Internazionale 814 (Patrice Claude, Le Monde), 30 settembre 2009
Il 13 settembre Bin Laden ha lanciato un messaggio a Obama e agli Stati Uniti. Nemmeno un’immagine, solo quattro registrazioni audio in un anno
Il 13 settembre Bin Laden ha lanciato un messaggio a Obama e agli Stati Uniti. Nemmeno un’immagine, solo quattro registrazioni audio in un anno. Fin dal primo momento i servizi antiterrorismo americani non hanno avuto dubbi sull’autenticità delle cassette diffuse nel 2009. proprio Osama bin Laden, l’uomo più ricercato al mondo. Ma perché non si fa più vedere? ferito? Malato? Truccato per nascondersi meglio? Oppure è così invecchiato che non vuole mostrare la sua figura scheletrica? Sono passati ventun anni dalla fondazione di Al Qaeda. Una sola cosa è certa: a 52 anni e dopo più di dieci anni di clandestinità tra le montagne dell’Asia meridionale, ”il principe dei soldati di Allah” (come è scritto sulle magliette vendute clandestinamente a Karachi) è fisicamente malandato. Non si sa con certezza se soffre di malattie renali e ha bisogno della dialisi. Ma sicuramente ha una salute fragile e la morte di uno dei suoi 19 figli, il trentenne Saad bin Laden, ha peggiorato le cose. Rinnegato dal suo paese natale, l’Arabia Saudita, Osama è inseguito dalla prima potenza mondiale, dalla Nato e da tutti quelli che vorrebbero intascare la taglia offerta dagli Stati Uniti. Nel settembre del 2008 il senato americano ha fissato a 50 milioni di dollari la ricompensa per la sua cattura. Secondo Michael Hayden, ex capo della Cia, Bin Laden oggi è ”un uomo solo e profondamente isolato”, che passa ”gran parte del suo tempo a proteggersi”. La sua ultima arringa, una registrazione audio di undici minuti trasmessa il 13 settembre da As Sahab, la casa di produzione di Al Qaeda, non conteneva novità. Il ”messaggio al pubblico americano”, registrato probabilmente alcune settimane prima della sua diffusione, accusa Obama di essere troppo debole per cambiare la politica americana verso il mondo musulmano e di seguire ciecamente l’esempio di George W. Bush. Con tono mellifluo il leader di Al Qaeda ha affermato che la situazione palestinese è la principale ragione degli attacchi dell’11 settembre. ”Chiedetevi”, ha detto Bin Laden rivolgendosi al popolo americano, ”se la vostra sicurezza, il vostro sangue, i vostri igli, i vostri soldi, il vostro lavoro, le vostre case, la vostra economia e la vostra reputazione vi stanno più a cuore di quelle degli israeliani. Al Qaeda è pronta a rispondere se la politica americana in Medio Oriente cambierà”. La penultima cassetta trasmessa da Al Jazeera all’inizio di giugno, mentre Obama pronunciava al Cairo il suo discorso di apertura al mondo musulmano, si riferiva all’offensiva dell’esercito pachistano nella valle dello Swat, occupata dai taliban. Questa operazione lanciata, a detta di Bin Laden, su ordine degli Stati Uniti ”ha provocato altro odio contro l’America”, che deve prepararsi ”a raccogliere nei prossimi anni i frutti di quello che ha seminato”. Secondo Thomas Hegghammer, un esperto norvegese di terrorismo internazionale, ”la cosa più interessante non è il messaggio ma come è stato trasmesso”. La maggior parte dei comunicati della centrale di Al Qaeda negli ultimi anni era apparsa direttamente su internet. Questo, invece, è stato distribuito alla vecchia maniera con un messaggero inviato negli ufici di Al Jazeera. ”Signiica che la situazione personale di Bin Laden è cambiata”, spiega Hegghammer. ”O si è spostato in un altro luogo o ha deciso di prendere molte più precauzioni”. Un agente dei servizi segreti francesi conferma questa ipotesi in modo lapidario: ” stretto in una morsa”. JeanPierre Filiu, storico arabista esperto di jihadismo, va oltre: ”Il suo protocollo di sicurezza è cambiato. Con la pressione di Islamabad che cresce nelle zone tribali alla frontiera con l’Afghanistan, la morte del suo alleato taliban Baitullah Mehsud, la moltiplicazione dei raid militari americani sulla regione, non sarei sorpreso se il capo di Al Qaeda fosse ucciso o catturato nei prossimi mesi con l’aiuto delle autorità pachistane”. Abu Jandal, che fino al 2001 è stato una delle sue guardie del corpo, a giugno ha dichiarato in un’intervista che ”lo sceicco non si lascerà prendere vivo. Ha dato ordine ai suoi uomini di ucciderlo se fosse sul punto di essere catturato”. I taliban, per ora, lo proteggono. Il suo nome in codice, apparso in un appunto interno taliban nel 2008, è takwa, parola araba che fa riferimento al timore di Dio. Ma che succederà il giorno in cui l’America accetterà un accordo con i taliban moderati? Per ora i giochi sono ancora aperti. Da tre o quattro anni, la morte dell’emiro supremo è stata annunciata decine di volte. Ma poi Bin Laden è sempre ricomparso. Dall’ultimo messaggio si capisce che è lontano dal suo principale luogotenente, il medico egiziano Ayman al Zawahiri. Per un certo tempo Bin Laden e Al Zawahiri hanno accolto il principio dello stratega siriano Abu Mussab al Suri per cui ”Al Qaeda non è un’organizzazione, ma un metodo”. Le diverse cellule indipendenti tra loro devono potersi rinnovare autonomamente. Così l’organizzazione si è decentrata: né Al Qaeda nel Maghreb islamico né la filiale irachena o quella somala prendono direttamente ordini dalla ”centrale”, che si trova alla frontiera tra Pakistan e Afghanistan. Ma tutti i gruppi hanno cercato l’investitura dello sceicco. Ted Gistaro, un analista militare statunitense, sostiene che ”Bin Laden continua a essere la guida strategica e tattica di tutta l’organizzazione. lui che mantiene l’unità di Al Qaeda e stabilisce le sue priorità operative”. Insomma, per sconfiggere Al Qaeda bisogna catturarlo. ”Vivo o morto”, proprio come sosteneva George W. Bush.