Internazionale 814 (Jarret Brachman, Foreign Policy), 30 settembre 2009
Si chiama Abu Yahya al Libi. Poeta, guerriero e predicatore tecnologico, potrebbe essere il nuovo leader di Al Qaeda
Si chiama Abu Yahya al Libi. Poeta, guerriero e predicatore tecnologico, potrebbe essere il nuovo leader di Al Qaeda. Oggi Al Qaeda non è più la stessa organizzazione a cui è stata dichiarata guerra nel 2001. Il terrorismo ormai è solo una delle armi nel suo arsenale. La rete deve molte delle sue trasformazioni degli ultimi otto anni allo sceicco Abu Yahya al Libi, capo del comitato giuridico di Al Qaeda e probabile successore di Osama bin Laden. Giovane, esperto di comunicazione e di religione, maestro nel giustificare i costi umani degli attacchi terroristici, Abu Yahya offre alla rete globale di Al Qaeda quello che la vecchia guardia non è più in grado di fornire. Della sua vita privata non si sa molto, ma una biografia essenziale può essere ricostruita con le interviste diffuse da Al Qaeda. Cresciuto in Libia, Abu Yahya (il vero nome è Muhammad Hasan Qaid), era un giovane brillante e affabile. Per un periodo ha frequentato la facoltà di chimica dell’Università di Sebha. Verso la fine degli anni ottanta ha lasciato il paese per un viaggio in Afghanistan e si è stabilito nella provincia di Logar. In quel periodo è entrato nel Gruppo islamico combattente libico (Lifg), che aveva lottato contro l’esercito sovietico in Afghanistan e voleva rovesciare il colonnello Muhammar Gheddafi. Nel 1992 i leader del gruppo libico hanno deciso di mandare questo giovane promettente a studiare in Mauritania dalle massime autorità religiose del paese. Dopo anni di intenso studio, intorno al 1996 Abu Yahya è tornato in Afghanistan. Poi tra il 2001 e il 2002 si è trasferito a Karachi, in Pakistan, dove ha lavorato come webmaster per il sito taliban Al Imarah al Islamiyah, imparando a sfruttare la tecnologia per comunicare con le nuove generazioni. Il 28 marzo 2002 è stato arrestato dai servizi segreti pachistani e trasferito nella prigione di Bagram, in Afghanistan. Lì ha avuto l’occasione di studiare da vicino i suoi carcerieri statunitensi, che non conoscevano a fondo la rete e gli sembravano ossessionati dai traumi infantili. In un’intervista del giugno 2006 diffusa da As Sahab, la casa di produzione multimediale di Al Qaeda, Abu Yahya ha definito i soldati americani dei ”codardi, spaesati, alienati e aflitti da deviazioni comportamentali, morali e ideologiche”. In quel periodo ha studiato attentamente anche i protocolli di sicurezza del carcere, così il 10 luglio del 2005 è riuscito a scappare insieme ad altri tre detenuti. Hanno messo sui letti delle sagome fatte con le lenzuola, si sono infilati delle tute blu al posto delle appariscenti divise arancioni, hanno scassinato la serratura della cella e sono usciti. Attraversando la prigione di Bagram, hanno fatto finta di essere soldati americani che trasportavano mobili. Poi hanno superato la barriera di filo spinato intorno al penitenziario e hanno vagato per giorni nella campagna afgana fino a che non hanno trovato i taliban. Quasi subito Abu Yahya è diventato famoso, sfruttando la sua spettacolare evasione. Ha parlato in moltissimi video, ha scritto articoli e saggi e ha posato perfino per un servizio fotografico. Al Qaeda ha lanciato Abu Yahya come si fa con un nuovo prodotto. E il movimento terroristico globale lo ha accolto a braccia aperte. L’immagine di Yahya filmato mentre si aggira per le valli, tira al bersaglio con gli amici, recita poesie sulla cima di una montagna e spezza il pane con i suoi studenti è riuscita a far colpo sulle nuove generazioni. Alla morte o alla cattura di Osama bin Laden e di Ayman al Zawahiri, la rete sceglierà Abu Yahya. Finora i vertici di Al Qaeda hanno puntato tutto sullo spirito elitario e sulla segretezza. La loro dottrina era esclusiva e la loro burocrazia onnipervasiva. Per Abu Yahya, eterno studente, col sorriso e la parlantina sciolta, le cose stanno diversamente e le idee sono diventate sempre più l’ago della bilancia. Al Qaeda, secondo lui, non è solo un gruppo terroristico che deve cacciare le truppe occidentali dal Medio Oriente, ma è un movimento intellettuale a base religiosa che deve catturare l’immaginazione dei musulmani di tutto il mondo.