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 2009  ottobre 01 Giovedì calendario

LA CORSA DI PECHINO ALLE MATERIE PRIME - I

cinesi tornano all’attacco sulle materie prime, con una nuova operazione del fondo sovrano China investment corp (Cic), la quarta in tre mesi. L’obiettivo stavolta è in Kazakhstan, dove Cic si è aggiudicata l’11% della KazMunaiGas Exploration & Production, divisione quotata a Mosca e a Londra della KazMunaiGas (la società statale socia dell’Eni nello sviluppo di Kashagan). La partecipazione, secondo il comunicato della stessa Cic, è stata rastrellata proprio sul mercato londinese, al prezzo di 939 milioni di dollari.
Dall’inizio di luglio a oggi il fondo sovrano cinese ha speso 5,2 miliardi di dollari ”400 milioni in più di quanto avesse investito in tutto il 2008 – soltanto in operazioni che coinvolgono le commodities. Tre mesi fa aveva acquistato il 17,2% della mineraria canadese Teck Cominco, mentre la settimana scorsa, con un formidabile uno-due, aveva finanziato 1,9 miliardi di debito della carbonifera indonesiana Bumi e comprato per poco meno di un miliardo il 15% della Noble, una tra le maggiori società di trading di materie prime al mondo. Negli stessi giorni, la compagnia petrolifera statale Cnooc ha investito 2,5 miliardi nel giacimento iraniano di Azadegan, concluso accordi che la impegnano a spendere 16 miliardi nella fascia dell’Orinoco, in Venezuela, e premuto l’acceleratore nelle trattative con la Nigeria: paese in cui vorrebbe aggiudicarsi 6 miliardi di barili di riserve petrolifere, un sesto del totale, a costo di pagarle decine di miliardi di dollari.
Stando a indiscrezioni, intanto, la stessa Cic sarebbe in contatto anche con la mineraria australiana Fortescue, in cerca di6 miliardi di dollari per finanziare la propria espansione nel minerale di ferro. Il periodico cinese Caijing riferisce tuttavia che la trattativa è in fase di stallo, poiché Fortescue avrebbe rifiutato ulteriori concessioni, dopo l’offerta di vendere minerale di ferro alle acciaierie cinesi con un piccolo sconto rispetto alla concorrenza. La stessa Fortescue ha ammesso ieri che la scadenza del 30 settembre, entro la quale contava di reperire i 6 miliardi (non tanto dalla Cic ma genericamente da «finanziatori cinesi »), è trascorsa con un nulla di fatto, anche se non ha perso la speranza di ottenere le linee di credito che le erano state promesse dall’associazione delle industrie siderurgiche cinesi.
Una vicenda apparentemente minore, quest’ultima, ma significativa nell’illustrare la nuova strategia di Pechino nella corsa all’accaparramento di risorse naturali, di cui prevede di avere un fabbisogno enorme nei prossimi anni (anche se ieri il consiglio di stato ha tirato il freno di fronte alla pericolosa sovracapacità che vede svilupparsi in alcuni settori, tra cui produzione di acciaio e di alluminio).
Frustrati dal fallimento delle operazioni più ambiziose – prima fra tutte quella tra Chinalco e Rio Tinto – i cinesi sembrano aver cambiato metodi e obiettivi: i bersagli privilegiati sono ora singoli asset, giacimenti, miniere o forniture di materie prime, oppure società di dimensioni medio piccole, preferibilmente in crisi di liquidità oppure situate in paesi assetati di finanziamenti. Il sistema consiste nel completare l’offerta d’acquisto con la promessa di un facile accesso a linee di credito. Quando l’interlocutore è un paese in via di sviluppo, spesso lo scambio proposto da Pechino è tra forniture di materie prime e costruzione di infrastrutture:un’offerta che soltanto le compagnie petrolifere cinesi – che contano su fondi statali – possono permettersi di fare e che le mette in un’indiscutibile posizione di vantaggio nei confronti delle major occidentali. Nel corso del 2009 la Cina ha distribuito in giro per il mondo prestiti per almeno una cinquantina di miliardi di dollari, di cui hanno beneficiato kazakhi, russi, venezuelani, angolani, ma anche la compagnia brasiliana Petrobras, che pure viene corteggiata da tutte le major da quando ha scoperto l’esistenza di giacimenti ricchissimi nel bacino Santos.
Anche in Nigeria, probabilmente, è con questo asso nella manica che i cinesi contano di strappare quote di giacimenti ai concorrenti occidentali. Proprio ad Abuja, tuttavia, il metodo "infrastrutture in cambio di petrolio" ha suscitato forti delusioni: i nigeriani stanno ancora aspettando le opere promesse in una serie di contratti firmati dai cinesi nel 2006, tra cui una ferrovia, una raffineria e un satellite per le telecomunicazioni.