berg, aggiungendo che il processo contro il regista, (per aver narcotizzato e abusato una tredicenne, durante una sessione fotografica,a casa di Jack Nicholson, nel 1977), era stato piagato da grossi vizi di forma che avevano «violato i diritti legali del regista». Per quello, dopo 42 giorni di prigione, aveva deciso di non attendere la sentenza e rifugiarsi in Francia. Alcune delle inconsistenze del processo originale erano state evidenziate, l’anno scorso, nel documentario di Marina Zenovich Roman Polanski: Wanted and Desired. Proprio in virtù delle testimonianze offerte nel documentario, gli avvocati di Polanski avevano chiesto, solo qualche mese fa, l’annullamento del caso (e parallelamente a loro anche Geimer aveva domandato la stessa cosa). Ma il giudice aveva posto la presenza fisica di Polanski a Los Angeles come condizione essenziale per riesaminare la pratica. Una condizione che i legali del regista avevano giudicato troppo rischiosa.
di ieri un editoriale dell’esperto di media Michael Wolff, secondo cui l’azione degli avvocati di Polanski e l’imbarazzo causato alla procura californiana dell’exposé del documentario, avrebbero involontariamente riattizzato le ceneri di tutta la faccenda. I portavoce del regista hanno annunciato il ricorso contro l’estradizione. Al momento dell’arresto Polanski era al lavoro sul suo nuovo film, The Ghost.