Davide Frattini, Corriere della sera 30/09/2009, 30 settembre 2009
LA MINIERA DI OSAMA IN MANI CINESI
Investimento miliardario per il rame di Aynak tra le montagne afghane
MIS AYNAK (Afghanistan) – La terra dei talebani inizia dove si spegne lo sguardo arrogante dei poliziotti afghani. Sono stati sparpagliati qui per proteggere i centotrenta operai e ingegneri cinesi che ogni giorno percorrono questa strada sterrata. Diciassette chilometri tra le montagne a sud di Kabul, millecinquecento militari, un posto di blocco ogni centro metri. Le truppe di Hamid Karzai difendono i pendolari della guerra e tutelano l’investimento che potrebbe cambiare il futuro del Paese (o così almeno spera il governo).
All’inizio di luglio, il China Metallurgical Group, proprietà della Repubblica popolare, ha cominciato i lavori nella miniera di Aynak, considerato il secondo giacimento al mondo di rame, ancora da sfruttare. Scavare quassù è come dissotterrare il passato dell’Afghanistan. I primi a scoprire il «tesoro» (il valore è stimato attorno ai 50 miliardi di dollari) sono stati i geologi sovietici nel 1974. Non hanno mai avuto il tempo di mungere il deposito, impegnati a difendersi dagli attacchi dei mujaheddin. Oltre vent’anni dopo, Al Qaeda ha scelto l’altopiano protetto da una gola per addestrare i suoi miliziani: Osama Bin Laden – scrive il rapporto ufficiale sugli attentati dell’11 settembre – ha pianificato gli attacchi nascosto nelle vecchie baracche dell’Armata Rossa, qui ha voluto che venissero sottoposti all’esercitazione finale e selezionati i dirottatori usati nella missione suicida.
Il campo è stato bombardato dai B52 americani nei primi giorni della guerra che ancora non finisce. Le rocce rosse sono disseminate di ordigni inesplosi e mine piazzate dai guerriglieri e dai sovietici. Gli sminatori dell’Mdc, l’organizzazione non governativa afghana che ha vinto l’appalto del governo, hanno ripulito un chilometro quadrato di montagna (ne restano tre).
Il motore a gasolio delle trivelle è l’unico suono assieme ai latrati dei cani che sniffano il tritolo. Gli operai non parlano – non sono autorizzati – e il loro «villaggio» è fortificato da una barriera di cemento, all’ingresso un militare cinese: dovrebbero venire a viverci con le famiglie, quando i prefabbricati (e i talebani) diventeranno più accoglienti. «Di notte gli integralisti si muovono liberi in questa zona – spiega Ahmad Javid Azami, direttore operativo dell’Mdc ”. Hanno lasciato volantini di minacce nel nostro campo, lanciato razzi e nascosto bombe sulla strada».
Il China Metallurgical Group ha ottenuto la concessione per trent’anni, nel novembre del 2007. «I lavori sono stati rallentati dai problemi di sicurezza», ammette Mohammed Ibrahim Adel, ministro afghano delle Miniere, laurea sovietica e il sorriso di chi ha vinto alla lotteria. Secondo l’accordo, Pechino investirà circa 4 miliardi di dollari nella miniera (compresa una centrale elettrica da 400 Megawatt che rifornirà anche Kabul) e altrettanti in strade, scuole, moschee, ospedali, una ferrovia che dovrebbe collegare il Tajikistan a nord con il Pakistan a sud.
«L’operazione darà lavoro a diecimila afghani e ventimila posti verranno dall’indotto.
Il 90 per cento della manodopera dev’essere locale», gongola il ministro. Il governo è già sicuro di incassare un bonus da 808 milioni di dollari (comunque vadano gli studi di fattibilità, che dovrebbero terminare entro un anno e mezzo). E se il giacimento mantiene quello che promette sulle mappe, altri 400 milioni l’anno in royalties, circa un terzo del budget annuale dello Stato afghano.
Il rame di Aynak è stato commerciato per secoli lungo la Via della seta. Adesso i minatori cinesi indossano cappelli da cowboy per proteggersi dal sole a duemila metri e chiamano casa da una cabina telefonica satellitare. Il negozio-container espone jeans, prodotti da qualche parte nel Guangdong. E’ l’avamposto di quello che l’organizzazione Afghanistan Integrity Watch definisce «un Golia che potrebbe distruggere Davide»: «Questa multinazionale è molto più potente del Paese che la ospita – lancia l’allarme in un rapporto ”. Qui non ci sono leggi per la protezione ambientale o per controllare l’impatto sociale della miniera ».
Il ministro Adel assicura che la scelta non è stata politica: «Una commissione ha seguito l’appalto, il vincitore è uscito dai calcoli di un computer». Eppure di questi tempi Pechino sembra un socio più attraente di Washington. Che ha benedetto l’accordo, malgrado l’americana Freeport-Mc MoRan sia stata battuta (assieme ad altri contendenti indiani, russi, canadesi), i mugugni di qualche Paese occidentale («perché dobbiamo pagare noi per la sicurezza dei cinesi») e le accuse di corruzione (James Yeager, geologo della Banca Mondiale, ha bocciato i criteri della gara ed è tornato in Colorado dopo essersi trovato nel frigorifero una bottiglia di birra all’acido cloridrico).
Forse non a caso, lo Stato Maggiore americano ha schierato a gennaio duemila uomini della 10a Divisione di montagna tra le province di Wardak e Logar, dove si trova la miniera di Aynak. L’obiettivo ufficiale della missione è respingere le infiltrazioni dei talebani verso Kabul, l’effetto collaterale è quello di proteggere gli investimenti cinesi. Una sinergia che qualche analista delinea come via d’uscita dal caos afghano: «Pechino dimostra di voler scommettere sulla tenuta della coalizione – scrive Christian Bleuer – e potrebbe usare la sua influenza sul Pakistan. Che considera la Repubblica popolare l’alleato fondamentale, fino a garantire di esercitare il controllo sugli integralisti per evitare che attacchino le infrastrutture».