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 2009  settembre 30 Mercoledì calendario

IL BALLO DEI VAMPIRI


La sua condizione di star non lo protegge affatto, anzi. I cacciatori di teste celebri si sono scatenati, vanno in cerca di luce riflessa, come evidentemente l’oscuro procuratore di Los Angeles che ha spiccato il mandato di cattura trent’anni dopo il fatto. Così da due giorni alla lista di nomi del cinema e dell’arte a favore di Roman Polanski, carcerato in Svizzera, fa da specchio quella dei commentatori di prima pagina, che sostengono decisamente il principio «la legge è uguale per tutti». Polanski come Berlusconi, non si dice ma si pensa, deve pagare.
Non sarà il suo status di grande regista, né la sua storia di orfano di madre ebrea uccisa ad Auschwitz, né quella di vedovo di Sharon Tate, massacrata al nono mese di gravidanza dalla banda Manson ad assolverlo, ieri, oggi e domani, per il reato di violenza su una tredicenne. Polanski, accostato insensatamente al sultano di casa nostra, deve rispondere delle sue colpe. Tanto per dimostrare che di fronte all’abuso di potere non si fanno differenze di trattamento. Ma se è certo che gli artisti non possono avanzare scuse in nome della loro notorietà e della loro poesia, è vero che Polanski all’epoca riconobbe la sua colpa e non rivendicò mai una condizione di privilegio per giustificarsi.
I capi d’accusa (somministrazione di droghe, atti osceni, rapporti sessuali illeciti, perversione, sodomia, violenza carnale) furono ridotti a uno, «corruzione di minorenne», e non solo perché il regista patteggiò una somma di risarcimento alla famiglia e si fece 42 giorni di carcere, ma perché il procuratore stabilì che la modella minorenne, sul set solitario della villa di Jack Nicholson, dove Polanski girava un servizio fotografico per Vogue Hommes, non era stata sufficientemente protetta, da sua madre e da se stessa, entrambe desiderose di sfondare nel mondo dello spettacolo. Adesso, il neo-femminismo berlusconiano sbandiera orgogliosamente la via sessuale al potere (o la politica o la tv) - ragazze-immagini o escort, il confine è lieve - ma allora Samantha, la tredicenne che non diventerà mai famosa, si sentì giustamente vittima e reagì (spinta dalla madre insoddisfatta) denunciando il suo seduttore. Vittima eppure complice, come lei stessa ha ammesso, tanto da felicitarsi (all’epoca e in questi giorni) per la fuga di Polanski, che il giudice poi incaricato del caso minacciava di condannare a 100 anni di galera. Da allora, per trent’anni, Polanski ha vissuto una libertà precaria, inseguito virtualmente dal mandato di cattura, e ora dalle urla dei giustizieri che in un mondo di «lolitismo» acuto chiedono una dura condanna postuma per il «pedofilo», così come accadde per Michael Jackson, il peter pan di Neverland.
C’è un certo gusto a demolire la star, e a sbeffeggiare gli artisti, unici rimasti a testimoniare gli orrori e le ingiustizie, tanto che l’ex leader del Maggio francese, Daniel Cohn-Bendit ha redarguito ieri la Francia per il sostegno dato a Polanski e in particolare il ministro della cultura e critico cinematografico Frederic Mitterand («semplicemente spaventoso» aveva detto) invitandolo a «vedere i fascicoli giudiziari» prima di parlare. L’invito è da girare all’eurodeputato dei Verdi, accecato dall’ondata di sondaggi (su Sky il 62% è a favore dell’arresto) e indispettito dalla petizione internazionale che si allunga di ora in ora, ultimi della lista, Martin Scorsese e David Lynch. Tutti intellettuali pervertiti a difesa di uno di loro: Michael Mann, Wim Wenders, Pedro Almodovar, Claude Lelouch, Monica Bellucci, Ettore Scola, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore, Paolo Sorrentino, Michele Placido, Costa Gavras, Wong Kar-Wai.
 preoccupante l’incapacità di distinguere tra la corruzione politica come metodo per sopraffare e un caso drammatico come quello del regista polacco, che ieri ha inoltrato ricorso in Svizzera contro la sua estradizione negli Stati Uniti.
Una storia triste. La vita di Polanski è stata segnata da quel che accadde nella casa di Mulholland Drive, e non saranno i suoi 76 anni a costituire un’attenuante e neppure l’ammirazione per il suo cinema. Ma è ancor più triste assistere adesso a questa violenta campagna di chi non perdona, e che colpisce, come allora, le parti più deboli.