Gianmaria Pica, il Riformista 30/09/2009, 30 settembre 2009
PERCHE’ MEDIASET NON VUOLE ABOLIRE LA TASSA SULLA RAI
La campagna anti-canone Rai lanciata dal Giornale, non piace all’azienda televisiva commerciale Mediaset. Sembra che Fedele Confalonieri in persona, presidente di Mediaset e amico da sempre del presidente del Consiglio, abbia telefonato proprio a Silvio Berlusconi per chiedere un intervento per sgonfiare la campagna contro la tassa sulla televisione pubblica. Dall’azienda di Cologno Monzese non confermano, anche se fanno capire che «essendo Confalonieri una persona molto intelligente - dicono - probabilmente si sarà mosso contro i pasdaran che vogliono abolire il canone Rai».
Ma perché l’azienda del biscione, storico antagonista del cavallo di viale Mazzini, sarebbe preoccupato di un’eventuale abolizione del canone Rai? Una risposta l’ha data il parlamentare del Pdl Mario Landolfi, membro della commissione di vigilanza Rai ed ex ministro delle Comunicazioni: «La Rai - ha detto il deputato - che incassa il canone ha il limite della raccolta pubblicitaria, se si tagliasse il canone si dovrebbe eliminare il tetto con conseguenze distorsive per il sistema». Che tradotto significa, mettere fine al delicato duopolio Rai e Mediaset, un rapporto di ferro fondato su un patto (mai scritto): la Rai, azienda pubblica, vive grazie al canone e un po’ con la pubblicità; Mediaset, televisione commerciale, vive solo con i ricavi pubblicitari.
Secondo l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’abolizione del canone innescherebbe un sistema a catena a scapito, soprattutto, della carta stampata. Enzo Savarese, commissario dell’Agcom, spiega che «se non ci fosse il canone, i problemi maggiori li presenterebbero i giornali». Il discorso è semplice: il canone obbliga la Rai a rispettare un tetto per le entrate pubblicitarie, «considerando che i grandi inserzionisti preferiscono investire nella tv - continua Savarese - se si abbattesse il tetto Rai, si libererebbe un nuovo mercato pubblicitario, a scapito delle altre emittenti concorrenti, ma soprattutto della carta stampata».
Alcuni osservatori segnalano anche come il mercato pubblicitario, in tempi di crisi, si sia spostato a favore dell’azienda commerciale della famiglia Berlusconi. Le due concessionarie di Rai e Mediaset, rispettivamente Sipra e Publitalia, colpite dalla recessione, probabilmente a fine anno presenteranno ingenti perdite: ma se per la pubblica Sipra si prospettano utili in calo del 20 per cento rispetto allo scorso anno, per Publitalia le perdite si assesteranno in calo del 9 per cento.
Comunque che il trend pubblicitario sia in forte calo non è una novità. E i principali operatori, per riuscire a chiudere i bilanci in sostanziale pareggio, stanno guardando a diverse strategia. Se la Rai nel 2008 ha ritoccato le tariffe del canone - soluzione che, nonostante il calo pubblicitario del 3,6 per cento nel 2008 sul 2007, l’ha portata a registrare un incremento di entrate da canone del 2,3 per cento - Mediaset, è riuscita a reggere l’urto della crisi internazionale attraverso il forte rafforzamento della propria offerta di servizi a pagamento (il pay-per-view Premium) sulla piattaforma digitale, i cui ricavi, nel 2008, sono cresciuti di quasi il 60 per cento, arrivando a sfiorare i 200 milioni di euro. Così, come è cresciuto il fatturato derivante dalla vendita di contenuti ad altre emittenti e agli operatori telefonici (più 53 per cento, 167 milioni di euro). Questa strategia ha permesso a Mediaset di contenere le perdite pubblicitarie (meno 0,3 per cento).
Intanto, cominciano a emergere le prime indiscrezioni sulla probabile cessione degli asset televisivi di Ti Media (Telecom): La7 e Mtv. Sembra siano arrivate sulla scrivania di Gianni Stella, vicepresidente Ti Media e responsabile cessioni Telecom, due offerte. La prima dalla famiglia svedese Wallemberg che in Italia possiede già l’emittente digital-pay Dahlia (documentari, sport, film erotici e hard) e che trasmette proprio sulle frequenze della Carta Più di La7. La seconda, si dice, sarebbe avanzata da un fondo americano dietro cui ci potrebbe essere anche lo squalo australiano Rupert Murdoch. Murdoch, però, per un vincolo Antitrust, non può investire in Italia e nel campo delle telecomunicazioni fino al 2013.