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 2009  settembre 30 Mercoledì calendario

LE ULTIME STIME IL TESORO NASCOSTO VALE 300 MILIARDI


Trecento miliardi di capitali imboscati all’estero? No, andiamoci piano con le cifre: su impulso di Giulio Tremonti, Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza prendono le distanze dalla cifra che avevano inserito in un loro comunicato annunciando anche che per gli evasori lo scudo-ter rappresentava «l’ultima chiamata» per mettersi in regola. Quella cifra, emersa ieri mattina in un loro convegno, precisano, è stata stimata da una fonte privata, l’Associazione italiana dei Private bankers. Si tratta per l’esattezza di 278 miliardi, di cui 125 in Svizzera, 86 in Lussemburgo e 2 a San Marino.
Forse l’avevano davvero sparata troppo grossa. E poi l’Aips è una fonte interessata, rappresenta aziende che faranno affari. «Sono cifre congetturali - ha obiettato Tremonti - su cui non abbiamo evidenze empiriche» spiegando poi che comprendono anche capitali criminali che non rientreranno certo con lo scudo. Proprio mentre l’opposizione sosteneva che lo «scudo fiscale» è un regalo ai criminali, una realistica prudenza era più saggia.
Trecento miliardi sono davvero tanti, visto che l’insieme di tutti i depositi bancari registrati all’interno del nostro paese è 1.100 miliardi circa. Eppure era stato un generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Vicanolo, a far propria quella cifra, i 278 poi arrotondati a 300, intervenendo al convegno di ieri mattina. Se fosse vera sarebbe fuggito all’estero pressappoco un quinto dei risparmi degli italiani; dopo sette anni che abbiamo una moneta forte, poi, non una a rischio di svalutazione come la lira.
Gli esperti confermano che sui soldi nascosti nei «paradisi» non si sa nulla di preciso; come si ignora quanti siano stati portati lì da evasori in giacca e cravatta - ovvero imprenditori che hanno accumulato un tesoretto oltrefrontiera - e quanti da delinquenti. Il generale Vicanolo aveva anche attribuito all’Ocse una stima del totale mondiale depositato nei «paradisi», fra 5.000 e 7.000 miliardi di dollari; di cui secondo la Banca mondiale tra 1.000 e 1.600 sarebbero frutto di attività criminali.
Di congetture a catena, appunto, si tratta (considerando poi che al ministro dell’Economia piacciono poco i calcoli degli economisti). Tanto che l’Ocse non le ha mai inserite nei suoi documenti ufficiali. Anni fa, le era stata attribuita una stima ancora più grande, 11.500 miliardi di dollari. Le cifre ballano ovunque; basti citare che in Gran Bretagna le stime sull’evasione fiscale causa «paradisi» variano da un minimo di 900 milioni di sterline a un massimo di 18,5 miliardi, con un rapporto da 1 a 20.
Ciò che davvero sta facendo l’Ocse (organizzazione dei 30 maggiori paesi avanzati) è spingere i paesi prima indicati come paradisi fiscali a mettersi in regola; un processo lento negli anni scorso, poi acceleratori dall’inizio del 2009. In un documento pubblicato ieri l’altro, l’Ocse fa il punto degli ultimi progressi; afferma tra l’altro che Svizzera, Lussemburgo, Austria e Belgio (tra i paesi europei quelli sospetti di chiudere un occhio) «stanno attivamente negoziando aggiornamenti» ai trattati di reciproca informazione fiscale.
Sempre in Europa, Andorra, Liechtenstein e Monaco (originariamente sulla «lista nera» dell’Ocse) «hanno dichiarato la volontà di cambiare le loro leggi e di stipulare accordi per lo scambio di informazioni fiscali». In Asia, Hong Kong, Macao e Singapore hanno annunciato che entro l’anno approveranno leggi capaci di metterli in regola con gli standard internazionali.
Funzionerà? Di 133 accordi di reciproca informazione tributaria fra Stati firmato nell’ultimo anno, solo 3 sono già operanti. Ha scritto il Financial Times che in questi anni di crisi affidare il risparmio a gestori specializzati ha fruttato meno che investire di testa propria in titoli sicuri. Ma forse più che un incentivo a sottrarre i soldi agli gnomi di Zurigo, è a tenerli sotto il materasso.