Marco Del Corona , Corriere della sera 30/09/2009, 30 settembre 2009
LA SFIDA DI PECHINO IN AFRICA OFFERTA SUL PETROLIO NIGERIANO
Trenta miliardi di dollari per il controllo dei pozzi
PECHINO – L’Africa è grande e la Cina non ha ancora finito di esplorarla. Perché grande è anche la fame di Pechino, che a tutti i costi vuole (deve) mantenere sostenuto il ritmo della crescita, superare quest’anno l’8% su cui il governo ha giocato la faccia e alimentare produzione e consumi interni. E nel vasto supermarket di risorse offerto dall’Africa, il petrolio nigeriano è la nuova frontiera. Un documento riservato pubblicato dal Financial Times rivela che la Cina si sta inserendo nella complessa trattativa su 23 licenze per altrettante concessioni per l’estrazione del greggio, 16 delle quali in scadenza. A mettersi in aperta concorrenza con i colossi occidentali – Shell, Chevron, Total e ExxonMobil – è la Cnooc, una delle «sorelle» petrolifere di Stato cinesi. Il tentativo di Pechino equivale a un’offerta di 30 miliardi di dollari, ma un’altra valutazione riportata dal quotidiano arriva a 50 miliardi. Abbastanza da giustificare l’eccitazione nigeriana: «I cinesi offrono davvero multipli di quello che gli attuali produttori stanno offrendo. Amiamo questo genere di competizione », ha detto testualmente Tanimu Yakubu, consigliere in materia del presidente Umaru Yar’Adua.
Se l’acquisizione cinese andasse a buon fine, Pechino si assicurerebbe 6 miliardi di barili, pari a un sesto delle riserve del Paese. Lo scenario, dove peraltro è attiva anche l’Eni, resta tuttavia complicato. Il governo di Abuja non vuole bruciarsi legami consolidati («gli amici tradizionali vogliamo mantenerli», avverte Yakubu), specie con gli Stati Uniti, forti importatori del greggio nigeriano. Ma la Cina pare convinta ed è pronta ad affrontare anche spinosi problemi ambientali: dall’irrequietezza della regione del Delta del Niger agli screzi con il Paese africano in materia di immigrazione. Altrove, nel Continente Nero, le radici cinesi sono già salde, frutto di un’offensiva economico- diplomatica articolata. Dall’Algeria al Gabon, dalla Namibia al Sudan (dove Pechino non ha potuto sottrarsi a qualche mossa diplomatica in relazione al genocidio in Darfur), la Cina stringe patti per garantirsi materie prime. Solo per restare al greggio, è di luglio un accordo da 1,3 miliardi di dollari in Angola, di giugno un’acquisizione da oltre 7 miliardi per l’Africa occidentale (e l’Iraq), del giugno 2008 un contratto in Niger da 5 miliardi.
Non c’è solo il petrolio. La Cina investe in 49 Paesi africani, con una crescita annua di import ed export del 32% e scambi che nel 2008 hanno quasi toccato i 107 miliardi di dollari. Rappresentanti di 40 Paesi africani hanno partecipato lunedì a Shanghai a un forum sulle «opportunità di investimento» nel continente: «Non tutti gli Stati africani sono poveri, alcuni hanno un pil più alto di quello cinese », ha avvertito il responsabile del vertice, He Liehui. Ma quando si tratta di petrolio, non c’è solo l’Africa. Con il Venezuela del «socialista» Hugo Chávez, Pechino ha siglato un accordo da 16 miliardi di dollari in tre anni, intesa non priva di risvolto ideologico. E l’ideologia è l’ingrediente che Pechino vuole lasciare fuori dagli affari. I Paesi africani le sono grati, contratti e progetti non chiedono in cambio il rispetto di standard democratici o l’adozione di riforme politiche, come può avvenire con i partner europei. Tuttavia, a volte stare fuori dalle relazioni pericolose rischia di essere arduo. Il 15% del greggio importato dalla Cina nel primo semestre del 2009 è iraniano, e questi forse non sono i tempi più adatti per trattare con Teheran.