Ugo Bertone, Libero 19/09/2009, 19 settembre 2009
EXOR, LA FIAT E I CONTI DA PAGARE
O gli incentivi-bis per tutto il 2010, o sarà il disastro. Sergio Marchionne, tra le sue tante qualità, ha il pregio della chiarezza. Nessuno si illuda, insomma, che il ”miracolo” di questi mesi, in cui la Fiat ha scalato le classifiche europee possa reggere senza gli aiuti pubblici che hanno drogato le vendite del gruppo, favorito dal sostegno alle piccole cilindrate.
L’Europa, e l’Italia in particolare, devono prepararsi a pagare il conto anche l’anno prossimo, a meno di subire pesanti tagli sul fronte dell’occupazione. Già, la cornice riguarda l’intera industria europea, a partire dai gruppi di controllo. E qui il caso Italia, con buona pace di Sergio Marchionne (che forse non ama questa singolarità) diverge.
Panieri separati
Come ha fatto notare il Financial Times, le grandi dinastie dell’auto dei Vecchio Continente, dai Porsche ai Peugeot alla famiglia Quandt, proprietaria di Bmw, hanno sempre messo «tutte le uova in un solo paniere».
E lo stesso capita da altre parti, vedi i Ford o la dinastia di casa Toyota. Gli Agnelli, al contrario, non hanno mai legato tutte le loro fortune all’auto. Anzi, negli anni buoni, i quattrini accumulati sono serviti per comprare banche, catene della grande distribuzione, alberghi o altre attività più redditizie. Una strategia legittima, per carità, che viene battuta anche in questi giorni. La finanziaria di casa, Exor, può investire un miliardo circa. Ma non lo farà nell’auto. Probabilmente questi quattrini serviranno all’acquisto di Banca Fideuram, oggi posseduta da Intesa: un’operazione da 4 miliardi, da condurre assieme a partner finanziari e, magari con il ritorno in Borsa dell’istituto che dovrebbe fare ottimi affari con lo scudo fiscale. E la Fiat? A sostenere l’equilibrio delle quattro ruote ci deve pensare, prima di tutto, lo Stato italiano, anzi l’Europa tutta, sulla falsariga di quanto fatto da Obama.
L’operazione Chrysler
Eppure l’operazione Chrysler, confessa lo stesso Marchionne, si sta rivelando assai più complicata di quanto non si potesse pensare in primavera. Ai punto che il concorrente Bob Lutz, numero due di Gm, dichiara a Bloomberg che la fusione tra Fiat e Chrysler «sarà eccezionalmente difficile». E’ comprensibile, dati i problemi di Detroit, che Marchionne si affretti a rafforzare le difese sul mercato europeo, facendo ricorso, come è sempre accaduto, al peso sociale dell’auto (per ogni addetto diretto ci sono altri sette lavoratori interessati). Meno comprensibile che, negli stessi giorni, gli azionisti di riferimento, i soli che contano al momento delle scelte strategiche, pensino a far shopping altrove. Certo, è tramontata la trattativa per Opel. Ma resta in piedi l’ipotesi di una separazione dell’Auto dal resto del gruppo, con disúnpegno parziale, sul piano finanziario (ma non del potere) della famiglia. Il risultato? Una formula nuova per un vecchio modello: i profitti, quando ci sono, ai privati, gli oneri alla collettività.
Una regola comune, piuttosto che un’eccezione all’italiana, si potrebbe obiettare. Ma chissà che direbbe Nicolas Sarkozy se la richiesta di incentivi a sostegno dell’auto figurasse accanto all’interesse della famiglia Peugeot per una consociata del Credit Agricole.